Forse...

I support IDF


E' ormai ben noto a tutti che le informazioni più credibili pubblicate su Repubblica sono gli oroscopi e le previsioni del tempo, eppure c'è ancora chi legge quel giornale, che qualche giorno fa ha dedicato ben due articoli ad un fatto di cronaca avvenuto ad Hebron:Scrive Alberto Stabile:Siamo ad Hebron, la Città dove riposano i Patriarchi, che qualche centinaio di coloni israeliani, a dispetto della storia e degli oltre centomila palestinesi che ci vivono, hanno scelto come simbolo del riscatto della biblica Eretz Israel. Ed è per garantire ai coloni di poter coltivare il loro disegno nazionalista religioso, che il centro di Hebron è dal 1967 occupato militarmente. In sostanza, Hebron è una scintilla del conflitto perennemente accesa. Ora, viene da sorridere a pensare come Waadi, che non arriva neanche alle ginocchia dei soldati che lo circondano, possa aver rappresentato una minaccia qualsivoglia alla sicurezza dello Stato ebraico. Ma il bimbo, spiega l'ufficiale ai pochi passanti che notano la scena e si avvicinano, ha tirato una pietra contro la macchina di un colono (colpendo una ruota) e va deferito (cioè consegnato) alla polizia palestinese per i dovuti provvedimenti.Waadi intuisce, si dispera. La telecamera di B-Tselem, un'organizzazione nata in Israele ma animata tanto da attivisti israeliani che palestinesi, registra l'indifferenza dei soldati al pianto di quel bimbo, la concitata trattativa con un ragazzo palestinese per sapere dove abita Waadi, e infine lo sportello della jeep militare che si chiude, inghiottendolo sguardo disperato del bambino.Waadi Maswada ha appena cinque anni e nove mesi, e quasi non si riesce ad intravedere in mezzo alle esuberanti corporature dei militari israeliani, sei soldati e un ufficiale della Brigata Givati, che lo circondano. Ma sullo sfondo della scena, ripresa da un attivista dei diritti umani della Ong B-Tselem, un occhio spalancato sugli eccessi dell'interminabile occupazione dei Territori palestinesi, si sente, insistente come il lamento di un animale ferito, il pianto di Waadi che sta per essere arrestato.Giunti a casa, ci dice l'accurato resoconto di B-Tselem, i soldati informano la madre che intendono consegnareilbambino alla polizia palestinese (con cui l'esercito israeliano continua una sorta di coordinamento che risale agli accordi di Oslo, per il resto rimasti inapplicati). La donna, ovviamente, si rifiuta, di consegnare Waadi, che nel frattempo s'è nascosto dietro una pila di materassi, almeno finché non arriva il padre, Karam.Dopo mezz'ora, arriva Karam. I soldati insistono nella loro decisione di trasferire il bimbo alla polizia palestinese. Il padre obbietta: «Ma ha soltanto cinque anni»! Niente da fare: se non ubbidisce agli ordini, Karam sarà arrestato. Ora la scena cambia. Padre e figlio stati portati alla base militare israeliana di a-Shuhada. Karam ha gli occhi coperti da una benda chiara ele manette aipolsi, comefosse sospettato di chissà quale atto di violenza anti israeliana. Waadi gli siede accanto. Insieme, Karam essendo sempre bendato e ammanettato, vengono accompagnati al posto di blocco del Dco, l'Ufficio di coordinamento, dove ad un certo punto arriva un colonnello israeliano. Il quale, rivolto ai suoi uomini, si lancia in una reprimenda: «Voi state danneggiando la nostra immagine». Non che lo sfiori il sospetto che il fermo sia pure temporaneo di un bimbo sia illegale, ma perché «in presenza della telecamere, i palestinesi arrestati debbono essere trattati bene». Karam e ilpiccolo Waadi vengono consegnati alla poli zia palestinese che li rilascerà subito dopo.La logica deformata da unoccupazione infinita ha vinto ancora. Le legge è stata applicata alla lettera, contro un bambino di 5 anni e 9 mesi anche se l'età minima della responsabilità penale nei Territori è di 12 anni. Ma ipalestinesi, si sa, non hanno diritto neanche all'infanzia.In serata l'esercito ha rivendicato la correttezza dell'operato dei soldati, ma ha anche annunciato l'apertura di un'inchiesta.
