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QUANDO, SUL MONTE IMMOBILE, SPEZZERA' LA FORTEZZA?
E QUESTO CUORE, CHE APPARTIENE INFINITAMENTE AL DIO
QUANDO LO VIOLENTERA'IL DEMIURGO?

SIAMO DAVVERO COSI ANGOSCIOSAMENTE FRAGILI,
COME IL DESTINO VUOLE FARCI INTENDERE?
L'INFANZIA PROFONDA E PROMETTENTE,
SI FA - POI - SILENZIONSA ALLE RADICI?

AH, IL FANTASMA DELL'EFFIMERO
ATTRAVERSA COME UN FUMO
CHI L'ACCOGLIE SENZA SOSPETTI.

NOI SIAMO QUESTO ANDARE ALLA DERIVA,
E PER QUESTO ABBIAMO VALORE,
COME USO DIVINO PRESSO LE DUREVOLI FORZE.

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La nostra Paura più Grande

La nostra paura più profonda non è quella di essere inadeguati.
La nostra paura più grande è che
noi siamo potenti al di là di ogni misura.
E’ la nostra luce, non il nostro buio
ciò che ci spaventa.
Ci domandiamo: "Chi sono io per
essere brillante, magnifico, pieno di talento, favoloso?".
In realtà, chi sei tu per non esserlo?
Tu sei un figlio dell’Universo.
Il tuo giocare a sminuirti non serve
al mondo.
Non c’è nulla di illuminato nel
rimpicciolirsi in modo che gli altri non si sentano insicuri intorno a noi.
Noi siamo fatti per risplendere come
fanno i bambini.
Noi siamo fatti per rendere manifesta
la gloria dell’universo che è in noi.
Non solo in alcuni di noi, è in ognuno
di noi.
E quando permettiamo alla nostra luce
di risplendere, noi, inconsciamente, diamo alle altre persone il permesso di fare la stessa cosa.
Quando ci liberiamo dalle nostre paure,
la nostra presenza automaticamente
libera gli altri.

Nelson Mandela

 
 
 
 
 
 
 

 

 
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Post N° 171

Post n°171 pubblicato il 15 Settembre 2007 da chic47

STEELY DAN

Jack of Speed


Ci sono a volte artisti che riescono nell'intento di accomunare attraverso la propria musica una miriade di appassionati, fra i piu' disparati per gusto musicale. Gli Steely Dan appartengono a questa categoria. La loro musica e' un collage variopinto di molteplici sfumature, una musica raffinata che racchiude in se' molteplici influenze, che collimano fra loro bilanciandosi ad arte e in perfetto equilibrio. Ogni brano riesce a vivere di luce propria, anche quando non e' tra i loro migliori. Eleganza smisurata e professionalita' fino all'esasperazione sono le principali attitudini che fanno la forza degli Steely Dan: un aggregato musicale attraverso il quale riescono a trasmettere un senso di solarita', che si estende a ogni loro ascolto. Insomma, e' come respirare della salutare aria fresca, perche' la "crociata" degli Steely Dan non e' quella dell'innovazione a tutti i costi o di qualsiasi altra ideologia superiore e profonda. La loro missione, se cosi' possiamo chiamarla, e' una riscoperta di vecchi suoni, possibilmente fumosi e in bianco e nero come un vecchio noir con protagonista Humphrey Bogart, e riuscire ad amalgamare certe tradizioni con sonorita' moderne.

E' l'amore per la musica, il loro motore propulsore, la voglia di suonare e il piacere di azzeccare il feeling e la serata giusta per dare vita a una jam session all'insegna dell'improvvisazione, e del buon gusto. Gli arrangiamenti sono poi un altro segreto degli Steely Dan. E' un piacere ascoltare ogni loro disco, perche' dietro ogni singola canzone si intuisce il lavoro d'artigianato che questi musicisti sono riusciti a realizzare, con piccoli orpelli che per pochi secondi arricchiscono e modellano una melodia, riuscendo a renderla geniale.

