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Post n°23 pubblicato il 16 Settembre 2004 da CarloCarlucci
Elaborare il lutto. Mi sto facendo una cultura psicanalitica, in merito.
Per necessità, chiaro. Ma anche per interesse. Ha delle implicazioni filosofiche mica da poco, la questione. Significa fare i conti col proprio sé, col passato, con l’elaborazione di un futuro.
Ora, l’elaborazione del lutto innanzitutto e perlopiù è una tecnica. Una tecnica del sé, ma pur sempre una tecnica. E la tecnica prevedere delle procedure. Di analisi, ma procedure. Di oggettivazione del sé.
Elaborare il lutto significa in prima battuta accettare la perdita. Nell’ultimo numero di Rivista di Psicologia Analitica leggevo un articolo sull’allenarsi a perdere.
Interessante questione. Da buon heideggeriano, ho notato subito la doppia possibile antinomia: perdere/vincere (e non è di questo che si parla); perdere/acquisire. Acquisire la presenza di una persona / allenarsi a perderla. Tutt’altro che una sciocchezza stoica, devo dire. Piuttosto un allenamento (brutto termine però) al sé, alla sua conoscenza, alla sua misurazione.
Ma ormai è troppo tardi per questo. Fuori tempo massimo.
E allora, cos’è “accettare la perdita”? Significa non negarla.
Nel duplice senso di non negare l’importanza di ciò che ho perduto, e di non negarne soprattutto l’esistenza. L’errore più comune, grossolano e dannatamente dannoso, è il “dimentica!”
Seppellire il legame reciso, lasciandolo incompiuto, significa seppellirlo dentro di noi, lasciandolo sanguinare. Al contrario la parola deve essere “ricorda!”
Ricorda ciò che eri e non sei più; abbine piena consapevolezza, profonda cognizione: misura la differenza tra ciò che eri, che non puoi più essere, e ciò che sei ora.
Questo implica naturalmente l’accettazione dello stato attuale, già con la consapevole e meditata rassegnazione alla perdita. Occorre accettare il fatto che non potremo più essere ciò che eravamo, e che è dannoso cercare di esserlo a tutti i costi, con altre persone, allo stesso modo.
Nel momento del lutto, prevale naturalmente uno stato depressivo indotto. E qui è essenziale una procedura di accettazione positiva di sé: occorre volersi bene, voler bene alla persona nuova che sono, in conseguenza dell’assenza, della fine, del rapporto che prima ero.
Nel momento del lutto, è naturale caricarsi di responsabilità per quanto accaduto; e soprattutto, è normale considerarsi persone meno felici, meno realizzate, meno complete di quanto si era in precedenza. Il lutto consiste di questo, ovviamente.
Eppure è essenziale apprezzare la persona nuova che siamo, riconoscersi delle qualità, delle possibilità. Doloroso, difficile. Certo in questo, amici e affetti possono essere di enorme aiuto. Ma non già nell’allontanarci, nel distrarci dal lutto che stiamo elaborando. Al contrario, facendoci vivere l’ora e il qui nel modo più positivo, facendoci sentire amati, e apprezzati proprio in ciò che di nuovo siamo.
Questo è essenziale.
E soprattutto, non negare il dolore, ma riconoscerne la sensatezza. Non c’è nulla di più dolorosamente inutile che il dire, o il sentirsi dire “ma non è importante, era un falso affetto, una illusione, non meritava la tua attenzione”. E’ dannoso e stupido. Perché la domanda diviene immediatamente “perché soffro tanto allora?”
E’ lecito, anzi è opportuno soffrire il meno che si può: soffrire non fa bene, non serve. Ma peggio ancora è negare l’esistenza del dolore.
Occorre al contrario renderlo significativo, riconoscere che si soffre per qualcosa di importante. Solo in questo modo sarà possibile misurare la reale dimensione del nostro lutto, comprenderlo fino in fondo.
Quando l’avrò compreso sino in fondo, potrò porlo dinanzi a me, staccandomi per la prima volta da esso, facendoci i conti.
Col tempo – e ci vorrà tanto più tempo quanto maggiore è il lutto subito – la mancanza, il legame reciso, si trasformerà in ricordo, in rimembranza. Le ferite pian piano si saneranno, lasciando cicatrici certo, ma saranno ben richiuse, non infette, forse non dolorose persino.
