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Post n°230 pubblicato il 14 Gennaio 2016 da orkelio
Roveja, anche detto pisello dei campi o robiglio, è una varietà di pisello. Questo legume è importato in Europa dal Medio Oriente, conosciuto fin dal Neolitico ma ultimamente praticamente scomparso dalle nostre produzioni. Esistono diverse cultivar del pisello dei campi quali i kapucijner che vengono coltivati in Olanda e la roveja che si trova ormai soltanto nell'Italia Centrale dove viene coltivato prevalentemente nelle Marche e in Umbria da agricoltori che vogliono diversificare e riscoprire le tradizioni. Inizialmente il baccello della roveja è verde ma con la maturazione diventa viola-scuro. Il colore dei semi freschi può variare da verde a grigio mentre seccati i semi tendono al marrone scuro. I fiori sono purpurei. Il pisello dei campi viene coltivato soprattutto in Umbria e nelle Marche in particolare in Valnerina a Cascia. La roveja viene seminato in marzo. I baccelli maturano in luglio. Possono essere raccolti anche a maturazione inoltrata in quanto sono meno farinosi dei piselli comuni. Dopo che le foglie siano diventate gialle, si falciano le piante e si lasciano essiccare nel campo. Quindi le piante secche vengono raccolte e trebbiate. Per togliere le impurità i semi vengono ventilati [1]. Uso I semi possono essere consumati freschi oppure si possono seccare. Comunque sono più gustosi cotti. Hanno il sapore di una fava. I semi seccati vengono impiegati soprattutto per zuppe e minestre. Lenticchia e roveja Ci sono piatti e ricette, nella nostra penisola dove è più facile dividersi che unirsi (anche a tavola…), che variano da provincia a provincia, da comune a comune, da una rione all’altro. E ci sono perfino prodotti, diventati famosi in tutto il mondo, che portano il nome del luogo di produzione come tanti altri, solo che il posto nel quale nascono e che stanno rendendo popolare è quello di una frazioncina, neanche dell’intero comune. Succede in Umbria, dove Norcia, un comune di cinquemila abitanti all’interno del Parco nazionale dei Monti Sibillini e a un centinaio di chilometri dal capoluogo Perugia, è famoso nel mondo per il meraviglioso centro storico (sopravvissuto a terremoti), per San Benedetto e, per quel che riguarda il cibo, soprattutto per il tartufo nero, il prosciutto crudo Igp e i norcini, i maestri della salumeria che ormai si chiamano così per definizione, anche se della bella cittadina e del suo centro storico hanno a stento sentito parlare. Una frazione di Norcia, invece, con neanche duecento abitanti, è diventata quasi altrettanto famosa per le sue lenticchie: mi riferisco a Castelluccio, che con la sua posizione elevata a 1450 metri di altitudine è il centro abitato più alto dell’intera catena appenninica; di fronte a Castelluccio si erge il monte Vettore, con i suoi 2500 metri. Che Castelluccio sia una frazione, ma con una vita abbastanza autonoma rispetto a Norcia, lo spiega anche la distanza dal comune di riferimento: una trentina di chilometri… scia d’inverno, ma anche una calamita per i fotografi in primavera avanzata, grazie alla sua fioritura immortalata da milioni di scatti: l’altopiano lungo venti chilometri, sul quale si trova la piccola frazione, nella tarda primavera offre un particolare fenomeno naturale, dovuto alla fioritura contemporanea di decine di fiori diversi, che formano uno straordinario tappeto multicolore disteso sull’intera valle. Oltre al giallo, spiccano il rosso dei papaveri e il blu dei ciclamini. In questo notevole scenario naturale, che da solo basterebbe a rendere famosa Castelluccio, si sono inserite le lenticchie, che qui crescono con un sapore inconfondibile, un particolare aspetto policromo e dimensioni piuttosto ridotte. Altri requisiti importanti sono la resistenza (ai parassiti, al freddo e alla siccità) e la coltivazione quasi naturalmente biologica. Tutti aspetti che hanno fatto meritare loro il marchio europeo della Igp, l’Indicazione geografica protetta, alla quale hanno fatto seguito una richiesta sempre più elevata e prezzi altrettanto remunerativi. Ormai un sacchetto di lenticchie di Castelluccio non può mancare nei pacchi-regalo enogastronomici del periodo