Elogio dell'otium

Post N° 37


Sono sempre più popolari, gli haiku. Piace, in modo evidente, la loro essenzialità, che a volte si coniuga come semplicità, una ricerca della parola, e dell'immagine più limpidamente espressiva, quasi delle epifanie; altre volte, si colora di enigma, di allusione, di visione nascosta.Non è l'aspetto zen che mi interessa, degli haiku, anche se ne sono l'espressione. E nemmeno mi interessa il fatto della loro struttura rigida, data, quasi da esercizio di stile. Quello che mi piace è proprio il loro essere poesia, poesia essenziale, che è poi dire poesia tout court.La ricerca della parola poetica in questo consiste: nel trovare, nell'usare parole che ne richiamino altre, che si carichino di significato, di tensione. Che suonino vibranti, cristalline.E il precetto di usare il minor numero di parole nelle strofe, rispecchia la natura dell'arte poetica, per la quale, come nella scultura, "il meno è il più".Certo, come per la filosofia zen, l'haiku non va spiegato, ma inteso; non va analizzato, ma ascoltato.Ma io non seguo la filosofia zen, e sono curioso, e mi interessa il modo in cui le parole richiamano altre parole, e formano immagini, e suscitano sentimenti vibrando in modo puro, cioè evocando  in modo originale, forte, autentico parole usate, conosciute, e caricandole di nuova tensione.Sono poesia pura, gli haiku. E anche a leggerli come tali, non credo, non credo davvero, si sminuisca la loro carica emotiva.