Gli Steely Dan (nome tratto dal "Pasto Nudo" di Burroughs) all'inizio erano un vero e proprio gruppo, dopo poco i componenti della band presero strade diverse, e il gruppo si trasformo' in un duo sovrano che risponde al nome di Donald Fagen al piano elettrico/acustico, tastiere, e prima voce solista, e Walter Becker, al basso, chitarra e occasionalmente impegnato come seconda voce solista.

Il primo disco e' una sconosciuta colonna sonora You Gotta Walk It Like You Talk It, ma e' con il secondo disco che avviene il loro vero esordio: Can't Buy A Thrill" del 1972, che contiene gia' un hit da ko immediato come "Do It Again" e riceve ottimi riscontri di critica. Countdown To Ecstasy e' la conferma: con questo album gli Steely Dan si fanno portavoci di una musica che si muove su varie correnti, avendo come solida base uno spiccato amore per il jazz piu' commerciale, ma al tempo stesso intelligente. Gli hit sono "Bodhisattva", "My Old School" e "Show Biz Kids".

Pretzel Logic (1974), nel quale canta anche Michael McDonald (futuro Doobie Brothers), e' probabilmente il loro capolavoro. Ognuna delle canzoni e' un classico del loro repertorio. Basti pensare alla traccia numero 1, "Rikki Don't Lose That Number", intrisa di sonorita' fusion ammalianti, in cui tutto ruota attorno a un riff di piano, con la voce aspra di Fagen che si fa piu' rilassata, mentre in sottofondo chitarre distorte riescono a dare quel tanto di carattere che basta senza esagerare. "Night By Night" e' un altro tassello imprescindibile di questo disco: un funky moderno, intenso nell'interpretazione vocale di Fagen, con la chitarra "extraordinaire" di Jeff "Skunk" Baxter che ruggisce in sottofondo, mentre alle percussioni c'e' l'ancora non celebre Jeff Porcaro.

"Any Major Dude Will Tell You" e' un gioiellino acustico sostenuto da un dolce e ammiccante piano. "Barrytown" sfoggia un ritornello infinito, mentre "East St.Louis Toodle -Oo" e' una deliziosa rivisitazione di un classico di Duke Ellington. "Parker's Band" e' in equilibrio fra un funky attuale e una fusion solo accennata qua e la'. "Through With Buzz" e' una piccola canzone arricchita da archi sognanti. La title track e' un elegante blues notturno, introdotto dal piano elettrico e subito afferrato dal cantato di Fagen. "With A Gun" ci immerge in scenari di country rock selvaggio. "Charlie Freak" scorre fluida su di un piano monocorde che aggiunge qualche ombra imprevista di inquietudine agli umori del disco. Chiude il disco "Monkey In Your Soul", che come recita il titolo, e' un excursus verso un soul, grintoso per le improvvise e repentine unghiate di chitarra che si contrappongono a balbettanti sax, ottimi sostegni per introdurre il cantato meditabondo di Fagen.

Gli anni passano e la loro attività si fa sempre meno prolifica, proprio per una sempre maggiore attenzione ai piu' piccoli dettagli. Katy Lied(con "Black Friday", "Daddy Don't Live", "Doctor Wu")conferma l'ottimo feeling esistente fra vendite altissime, concerti sold-out e recensioni lusinghiere.Stessa cosa dicasi per The Royal Scam, una delle loro vette piu' alte, ove riescono nell'intento di scandagliare un genere fino ad allora poco consono per il proprio background, e cioe' il reggae, e come al solito e' un esempio gradevole sempre all'insegna del buon gusto ("Haitian Divorce", "Kid Charlemagne").

Aja (con "Peg", "Deacon Blue", "Josie") affonda le proprie radici una volta di piu' in certo jazz da piano bar. L'ottimo Gaucho(1980) frutta successi internazionali come "Hey Nineteen", "Babylon Sisters", "Time Out Of Mind", ma costa anche un anno di lavoro e l'esaurimento nervoso.