natalizio. Seminate in primavera allo sciogliersi della neve, le lenticchie richiedono pioggia per crescere e pazienza in fase di raccolta, che qui chiamano carpitura, così come il legume è chiamato lénta. La raccolta, che avviene fra la fine di luglio e ferragosto, adesso è sempre più meccanizzata, ma qualche decennio fa dava vita a una grande kermesse contadina, con l’arrivo, anche da fuori regione, dei mietitori e delle carpirine, lavoratrici specializzate in questo lavoro. Musiche e canti, abitudini secolari ormai perse e un gergo specifico per ogni passaggio della lavorazione, rendevano questa raccolta degna di essere raccontata, come è avvenuto per le mondine. Peccato che nessuno abbia pensato di girare l’equivalente di Riso amaro qui a Castelluccio… roveja. Il Parco nazionale dei Monti Sibillini, con i suoi settantamila ettari di territorio da vivere e da assaporare, offre altri prodotti assai particolari: siamo in quella zona fra Umbria e Marche che ha saputo rinascere dopo tanti terremoti, ma ha vissuto con sofferenza la mancata industrializzazione, che ora invece si rivela una fortuna dal punto di vista turistico e ambientale. Nessuno scheletro di capannoni abbandonati né ciminiere in mattoni ormai utilizzabili solo come punti di riferimento per il trekking: qui la natura è rimasta quella di un tempo, e si trovano ancora le pecore sopravissane e i loro formaggi, oppure un salame spalmabile delicatissimo come il ciaùscolo. E poi, con un buon navigatore, vi capiterà di trovare un’altra frazione, Civita di Cascia, che con i suoi sessanta abitanti e nonostante il suo isolamento (si trova a dodici chilometri da Cascia e a 1200 metri di altitudine), si sta facendo conoscere con un suo prodotto unico. Civita è ormai nota ai buongustai come la patria di un legume del quale si era persa la nozione: la roveja, detta ancherubiglio o corbello e, dai botanici, pisum arvense. Arrivata dal Medio Oriente, era coltivata in Europa già in epoca preistorica: pare sia stata, insieme a lenticchia, orzo e farro, la base dell’alimentazione umana nel Neolitico. In Umbria fu usata dalle prime popolazioni autoctone e poi da Etruschi e Romani. Diffusissima fino a pochi decenni fa, anche perché cresce spontaneamente (un’altra definizione è “pisello selvatico”), è scomparsa prima come foraggio, perché poco adatta ai nuovi allevamenti del dopoguerra, poi anche come alimento per l’uomo. Da protagonista di piatti tradizionali come la farrecchiata, una polenta di legumi molto diffusa in tutta la zona del Parco, era diventata un ricordo sbiadito nei racconti dei più anziani. Tanto è bastato, però, per far incuriosire due signore di Civita di Cascia, Silvana Cresci e Geltrude Moretti, che qualche anno fa hanno cominciato a rivalutare questo legume raro, dal seme di un colore che va dal verde scuro al marrone-grigiastro, e si posiziona dunque a metà strada fra lenticchie e piselli, anche se il sapore assomiglia più a quello delle fave. Il seguito della storia lo racconta Lanfranco Bartocci, il presidente di Bioumbria, un’associazione di piccoli coltivatori biologici che la stanno facendo conoscere a un pubblico più ampio, di pari passo con l’aumento della produzione: “Alla fine degli anni Novanta si sono mosse le Università (Perugia e Ancona), i Gruppi di azione locale e alcuni contadini, per sperimentare e riprendere la produzione. Nel 2006 è diventata oggetto di un presidio Slowfood, e sta tornando lungo tutto l’Appennino umbro-marchigiano, in particolare sui Monti Sibillini, con campi anche a quote molto elevate. Come la lenticchia di Castelluccio, la Roveja è un legume molto resistente alle temperature più basse, ha un ciclo breve e non richiede molta acqua. L’unico problema è che si raccoglie in agosto, operazione faticosa talvolta per il caldo e sempre perché va fatta per lo più a mano. Come tutti i legumi, è ottima dal punto di vista nutrizionale, per la presenza di proteine, carboidrati, fosforo, potassio, pochissimi grassi e molte fibre”. Bruno Gambacorta tratto da “Eat Parade – Alla scoperta di personaggi, storie, prodotti e ricette fuori dal comune”, di Bruno Gambacorta, edito da RAI ERI e Vallardi. |
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