Deborah, la prima donna a diventare EMANUELE in Italia. Avviene a Pisa dove Emanuele, Lele Baldini 44 anni entro la fine del mese verrà operato per avvicinarsi sempre di più alla sua vera identità. Ne parla con dignità e serenità raggiunta dopo un percorso non semplice da accettare... per gli altri, familiari compresi. Riporto integralmente la sua dichiarazione: "Che non mi sentivo nei vestiti rosa che mi metteva mia madre l'ho capito a tre anni - racconta - quando mi infilavo nelle mutande le palline da tennis per assomigliare a mio cuginetto. A nove la situazione era chiara anche ai miei. Le reazioni? Non proprio alla Montessori. Botte da orbi, due giorni di seguito chiusa a chiave in camera senza cibo, con mia sorella che mi portava i biscottini di nascosto e mi diceva: smettila, che papà si arrabbia e mamma si sente male. Lei faceva danza, era perfetta. Io giocavo a pallone, spaccavo i vetri, facevo equitazione e a scuola ero un disastro: insomma una tattica completa per attirare l'attenzione. A undici anni hanno trovato la lettera di una compagna di scuola e lì è crollato il mondo. Mio padre voleva buttarmi fuori di casa, a quell'età, ma per fortuna c'erano le nonne, ora purtroppo mancate tutte e due, che mi hanno aiutato. A ventisei anni ho detto basta di gonne imposte e fidanzati ventilati continuamente e sono venuta a vivere in Toscana, perché i miei nonni erano di qui. Ho insegnato a Pisa, Migliarino, Livorno, Siena. E ho frequentato spesso anche ambienti omosessuali, ma trovandomi continuamente fuori posto. Perché non ero lesbica e le lesbiche spesso sono dure, complicate, fragili. Ma erano gli unici ambienti in cui potevo integrarmi, mentre io desidero stare semplicemente fra gente eterosessuale".
Italia:la prima donna che diventa uomo
Deborah, la prima donna a diventare EMANUELE in Italia. Avviene a Pisa dove Emanuele, Lele Baldini 44 anni entro la fine del mese verrà operato per avvicinarsi sempre di più alla sua vera identità. Ne parla con dignità e serenità raggiunta dopo un percorso non semplice da accettare... per gli altri, familiari compresi. Riporto integralmente la sua dichiarazione: "Che non mi sentivo nei vestiti rosa che mi metteva mia madre l'ho capito a tre anni - racconta - quando mi infilavo nelle mutande le palline da tennis per assomigliare a mio cuginetto. A nove la situazione era chiara anche ai miei. Le reazioni? Non proprio alla Montessori. Botte da orbi, due giorni di seguito chiusa a chiave in camera senza cibo, con mia sorella che mi portava i biscottini di nascosto e mi diceva: smettila, che papà si arrabbia e mamma si sente male. Lei faceva danza, era perfetta. Io giocavo a pallone, spaccavo i vetri, facevo equitazione e a scuola ero un disastro: insomma una tattica completa per attirare l'attenzione. A undici anni hanno trovato la lettera di una compagna di scuola e lì è crollato il mondo. Mio padre voleva buttarmi fuori di casa, a quell'età, ma per fortuna c'erano le nonne, ora purtroppo mancate tutte e due, che mi hanno aiutato. A ventisei anni ho detto basta di gonne imposte e fidanzati ventilati continuamente e sono venuta a vivere in Toscana, perché i miei nonni erano di qui. Ho insegnato a Pisa, Migliarino, Livorno, Siena. E ho frequentato spesso anche ambienti omosessuali, ma trovandomi continuamente fuori posto. Perché non ero lesbica e le lesbiche spesso sono dure, complicate, fragili. Ma erano gli unici ambienti in cui potevo integrarmi, mentre io desidero stare semplicemente fra gente eterosessuale".