Se c’è una cosa che ha inventato Donald Fagen, è quella musica interlocutoria e lounge che ha ricamato il concetto di pulizia stereotipata. Già con gli Steely Dan, ha esplorato un jazz alle fragole fruibile e strepitoso, tutto intriso di proclami di raffinatezza sonora e di amore per l’ambiente sofisticato.
Con il suo primo disco solista, The Nightfly (1982) poi, quelle caratteristiche vengono estremizzate ed elevate a obbligo esclusivista: assistiamo, in pratica, allo sviluppo del concetto acid-jazz di Aja.
The Nightfly è un disco di tributi e ricordi, il "Baci rubati" dell'americano medio, un'opera di rara intensità intellettuale nell'ambito della musica commerciale, con hit del calibro di "New Frontier", "I.G.Y." e "Ruby baby", ma anche un disco fondamentale e per l’affermazione di progetti laccati ed elitari come quelli new cool degli anni a venire (Everything But The Girl, Style Council), e per la diffusione stessa dell’acid.
Più di un decennio dopo, con Kamakiriad (1993), Fagen ricalca parecchi punti di contatto col precedente, anche se si ha come l’impressione di trovarsi di fronte a un mood più "sfrenato", quasi a voler fare un passo indietro verso i primi Steely Dan. La classe resta intatta, finanche le liriche da vino e aperitivo fashion, e si comincia a intuire che, in realtà, ogni cosa dell’uomo in questione serve a completare quella che ha fatto prima, pure ad anni e anni di distanza.

Tredici anni dopo, ecco Morph The Cat, dove Fagen ripropone i suoi canoni estetici, la musica durante la chiacchiera e per l’incontro prima di mezzanotte. Sia negli esercizi lenti ("Morph The Cat") che in quelli veloci ("H Gang"), c’è il ripiego su segmenti senza ombra, per la prima volta parte di ricordi individuabili e quasi decifrati. E anche laddove sembra prendere il sopravvento una forma di blues d’oltralpe come in "What I Do", tutto si riconduce al picco d’atmosfera in cui tutto è respirabile, dagli stacchi di chitarra e armoniche agli assoli di tastiere.
In "Security Joan" si torna completamente agli Steely Dan, sia nel ritmo che nelle ansie, così come negli intermezzi di basso e negli enormi accordi di piano che delimitano il movimento. Molto riconoscibili anche l’"uso" delle strofe in eco corale e i passaggi in bemolle, senza dimenticare il ritornello che spezza. Non risulta noioso nemmeno un lunghissimo guitar solo che, pur in distorsione, gioca sul limpido irreprensibile.
In definitiva, "Morph The Cat" è l’ennesima ricostruzione della sua carriera, con le privazioni e le aggiunte del caso, ora figlie del tempo, ora no, ma sempre meticolose nel loro essere impeccabili e pensate. Allora si può restare estasiati in quel circondario alla "Love Boat" in cui ti immette "The Great Pagoda Of Funn", con le sue trombette turate e il suo jazz da crociera. L’inflessione sonora è al metronomo, ma è proprio l’uso geniale della prevedibilità la migliore prerogativa di Fagen, tanto da creare qui una forma insostituibile di intrattenimento. E può scioccare pure il funk di "Brite Nitegown", parente stretto delle trovate di Quincy Jones per Michael Jackson, sempre in bilico tra bar e sale da ballo.

Walter Becker, l'architetto sonoro, quello che tra i due predilige il lavoro in cabina di regia, opererà invece in prevalenza come produttore.
Con gli anni Novanta, inizia il ravvicinamento graduale tra i due. Come nelle coppie che si fidano poco di sé stesse, ciascuno produce il progetto dell'altro e poi si tenta il tour insieme. Ovviamente è un successo, e il risultato è un album dal vivo, Alive in America, che ha il principale compito di far sentire al mondo com'è il suono granitico degli Steely Dan dal vivo.

