4 passi con me....

Post N° 153


FELICITA’ E ORGOGLIO(Di Giuseppe Staffolani)Non credo che la felicità sia un dono, né credo che derivi dall’assenza del dolore come affermava il Leopardi, ma al limite, ritengo sia uno stato d’animo che, dopo il dolore, ci fa apprezzare anche le cose più piccole alle quali non pensiamo mai, quando godiamo buona salute fisica e psicologica.Penso che la felicità sia essenzialmente ricerca incessante di ciò che può renderci felici; metaforicamente, potrei definirla un simbolo nella sua accezione greca symbàllò (metto insieme). Nella cultura greca, infatti, il simbolo designava le due metà di un oggetto le quali, avvicinandole, diventavano un segno di riconoscimento: io ti do la metà di quest’oggetto e se un giorno ci dovessimo incontrare metteremo insieme le nostre due metà, come segno dell'amore che ci ha fatto ritrovare insieme.In tal senso la felicità è una conquista del pensiero e un’azione del corpo, funzioni che non dànno nulla di materiale, ma che fanno vivere momenti di totale abbandono. Per questo penso che il Leopardi nel suo "e naufragar m’è dolce in questo mare" abbia raggiunto l’attimo sublime della sua felicita la quale, non è un dato permanente che rimane nel tempo, ma rappresenta il segno di come si riesce a godere il tempo stesso che, così, diventa causa o conseguenza della felicità medesima.Un medico, è felice al termine di una difficilissima operazione ben riuscita? Uno psicologo, è felice al termine di una psicoterapia sofferta che ha restituito benessere ed equilibrio ad un’altra persona? Un muratore, quando ha ultimato la costruzione di un palazzo e l’architetto, che l’ha progettato, sono felici? In ogni arte e mestiere la felicità non sta nel benessere economico ricavato, ma nella soddisfazione di aver compiuto l’opera con tale orgoglio e fierezza da predisporre l’animo alla distensione per guardare lontano, oltre la "siepe". Sotto quest’aspetto, è un’illusione soggettiva che dura finché non subentra la delusione distruttiva. Io, infatti, sono felice se penso di essere amato da tutti, ma la mia felicità crolla, non appena la realtà della vita mi dimostra il contrario. E’ felice, quindi, chi impara a vivere nell’alternanza dei sentimenti, chi ama senza aspettarsi nulla dall’altro, chi supera l’odio senza rancore e chi riesce ad amare ciò che ha disprezzato, perché la felicità distaccata delle condizioni pratiche della vita, dall’odio e dall’amore, non è indicativa di uno stato di benessere in un mondo contraddittorio ed inquieto come quello in cui noi viviamo. Nietzsche in un suo celebre aforisma afferma: Un saggio chiese ad un pazzo quale fosse la via che conducesse alla felicità. Il pazzo rispose senza indugio, come un uomo che conduce alla città più vicina. " Ammira te stesso e vivi nella strada." "Fermati, gridò il saggio, tu esigi troppo, basta già l’ammirare se stesso!" Il pazzo replicò: " Ma come si può costantemente ammirare, senza costantemente disprezzare?"La felicità dipende dal saper leggere e ri-vivere le esperienze del passato, anche disprezzandole, ma senza rimpianto e senza acredine, senza commiserazione e senza desideri di vendetta; solo con l’orgoglio di un essere libero che si muove con passo fermo, audace e, a volte, anche temerario, per dominare le tristezze del mondo che, in ultima analisi e al di fuori d’ogni valutazione pedagogica o moralistica, è quel mondo che i nostri padri hanno voluto.Ora, se quel mondo nel quale siamo stati gettati non ci piace, dobbiamo avere l’orgoglio costruttivo di cambiarlo, senza l’arroganza di trovare i responsabili delle tristezze, perché l’Universo fatto solo d’amore, pace e serenità permanenti, è pura illusione ingannevole che non appartiene al mondo degli umani.Per estirpare il male nel mondo occorre prima conoscerlo, altrimenti s’ingaggerebbe una lotta contro scenari fantasmatici dove proiettare desideri consci irrealizzabili e, dopo averlo conosciuto occorre agire, rimuovendo le situazioni inaccettabili e proponendo nuovi valori, diversamente non ha senso parlare di felicità che, per essere vera, deve proporsi come una risultante di uno sforzo fra l’orgoglio di esserci e la disponibilità di appartenere anche agli altri.In altre parole, la felicità è sempre l’esito di una lotta fra due opposte tendenze del sentimento: quella dinamica che tende allo sviluppo delle relazioni e quella statica che tende ad imprigionarne il processo e, per di più, non dura molto a lungo, ma se l’uomo impara ad alimentare il flusso delle emozioni e il gioco dei sentimenti che sono in lui, la felicità riappare di tanto in tanto, per poi sfuggire e, poi, riapparire di nuovo, ma questo è il bello della vita perché ci fa sentire protagonisti del mondo.