E non basta... a rincarare la dose arriva anche nientepopodimeno che Adriano Sofri:TRATTARE un bambino di cinque anni e nove mesi, che piange spaventato, come se fosse un pericoloso nemico adulto, e umiliare suo padre davanti a lui e a causa di lui, non è solo un'infamia: vuol dire fare di quello e di tanti altri bambini, asciugate le lacrime, irriducibili e temibili nemici. È successo il 9 luglio a Hebron, il video è in rete da ieri, girato da un militante di B-Tselem. B-Tselem significa, dalla Genesi, "a sua immagine", è una preziosa organizzazione israeliana per la difesa dei diritti umani nei territori occupati. Il bambino si chiama Waadi, il suo giovane padre Abu Karam Maswadeh. L'operazione è condotta da una decina di soldati e un ufficiale. Volevano portarlo via da solo - ha tirato un sasso all'auto di un colono, dicono; testimoni dicono che l'ha tirato a un cane - ma sua madre si è opposta, vuole che arrivi il padre, altri bambini, specialmente una minuscola e risoluta, lo circondano e lo incoraggiano.Arriva Karam e chiede: "Perché volete arrestare un bambino di cinque anni?" Ha tirato un sasso. Lui cerca di farli ragionare, invano. Li fanno salire sulla camionetta, li portano via insieme, Waadi piange e si stringe al padre. Li chiudono per mezz'ora in caserma. Poi i soldati ammanettano il padre e gli bendano gli occhi con una fascia bianca, e li portano a piedi, in una ostentata gogna, fino al checkpoint 56 (non so se sia un numero ordinale, certo Hebron è piena di checkpoints), dove li trattengono un'altra mezz'ora. L'uomo di B-Tselem filma tutto, i soldati lo fotografano più volte, per intimidirlo: ma tutta la scena si svolge in una surreale tranquillità. "Mera routine", osserverà un commentatore israeliano, aggiungendo: "Mero razzismo". Arriva un ufficiale più alto in grado, il padre - che parla l'ebreo oltre all'arabo e l'inglese - è in grado di seguire i loro discorsi: l'ufficiale li rimprovera per averli arrestati platealmente davanti alle telecamere: danno d'immagine. Allora un soldato slega il padre, gli toglie la benda e gli dà dell'acqua. Padre e figlio vengono consegnati a poliziotti palestinesi, e subito rilasciati. Il video è un incidente, ma rivela che l'arresto di bambini e genitori e la loro consegna alla polizia è la norma, illegale, nat uralmente. L'età minima per la responsabilità penale è di 12 anni. Nessun bambino israeliano che tirasse pietre a palestinesi è mai stato arrestato, e neanche gli adulti. Hebron, che per i palestinesi è Al Khalil, capoluogo della Cisgiordania meridionale, occupata dal 1967, sacra a tutte le religioni monoteiste, è abitata da più di 150 mila palestinesi, da 700 coloni israeliani, e più di mille soldati a loro difesa. A Hebron, nel 1994, Baruch Goldstein, medico colono dell'insediamento di Kiryat Arba, fece strage di palestinesi in preghiera nella moschea di Ibrahim - la tomba dei patriarchi: il primo attentato suicida avvenne proclamando di vendicare quella carneficina. Dicono che il viaggio a Hebron stringa il cuore. Che i soldati israeliani e i bambini palestinesi giochino come il gatto coi topolini. Che l'esercito scorti i coloni e i visitatori sionisti in incursioni sprezzanti ai quartieri palestinesi. Che le aggressioni per