La vera e propria reunion avviene all'alba del nuovo millennio con Two Against Nature, e i 20 anni che hanno separato questo lavoro dal loro ultimo Gaucho sembrano non essere passati. Donald Fagen e Walter Becker, sono tornati da vecchi, da sorpassati, a dire la loro sulla musica contemporanea, con il loro amore per il jazz e per la musica colta coltivato in maniera paradossale.Musicisti che guardano da sempre alle grandi orchestre di Duke Ellington e Count Basie, che non possono fare a meno di citare nelle interviste la loro passione per Charlie Parker e Sonny Rollins, salvo poi allontanarsene vistosamente nei risultati. Lontani da qualsiasi tentazione citazionistica, come veri artigiani della musica capaci di scandagliare quell'oceano di suoni che è stato il jazz tra il 1920 e il 1950, decostruendo sonorità e note, immaginando melodie lunatiche che sembrano uscire da una personalissima visione del musical. Sempre, in fin dei conti, uguali a sé stessi, dal lontano 1972, l'anno del loro esordio con Can't Buy A Thrill.

Two Against Nature: due contronatura, quali effettivamente Fagen e Becker sembrano essere, così lontani dai suoni di oggi e così certosini nel perseguire la loro idea di musica. Si comincia in sordina, con il basso e la chitarra che dialogano tra loro in una ritmica funk, in modalità simili alle ultime prove del gruppo. La title-track, "Two against nature" svolge le stesse funzioni del vecchio "Aja", un brano lungo otto minuti multiritmico, potente e quasi rapsodico, con i fiati in evidenza. Una novità, invece, il fatto che i due siano presenti su quasi tutti i brani come strumentisti, preferendo affidarsi più a sé stessi che agli ospiti, all'opposto di Gaucho, dove invece la qualità degli ospiti rendeva tutto splendente e potente. Two Against Nature è viceversa un disco sussurrato, più minimale nella forma. Dei vecchi collaboratori restano qua e là Lou Marini e Dave Tofani, più Hugh McCracken, chitarrista, passato alla storia più che altro per il fortunato contributo all'armonica nel memorabile "New Frontier" di Fagen. Ma la qualità è la stessa: i testi sarcastici e oscuri fanno da contrappunto alle sonorità morbide, ed ecco compiersi il solito miracolo degli album degli Steely Dan: a ogni ascolto i brani rivelano sfumature nuove, gli strumenti partecipano a un flusso ipnotico che si fa sempre più sinuoso e coinvolgente, e in cui il narratore Fagen riesce una volta di più ad ammaliare, raccontando di falsi movimenti e di incontri mancati. Su tutto, la solita perfezione del suono.

I due, insomma, si mostrano sempre in buona forma, così come nell'ancor piu' valido e recente Everything Must Go. Tutto passa, eccetto il loro ottimo feeling per le buone armonie vocali e la musica leggera e intelligente.

Contributi di Angelo Franzese ("Morph The Cat")

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Le gioie violente hanno violenta fine, e muoiono nel loro trionfo, come il fuoco e la polvere da sparo, che si distruggono al primo bacio. Il più squisito miele diviene stucchevole per la sua stessa dolcezza, e basta assaggiarlo per levarsene la voglia. Perciò ama moderatamente: l'amore che dura fa così.

W. Shakespeare

 

 

 
 
 
 
 
 
 

SONETTO 121

È meglio esser colpevole che tale esser stimato
quando non essendolo si è accusati d'esserlo;
e perso è ogni valor sincero perché creduto colpa
non dal nostro sentire, ma dal giudizio d'altri.

Perché mai dovrebbero gli occhi altrui adulteri
considerar vizioso il mio amoroso sangue?
Perché nelle mie voglie s'insinuan lascive spie
che a parer lor condannano quel ch'io ritengo giusto?

No, io sono quel che sono e chi mira
ai miei errori, colpisce solo i propri;
potrei esser io sincero e loro non dire il vero,

non venga il mio agir pesato dal loro pensar corrotto;
a men che non sostengano questo mal comune -
l'umanità é malvagia e nel suo mal trionfa.

William Shakespeare




 
 
 
 
 

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