Ed ancora, il lutto va ricordato, rivissuto col ricordo, per salvare quella parte di noi che non siamo più, ma che vive tuttavia dentro di noi, per impedirle di nuocere, di ferirci ancora, di trasformarsi in qualcosa di più pericoloso, e dannoso…
Ok. A parole non sembra difficilissimo…
Commenti al Post:
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sottosoglia il 16/09/04 alle 09:08 via WEB
come mi disse una volta una persona cara "tu, hai in bocca il punto di vista di dio".
buongiorno
(Rispondi)
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john.keating il 16/09/04 alle 12:49 via WEB
Era una persona che ti voleva certamente molto bene. :-) Buongiorno a te.
(Rispondi)
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venere_privata.x il 16/09/04 alle 23:39 via WEB
... veramente sono convinta che ci siano esperienze di cui potremmo fare benissimo a meno. Quello che dici... (e Dio solo sa COME lo dici)... è vero. Ma personalmente penso che ci siano "lutti e lutti". E per alcuni le tue parole sono "la verità". Ma per altri... credimi... il dolore nasce dalla rabbia. E non certo dalla fine di un rapporto che, obiettivamente, è stato un'inutile perdita di tempo.
(Rispondi)
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john.keating il 17/09/04 alle 10:22 via WEB
Mh... la rabbia può essere un buon motore per superare la cosa. Certo, se ben canalizzata, e compresa soprattutto. Se diventasse un'occasione per capire meglio te stessa, le illusioni che ti sei creata, le ragioni per cui provi ancora attaccamento, tanto inutile non sarà stata, e men che mai una perdita di tempo. E dopotutto, in un anno e mezzo, la gioia che hai provato - per quanto pagata a caro prezzo - tientela cara. Un modo come un anno per volerti bene, e rispettarti.
(Rispondi)
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soulplace il 17/09/04 alle 10:47 via WEB
A parole non sembra difficilissimo?? Wow, non ti spaventi facilmente, vedo... sto scoprendo qualcosa, proprio in questo periodo, rispetto alla mancanza, e al dolore... ecco... ho imparato che il continuo raziocinarci sopra, non basta, anzi, ad un certo punto, è dannoso... dannoso perchè ti distacca dal problema, che è il dolore, e il dolore è una cosa prettamente emotiva, e fisica... ragionando sul modo di superare il dolore, tu lo stacchi da te, lo impacchetti e lo lasci lì, perdendone i contatti... ma è a piombo nello stomaco, e quando ti muovi, grava sul tuo andamento, e non puoi neanche sollevarlo e metterlo in un posto dove faccia meno danni, perchè non sai più dove trovarlo... il dolore... va esplorato... perchè, una volta vissuto fino in fondo, diventa un mattone forte della nosta esistenza, e non più detrito incontrollabile vagante nella nostra anima...
(Rispondi)
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john.keating il 17/09/04 alle 11:21 via WEB
Paola, il dolore non è necessario, è dannoso. Il dolore oscura le percezioni, confonde le analisi. Il dolore va lenito, necessariamente. Non porta nulla di buono il dolore, non è mai utile. E' lecito, e giusto difendersi da esso. Te lo direbbe qualunque analista. Occorre rimuovere le cause che provocano il dolore, ma non celandole, nascondendole. Al contrario, affrontandole, a viso aperto, con coraggio e consapevolezza. Occorre chiudere le ferite, è necessario. So, hold on. Felice di rileggerti :-)
(Rispondi)
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soulplace il 17/09/04 alle 11:47 via WEB
Assolutamente d'accordo con te... le ferite vanno chiuse... ma che il dolore non sia necessario... non sono d'accordo... utile... quanto la gioia... il dolore ci aiuta a superare noi stessi, a trovare l'ostacolo ed aver l'assoluto bisogno di superarlo... e per farlo, niente bisturi... bisogna immergerci le mani e ribaltarlo, fino a che non avrai trovato il modo... questo è quello che sto facendo, adesso, che sto risorgendo dal mio dolore... e gli psicanalisti... mmm... mai stati troppo simpatici...:o) baci, tanti.
(Rispondi)
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occhineri7101 il 18/09/04 alle 03:03 via WEB
...allenarsi a perderla...allenarsi a perderla..mi sembra di non fare altro...
(Rispondi)
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