Creato da orkelio il 20/05/2010

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CURIOSITA' - Arvaia

Post n°230 pubblicato il 14 Gennaio 2016 da orkelio

Roveja, anche detto pisello dei campi o robiglio, è una varietà di pisello.

Questo legume è importato in Europa dal Medio Oriente, conosciuto fin dal

Neolitico ma ultimamente praticamente scomparso dalle nostre produzioni.

Esistono diverse cultivar del pisello dei campi quali i kapucijner che

vengono coltivati in Olanda e la roveja che si trova ormai soltanto

nell'Italia Centrale dove viene coltivato prevalentemente nelle Marche

e in Umbria da agricoltori che vogliono diversificare e riscoprire le tradizioni.

Inizialmente il baccello della roveja è verde ma con la maturazione diventa

viola-scuro. Il colore dei semi freschi può variare da verde a grigio mentre

seccati i semi tendono al marrone scuro. I fiori sono purpurei.

Il pisello dei campi viene coltivato soprattutto in Umbria e

nelle Marche in particolare in Valnerina a Cascia. La roveja

viene seminato in marzo.

I baccelli maturano in luglio. Possono essere raccolti anche a maturazione

inoltrata in quanto sono meno farinosi dei piselli comuni. Dopo che le

foglie siano diventate gialle, si falciano le piante e si lasciano essiccare

nel campo. Quindi le piante secche vengono raccolte e trebbiate.

Per togliere le impurità i semi vengono ventilati [1].

Uso

I semi possono essere consumati freschi oppure si possono seccare.

Comunque sono più gustosi cotti. Hanno il sapore di una fava.

I semi seccati vengono impiegati soprattutto per zuppe e minestre.

La pianta viene usata anche come foraggio.

Lenticchia e roveja

Ci sono piatti e ricette, nella nostra penisola dove è più facile dividersi

che unirsi (anche a tavola…), che variano da provincia a provincia, da

comune a comune, da una rione all’altro. E ci sono perfino prodotti,

diventati famosi in tutto il mondo, che portano il nome del luogo di

produzione come tanti altri, solo che il posto nel quale nascono e che

stanno rendendo popolare è quello di una frazioncina, neanche dell’intero

comune. Succede in Umbria, dove Norcia, un comune di cinquemila abitanti

all’interno del Parco nazionale dei Monti Sibillini e a un centinaio di

chilometri dal capoluogo Perugia, è famoso nel mondo per il meraviglioso

centro storico (sopravvissuto a terremoti), per San Benedetto e, per quel

che riguarda il cibo, soprattutto per il tartufo nero, il prosciutto crudo Igp

e i norcini, i maestri della salumeria che ormai si chiamano così per

definizione, anche se della bella cittadina e del suo centro storico hanno

a stento sentito parlare.

Una frazione di Norcia, invece, con neanche duecento abitanti, è diventata

quasi altrettanto famosa per le sue lenticchie: mi riferisco a Castelluccio, che

con la sua posizione elevata a 1450 metri di altitudine è il centro abitato più

alto dell’intera catena appenninica; di fronte a Castelluccio si erge il monte

Vettore, con i suoi 2500 metri. Che Castelluccio sia una frazione, ma con

una vita abbastanza autonoma rispetto a Norcia, lo spiega anche la distanza

dal comune di riferimento: una trentina di chilometri…

   Un posto freddo, dove si

scia d’inverno, ma anche una calamita per i fotografi in primavera avanzata,

grazie alla sua fioritura immortalata da milioni di scatti: l’altopiano lungo

venti chilometri, sul quale si trova la piccola frazione, nella tarda primavera

offre un particolare fenomeno naturale, dovuto alla fioritura contemporanea

di decine di fiori diversi, che formano uno straordinario tappeto multicolore

disteso sull’intera valle. Oltre al giallo, spiccano il rosso dei papaveri e il blu

dei ciclamini. In questo notevole scenario naturale, che da solo basterebbe

a rendere famosa Castelluccio, si sono inserite le lenticchie, che qui crescono

con un sapore inconfondibile, un particolare aspetto policromo e dimensioni

piuttosto ridotte. Altri requisiti importanti sono la resistenza (ai parassiti,

al freddo e alla siccità) e la coltivazione quasi naturalmente biologica.

