FUORI SERIE

Caro amico ti scrivo


Una lettera. Una vera lettera. Chi si ricorda ancora di quel lento e oggi anacronistico modo di comunicare? A farmelo tornare in mente prepotentemente è Vatel, un film con Gérard Depardieu, che ho rivisto recentemente. C'è una scena dove una delle protagoniste riceve una lettera: non c'è bisogno della voce fuori campo per capirne il contenuto, glielo si legge in faccia. Chi di voi ricorda quei fogli di gioia (o di tristezza) che avevano percorso lo stesso lungo cammino che ci separava dal mittente? La si aspettava con ansia e impazienza. A volte ci piombava addosso di sorpresa. "Scendo a vedere se c'è posta" era la frase di rito e poi si tornava in casa con la lettera in mano, l'occhio vispo e il cuore in tumulto, fissandola, girandola e rigirandola. Come se quei semplici movimenti avessero il dono di regalarci un'anticipazione del prezioso o terribile contenuto. Quanta nostalgia per quei momenti...Alla gioia di riceverla si aggiungeva quella della lettura. Durante la prima lettura sì scivolava sulle righe, alla ricerca di ciò che volevamo leggere o sentirci dire. Aneddoti, piccole novità di vita quotidiana o magari quelle parole che pronunciano gli innamorati in tutte le latitudini. Inoltre, il piacere della lettera non si esauriva alla prima lettura. Sì ripiegava con cura quel foglio di carta e lo sì riponeva in un luogo sicuro. La tasca interna di una giacca, il cassetto di una scrivania, le pagine di un quaderno oppure ancora direttamente nel luogo che ci è prosaicamente più vicino: il portafoglio. E quando la solitudine o la nostalgia diventavano insopporabili ci appartavamo in quell'angolo di cellulosa e inchiostro ad assaporare la tenerezza del ricordo.