sradicare colture e forzare i palestinesi a lasciare altre terre ai coloni siano continue. Dall'alto della città vecchia divenuta un luogo fantasma, è stesa una gran rete per impedire ai rifiuti, i sassi, le bottiglie lanciate dagli haredim incattiviti di colpire i passanti palestinesi. Dicono che ai più fanatici piaccia pisciargli sopra, dall'alto. Molti anni fa c'era in Israele un gruppo di riservisti pacifisti che aveva scelto per titolo "Yesh gvul", che vuol dire "C'è un limite". Non so se il gruppo ci sia ancora. Il limite dovrebbe esserci, sempre, dovrebbe esserci un limite a tutto. Il 9 luglio è stato di nuovo superato. I cristiani sussultano specialmente alla vista di un giovane uomo incolpevole trascinato per le strade da armati con gli occhi bendati: gli ricorda un altro. E non c'era il bambino. Ma non occorre essere cristiani per sussultare. Ho letto i commenti sul sito di Haaretz, combattuti, alcuni orrendi, altri ammirevoli. Uno ha scritto: "Anch'io da piccolo ho tirato un sasso alle bambine. Mi hanno castigato e non l'ho fatto più". Un altro ha risposto: "Hanno anche portato via tuo padre con gli occhi bendati?".
E di fronte ad un crimine così efferato, invece di cospargermi il capo di cenere e di condannare lo spietato comportamento dei nazisti israeliani, io addirittura mi permetto di dire "I support IDF"? Ebbene sì, forse è sufficiente approfondire un po' meglio quello che riportano i due.Ad esempio si potrebbe notare che il caso è stato filmato e denunciato da B'Tselem, un'organizzazione ISRAELIANA che si occupa del rispetto dei diritti umani nei territori, e che quei filmati non sono stati impediti dall'Esercito israeliano, nel pieno rispetto di trasparenza e libertà di informazione. Spesso si definisce Israele come "l'unica democrazia del Medio Oriente", a me sembra che questa libertà concessa ad un'organizzazione certamente non filogovernativa di riprendere un'operazione di polizia militare possa insegnare qualcosa anche alle nostre democrazie occidentali.Consiglio comunque la visione integrale dei filmati che tanto hanno turbato le pie anime di Stabile e Sofri, questa è la pagina di B'Tselem:http://www.btselem.org/press_releases/20130711_soldiers_detain_5_year_old_in_hebronIo ovviamente mi sono guardato tutti i filmati e ne ho tratto queste conclusioni: Innanzitutto non ho notato nessuna "concitata trattativa", come la descrive il signor Stabile. Anzi, sono quasi stato colpito da un'atmosfera di ordinaria amministrazione, di noia, di consuetudine. Non ho visto esasperazione o atteggiamenti che potessero sfociare in violenza né da parte israeliana né palestinese. Da notare poi che il piccolo lanciatore di pietre non è stato mai toccato da nessun israeliano, ma è sempre stato trattenuto ed accompagnato da palestinesi. L'unica cosa che non mi è piaciuta in quei filmati è il fatto che il padre sia stato ammanettato e bendato. E' possibile che questo nasca dall'esigenza di mantenere sicurezza e segretezza nelle procedure di un checkpoint, ma a me è sembrato eccessivo, proprio per quella atmosfera per nulla concitata o violenta. Ma se in questo non ho apprezzato il comportamento dei soldati israeliani, sono stato invece disgustato da quanto hanno scritto i due articolisti.