Tutti aspetti che hanno fatto meritare loro il marchio europeo della Igp,

l’Indicazione geografica protetta, alla quale hanno fatto seguito una richiesta

sempre più elevata e prezzi altrettanto remunerativi. Ormai un sacchetto di

lenticchie di Castelluccio non può mancare nei pacchi-regalo enogastronomici

del periodo natalizio. Seminate in primavera allo sciogliersi della neve,

le lenticchie richiedono pioggia per crescere e pazienza in fase di raccolta,

che qui chiamano carpitura, così come il legume è chiamato lénta. La raccolta,

che avviene fra la fine di luglio e ferragosto, adesso è sempre più meccanizzata,

ma qualche decennio fa dava vita a una grande kermesse contadina, con l’arrivo,

anche da fuori regione, dei mietitori e delle carpirine, lavoratrici specializzate

in questo lavoro. Musiche e canti, abitudini secolari ormai perse e un gergo

specifico per ogni passaggio della lavorazione, rendevano questa raccolta

degna di essere raccontata, come è avvenuto per le mondine. Peccato che

nessuno abbia pensato di girare l’equivalente di Riso amaro qui a Castelluccio…

   Il “ritorno al futuro” della

roveja. Il Parco nazionale dei Monti Sibillini, con i suoi settantamila ettari

di territorio da vivere e da assaporare, offre altri prodotti assai particolari:

siamo in quella zona fra Umbria e Marche che ha saputo rinascere dopo

tanti terremoti, ma ha vissuto con sofferenza la mancata industrializzazione,

che ora invece si rivela una fortuna dal punto di vista turistico e ambientale.

Nessuno scheletro di capannoni abbandonati né ciminiere in mattoni ormai

utilizzabili solo come punti di riferimento per il trekking: qui la natura è

rimasta quella di un tempo, e si trovano ancora le pecore sopravissane e

i loro formaggi, oppure un salame spalmabile delicatissimo come il ciaùscolo.

E poi, con un buon navigatore, vi capiterà di trovare un’altra frazione,

Civita di Cascia, che con i suoi sessanta abitanti e nonostante il suo isolamento

(si trova a dodici chilometri da Cascia e a 1200 metri di altitudine), si sta

facendo conoscere con un suo prodotto unico. Civita è ormai nota ai buongustai

come la patria di un legume del quale si era persa la nozione: la roveja, detta

ancherubiglio o corbello e, dai botanici, pisum arvense. Arrivata dal Medio

Oriente, era coltivata in Europa già in epoca preistorica: pare sia stata,

insieme a lenticchia, orzo e farro, la base dell’alimentazione umana nel

Neolitico. In Umbria fu usata dalle prime popolazioni autoctone e poi da

Etruschi e Romani. Diffusissima fino a pochi decenni fa, anche perché cresce

spontaneamente (un’altra definizione è “pisello selvatico”), è scomparsa

prima come foraggio, perché poco adatta ai nuovi allevamenti del dopoguerra,

poi anche come alimento per l’uomo. Da protagonista di piatti tradizionali

come la farrecchiata, una polenta di legumi molto diffusa in tutta la zona

del Parco, era diventata un ricordo sbiadito nei racconti dei più anziani.

Tanto è bastato, però, per far incuriosire due signore di Civita di Cascia,

Silvana Cresci e Geltrude Moretti, che qualche anno fa hanno cominciato

a rivalutare questo legume raro, dal seme di un colore che va dal verde scuro

al marrone-grigiastro, e si posiziona dunque a metà strada fra lenticchie e

piselli, anche se il sapore assomiglia più a quello delle fave.

  Il seguito della storia lo racconta

Lanfranco Bartocci, il presidente di Bioumbria, un’associazione di piccoli coltivatori

biologici che la stanno facendo conoscere a un pubblico più ampio, di pari passo

con l’aumento della produzione: “Alla fine degli anni Novanta si sono mosse le

Università (Perugia e Ancona), i Gruppi di azione locale e alcuni contadini, per

sperimentare e riprendere la produzione. Nel 2006 è diventata oggetto di un

presidio Slowfood, e sta tornando lungo tutto l’Appennino umbro-marchigiano,

in particolare sui Monti Sibillini, con campi anche a quote molto elevate. Come

la lenticchia di Castelluccio, la Roveja è un legume molto resistente alle

temperature più basse, ha un ciclo breve e non richiede molta acqua. L’unico

problema è che si raccoglie in agosto, operazione faticosa talvolta per il caldo

e sempre perché va fatta per lo più a mano. Come tutti i legumi, è ottima dal

punto di vista nutrizionale, per la presenza di proteine, carboidrati, fosforo,

potassio, pochissimi grassi e molte fibre”.

Bruno Gambacorta tratto da Eat Parade – Alla scoperta di personaggi, storie, prodotti e ricette fuori dal comune”,

di Bruno Gambacorta, edito da RAI ERI e Vallardi.

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