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D'Eramo

Post n°1291 pubblicato il 14 Agosto 2008 da ossimora
 

LA LEGGE DEL PIÙ FORTE
Marco d'Eramo

Se ancora ce n'era bisogno, le cannonate e i bombardamenti in Ossezia e Georgia hanno dato l'ultima dimostrazione che 14 anni di «guerre umanitarie», otto anni di presidenza Bush, otto anni di regime putiniano, sette anni di «guerra al terrore» hanno fatto del diritto internazionale il più idoneo sostituto ai dieci piani di morbidezza Scottex.
Prova ne è che persino un autocrate dispotico come Vladimir Putin può presentarsi con successo come difensore di orfani, vedove e legalità internazionale. Lui che in Russia e in Cecenia ha calpestato a piacimento vite umane, giornalisti indipendenti, diritti civili e garanzie costituzionali.
Quando un Occidente insieme roboante e impotente gli rimprovera di violare l'integrità territoriale di uno stato sovrano riconosciuto dall'Onu, Putin ha buon gioco nello sbattere in faccia a Europa e Stati uniti l'indipendenza del Kosovo, voluta e ratificata da quasi tutti i sudditi Usa (con le notevoli eccezioni di Grecia e Spagna). La proclamazione d'indipendenza del Kosovo dello scorso anno ha violato ogni norma del diritto internazionale, poiché la Serbia è uno stato sovrano e la risoluzione Onu approvata nel giugno 1999 sanciva l'integrità territoriale serba e la sua sovranità sul Kosovo (pur con un alto grado di autonoma).
Ha perciò tutte le ragioni formali Putin quando chiede: «Perché la Georgia deve ricevere un trattamento diverso dalla Serbia quanto a soddisfazione delle istanze indipendentiste di osseti e abkhazi?» E noi abbiamo tutte le ragioni di chiederci: «Se l'integrità di stati sovrani è flessibile, cosa resta del diritto internazionale?» Di dipendere dai rapporti di forza, di non essere perciò «diritto».

E quando gli Stati uniti accusano Mosca di volere un «cambio di regime» a Tiblisi, è facile per i russi rispondere: «Con che faccia parlate voi che avete invaso l'Iraq senza nessuna ragione al mondo (armi di distruzione di massa non vi sono mai state trovate), solo per abbattere Saddam Hussein che con l'11 settembre non c'entrava niente!»
Come per i Balcani Tony Blair aveva riesumato a distanza di un secolo «l'imperialismo liberale» e umanitario di William Gladstone, così adesso in Caucaso Putin si ammanta d'«interventismo umanitario» nel difendere i poveri civili osseti ed esclama: «Non permetteremo un'altra Sebrenica!» (i riferimenti alle guerre balcaniche degli anni '90 si sprecano nell'attuale guerra di propaganda tra Georgia e Russia). Proprio come si era ammantato di «guerra al terrore» per giustificare le atrocità commesse dall'esercito russo in Cecenia. Non solo: Mosca ha inviato procuratori in Sud-Ossezia con la chiara intenzione d'istruire un'accusa e magari formalizzare un mandato di cattura contro il premier georgiano Mikheil Saakashvili per crimini contro l'umanità. Non sembra lontano il giorno in cui il Cremlino chiederà che Saakashvili sia processato dal tribunale internazionale dell'Aja. Un tribunale che si è discreditato da solo per l'opaca, sospetta selettività con cui sceglie chi processare e chi no: che si sappia, non ha mai tentato d'incriminare un carnefice come il dittatore indonesiano Suharto (di recente scomparso) che negli anni '60 fece massacrare almeno 500.000 suoi connazionali, colpevoli di essere comunisti. Anche qui, Putin ha buon gioco nel ricordare agli Stati uniti che loro hanno condannato a morte Saddam Hussein perché colpevole di aver sterminato due cittadine curde. Dalla richiesta d'incriminazione di Saakashvili, il tribunale dell'Aia rischia di uscirne in ogni caso ancora meno credibile: se, come è più che probabile, la rifiuterà, sarà considerato ancor più servo solo degli Stati uniti, mentre nella remota eventualità che decida d'incriminarlo, apparirà servo di due padroni invece che di uno solo.
Il che ci riporta al vecchio dibattito sofista nell'Atene del V secolo sulla natura della giustizia: la giustizia è l'arma di cui si serve il più forte per perpetrare il proprio dominio? o è l'arma con cui il più debole cerca di limitare lo strapotere e l'arbitrio del più forte? Ricordate le parole del sofista Trasimaco come riportate da Platone nel primo libro della Repubblica: «Ogni governo stabilisce le leggi a seconda del proprio interesse (...): una volta poi stabilite queste leggi, dichiarano che per i sudditi è giusto ciò che loro giova, e chi questo trasgredisce è punito come violatore della giustizia. Ecco, amico mio, in che consiste questa giustizia che io affermo esser di fatto sempre la stessa in tutte le città: ciò che giova al potere costituito. Esso ha infatti la forza; donde ... segue che, ovunque, il giusto consiste sempre nella stessa cosa, in ciò che giova al più forte».

Le vicende di questi anni forniscono potenti argomenti alla tesi di Trasimaco. Dopo 2500 anni il sofista ateniese trova a esempi a bizzeffe nella globalizzazione ultrateconologica del XXI secolo, soprattutto quando Socrate gli obietta che i poteri costituiti agiscono per il bene dei propri cittadini. Trasimaco gli ribatte:
 «Tu credi che i pastori e i bovari mirino al bene delle pecore o dei buoi e che li ingrassino e li curino con uno scopo diverso dal bene dei padroni e loro proprio. E così pensi che anche i governanti degli stati ...siano rispetto ai sudditi in una disposizione assai d'animo diversa da quella che si può avere rispetto a pecore».
E con queste parole di Trasimaco torniamo ai nostri Putin, Bush, Berlusconi, Sarkozy...

Il nostro scipito ministro degli esteri intanto ...
resta alle Maldive...

 
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