antonia nella notte

Post N° 350


Mortadella trionferà! Come grido di vittoria sarà meno impettito o guerresco di altri e però suona assai convincente nel momento in cui il Paese ha bisogno di ritrovare pace e fiducia, anche sorridendo. E Romano Prodi, trovata geniale (alla Totti), rovesciando un soprannome in un simbolo politico, in una bandiera di popolo, ha già vinto una prima battaglia. La mortadella richiama subito Bologna. «Anche nel più sperduto supermercato del West viene presentata sotto il nome di “Bologna”, benché prodotta negli Usa», osserva il suo maggior esegeta, il sociologo rurale, petroniano ovviamente, Corrado Barberis nel proprio impareggiabile «Atlante dei Salumi» (Agra-Rai Eri). Dunque, un prodotto di fama planetaria. Riferito ad una città che suona fiducia nel progresso, riformismo laborioso e tenace, buon vivere. Quindi affettuosamente rassicurante. La mortadella si sposa bene con un vino rosso vivace e però ai raffinati piace pure con lo champagne. È antipasto e anche pasto, con un pane bianco di quelli caserecci, merenda e picnic. Perciò interclassista e trasversale. Si può mangiare a tocchetti e a fette, con quell’altra delizia emiliana del parmigiano-reggiano. È forse antica quanto il maiale (di cui, come ben si sa, non si butta niente, e di questi tempi non è poco), almeno nelle sue versioni primordiali, e tuttavia è modernamente tipica come tutto lo slow food. L’amava alla follia Gioachino Rossini, bolognese di gusti alimentari anche quando si stanziò a Parigi, il quale ne regalava appena poteva agli amici più cari: c’è autore più post-moderno di lui? Più internazionale? Più completo (dal buffo al tragico passando per il giocoso)?Della mortadella non si sa con certezza l’etimologia: forse viene dal mortaio, lo strumento nel quale anticamente la carne di maiale era pestata. Oppure dal mirto, l’essenza con la quale veniva condita, in antico, questa “pistà” o “pista” di suino. Il mortaio suscita immagini combattenti, il martello che trita. Il mirto evoca profumi mediterranei. Ed è pure un eccellente digestivo. Che, per mandar giù questa Italia, prima di provare a cambiarla come un guanto, serve. Eccome se serve.Internazionale, si diceva. La prima notizia storica sulla carne di suino (70 per cento di magro, 30 per cento di grasso), cotta per farne mortadella, l’ha ricavata un altro bolognese, Giancarlo Roversi, dal libro del francese Veyard, pubblicato a Londra nel 1701. In effetti il disciplinare di questo autentico capolavoro della gastronomia bolognese veniva già emergendo nella seconda metà del ‘600. Il «Bando e provvisione sopra la fabbrica delle mortadelle e salumi» emanato dal cardinal Farnese, legato a Bologna, reca la data del 1661: esso cominciò col vietare tassativamente ogni aggiunta di carne di manzo (semmai ci si metteva dell’asino) che ne minacciasse la «isquisita perfettione». Più tardi, nel 1720, un altro porporato, il romano (attenzione, romano) Origo, fu decisivo per la qualità, presente e futura, del prodotto. Spiega sempre l’informatissimo Barberis che, nella «Dichiarazione del Bando delle mortadelle», Sua Eminenza stabilì che i «lardaroli», cioè i salumieri, dovessero lavorarla in città perché soltanto lì si potevano operare, all’epoca, i dovuti controlli, che le mortadelle dovessero essere fatte unicamente con carni «elettissime», che per questo il loro prezzo doveva poi essere libero e non calmierato, che, infine, esse dovevano essere tenute separate dagli altri salumi e «contrassegnate con un sigillo di cera di Spagna dell’Arte dei Salaroli». Nientemeno.Insomma, perché un prodotto così italiano e così internazionale, così popolare e così accurato, non dovrebbe alla fine trionfare ridandoci una concreta fiducia nel futuro dopo tante improvvisate capriole, dopo tante chiacchiere furbesche e vittimiste, dopo tanti guasti di ogni genere, oltre ai lifting, ai trapianti di capelli, alle bandane, ai tacchi e sopratacchi e ad altre scemenze? IL PROGRAMMA DELL’UNIONE:http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC_TIPO=&TOPIC_ID=47374