Il signor Stabile sembra turbato ed infastidito dalle "esuberanti corporature" dei soldati israeliani, forse preferiva immagini più da Jud Süß,  vecchietti con  il naso adunco e la schiena piegata, o rimpiange i tempi in cui si scattavano fotografie come questa:
E Sofri non è da meno, quando si premura di farci notare che il padre del bambino oltre che arabo ed inglese "parla l'ebreo". Per quanta poca simpatia si possa avere per Sofri di certo non lo si può considerare ignorante, quindi è difficile pensare che scrivere "parla l'ebreo" invece che "parla l'ebraico" non sia voluto.....Sempre a proposito di ignoranza... immagino che per scrivere su un quotidiano, anche se  del livello di Repubblica, un minimo di conoscenza dei fatti sia necessario averlo. Se Sofri e Stabile cercano di fare passare la presenza israeliana ad Hebron come un gratuito capriccio di qualche colono mi riesce difficile pensare che siano in buona fede. Dovrebbero pur conoscere gli accordi di Oslo ed i relativi documenti attuativi, tra cui appunto il protocollo di Hebron, sottoscritto da Israele e dall'ANP, in cui si sancisce la separazione di Hebron in due zone di influenza e si legittima la presenza israeliana nella città vecchia.
E veniamo all'ultima mistificazione. L'insistenza sull'"arresto del bambino" e sulla non punibilità penale dei minori. Quest'ultimo principio è universale, ma non significa  certo che un ragazzino al di sotto dell'età di punibiltà possa fare tutto ciò che gli aggrada! In qualunque paese del mondo un minore non punibile che commette un reato viene riaccompagnato a casa per essere affidato alla custodia dei genitori. Qui poi si vedrà se lo stato della sua famiglia è tale da ritenere sufficiente questa misura, o se invece non siano riscontrabili addirittura responsabilità della famiglia stessa nel suo comportamento, il che potrebbe anche portare all'allontanamento del minore dal suo nucleo familiare, con l'affidamento ai servizi sociali.     E questo è quel che è successo, niente di più e niente di meno, con un'unica differenza, un passaggio in più proprio nel rispetto degli accordi di Oslo, cioè il fatto che dopo il fermo, l'identificazione e la ricerca dei parenti la competenza deve essere trasmessa  alla polizia palestinese. Così come è stato fatto. Se poi quest'ultima ritiene che di fronte allo sport nazionale di bersagliare le auto a sassate sia opportuno l'immediato rilascio con baci, abbracci e strette di mano, questo è un altro problema, e riguarda la considerazione che l'ANP vuole avere come interlocuore.
Conclusioni? Piuttosto semplici. Non credo che l'IDF sia santo, perfetto e al di sopra di ogni possibile critica. I suoi uomini hanno commesso, commettono e commetteranno errori e prevaricazioni. Ma compiono ogni giorno un lavoro difficilissimo, proteggono il loro Paese da un nemico invisibile ed imprevedibile, sempre nascosto dietro alla popolazione civile. Lo stress è continuo, basta un minimo errore, un'esitazione, una reazione sbagliata per paura o per fatica e può accadere l'irreparabile, si possono causare vittime innocenti o si può fare la fine di Gilad Shalit o, peggio, di Vadim Nuhrzitz e Yosef Avrahami, i due riservisti israeliani "presi in consegna" nell'ottobre 2000 dalla polizia dell'ANP a Ramallah e poi linciati dalla folla. Sarebbe facile ora pubblicare qui qualche immagine di quell'evento e poi utilizzare (ben più a ragione!) la stessa stucchevole retorica di Sofri e Stabile. Ma non mi voglio abbassare a questi livelli. Una foto però la voglio mettere comunque:
Questo signore è Aziz Sahla. Si affacccia dalla finestra della stazione di polizia di Ramallah, da cui ha appena gettato il cadavere di uno dei riservisti israeliani e mostra con orgoglio alla folla plaudente le mani insanguinate. Un anno dopo fu arrestato dagli Israeliani, processato e condannato all'ergastolo, reo confesso. Nell'ottobre 2011 è stato scarcerato, assieme ad un altro migliaio di degni compari nell'ambito dello scambio per riavere Gilad Shalit. Questa è la differenza tra Israele e i suoi vicini. E per questo, anche se l'IDF ha trattenuto (non arrestato!) per due ore un bambino e ha bendato il padre, non posso che ripetere: