Creato da lost4mostofitallyeah il 04/03/2009
CON QUEL TRUCCO CHE MI SDOPPIA LA FOCE
 

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Messaggi di Aprile 2016

Guarda che luna. Capitolo ottavo.

Post n°273 pubblicato il 28 Aprile 2016 da lost4mostofitallyeah







Dopo una brevissima sosta ci rimettemmo in cammino, quasi contando i passi che ci separavano dalla prima pattuglia di regolari che avremmo incrociato. Il sergente Dakwaafi strascicava i piedi alle mie spalle e Io sentivo la sua presenza come quella di un avvoltoio immobile sull'albero in attesa del pranzo. Mi arrestai e lo costrinsi a starmi al fianco :"Lei, sergente ha mai ucciso qualcuno a mani nude?" Mi sogguardò come un bambino che avesse commesso una marachella :"Può essere successo, ma come mai le interessa tanto?" "Per comprendere la differenza fra me e voi. L'artiglieria pesante, nella quale servo, compie immani stragi senza mai avere chiaro l'effetto della propria attività. Non è sorprendente? Non possiamo immaginare il numero di vittime maciullate dalle nostre granate e lei mi dice di avere ancora ucciso all'arma bianca." "Proprio in ciò sta la differenza fra lei e noi. Lei è vissuto in bolla, sottotenente, e ora questa bolla è esplosa. Comunque sì, ho ucciso. Ma non un nemico come l'intende lei. Era un ragazzo che barava alle carte e che mi aveva soffiato una montagna di quattrini. Una sera l'ho invitato a fumarsi una canna vicino al bosco e l'ho strangolato con le mie mani. Mi ero costruito un buon alibi per quella notte e nessuno venne mai a sospettarmi. Intende denunciarmi, ora? O andare a trovare qualcuno dei suoi commilitoni a cui raccontare tutta la storiella?" Mi percorse un brivido e immaginai la scena: lo sguardo dissociato del sergente mentre strozzava il furbacchione. Tornai a fissarlo e vidi un pacioso militare nero un po' sovrappeso che scherzava abitualmente con i suoi sottoposti invitandoli ad accelerare il passo. "Non ne vedo il motivo" Buttai lì "Tanto saranno gli esploratori a trovarci. Ormai il fronte si sta muovendo avanti in modo vertiginoso." Avevo appena finito di parlare quando un Altolà possente si smarcò fra il rombo dell'artiglieria e lo schiocco dei proiettili. Guardammo avanti fra la nebbia che si stava diradando, ma fu dal nostro lato sinistro che uscirono i volontari polacchi del comandante Gabes, puntando minacciosi le loro armi automatiche nella nostra direzione. Avanzavano lenti e circospetti, e in pochi, sospettosi minuti, furono alla nostra presenza masticando chewing gum e parlando fra di loro in un linguaggio gutturale e aggressivo. "La guerra si svolge alle vostre spalle" Disse alla fine uno dei loro graduati sventolandomi una pistola sotto il naso e indicando i luoghi che avevamo appena lasciato. Compresi dallo sguardo di Eberhard che era il mio momento e affrontai l'ufficiale polacco: "Siamo sbandati, colonnello. Abbiamo portato l'offensiva il più avanti possibile, poi il fuoco amico ha distrutto le nostre comunicazioni radio e ci siamo trovati isolati, abbiamo corso il rischio di finire in una sacca e ne siamo usciti a stento. Adesso intendevamo tornare alla base per riorganizzarci e vederci assegnare nuovi compiti." Il polacco mi osservò con attenzione da sotto l'elmetto. Era un bell'uomo, dallo sguardo gelido e con la barba di alcuni giorni "E poi?" "E poi nulla" Cominciai a spazientirmi "Intendiamo arrivare fino al quartier generale del generale Prospero Defant per metterlo a parte di alcune realtà tattiche che abbiamo constatato." Era il cuore della notte e i polacchi ci scrutavano sotto l'illuminazione delle loro torce elettriche "Non stavate scappando, immagino?" "Si figuri, colonnello. Questo è il XVI reggimento Togo che si è coperto di gloria in innumerevoli scontri, sempre fedeli alla causa. Fatto è che eravamo finiti in un cul-de-sac con irregolari tutt'intorno. Ci siamo tirati fuori a stento, subendo pesanti perdite." E indicai alcuni dei feriti che ci trascinavamo dietro. "Conosco il reggimento Togo" Fece l'ufficiale "Ne conosco il valore." "Anche noi conosciamo il vostro. Colonnello Gabes, abbiamo avuto il piacere di incontrarci qualche mese fa. Io sono il capitano Defant, distaccato momentaneamente presso il XVI reggimento Togo in quanto ufficiale di collegamento con la III armata." E feci un impeccabile saluto militare. Lui abbozzò senza rispondermi e mormorò :"é stato promosso. Congratulazioni." Mi si gelò il sangue nelle vene ma mantenni un impeccabile aplomb. "Sì" Risposi "é il merito di fare bene il proprio lavoro." Sorrise e ordinò ai suoi soldati di lasciarci strada. "Attenzione" Aggiunse "Tenetevi sulla strada per Cambiago. Le vie per Bernareggio sono minate. In questa zona non hanno fatto in tempo ma si sposti più a nord e troverà tanti di quei giocattolini capaci di spedirvi per aria in un secondo." Lo ringraziai e sfilammo sotto i loro sguardi, comunque perplessi.






(Continua)







 
 
 

Guarda che luna. Capitolo settimo.

Post n°272 pubblicato il 22 Aprile 2016 da lost4mostofitallyeah







Non restammo sul posto a lungo. Gettammo i cadaveri dei maghrebini in un canale e tornammo a muoverci. La nebbia s'era sollevata e la luna risplendeva piena lungo il nostro cammino. Tagliammo obliquamente una nuova direzione di marcia e passammo fra le rovine di una frazione nemmeno segnata sulle carte. Erano null'altro che tre possenti edifici addossati l'uno all'altro e con larghe corti interne. Casolari di campagna sventrati, pensai. "Potremmo fermarci lì dentro e fare il punto della situazione." Mormorai al capitano Eberhard che mi aveva raggiunto e procedeva al mio fianco. "Che senso avrebbe? Ora dobbiamo ricongiungerci con il quartiere generale di Defant, suo padre, e sistemare le nostre questioni, anche con il suo aiuto." Mi girai attonito e guardai le pupille inespressive del capitano. "Questo che c'entra? Che motivo avete di arrivare proprio nei dintorni di Vimercate? Non avete nulla che fare con mio padre. Semmai dovete regolare i vostri conti personali con il generale Clerici, il vostro diretto superiore." Eberhard sorrise, lasciando baluginare le sue zanne d'avorio e interruppe il procedere della colonna con un cenno. Poi si appoggiò a una colonna diroccata facendo su una sigaretta. "Vuole davvero bene a suo papà, o gli rimprovera qualcosa?" Il capitano accese la sua sigaretta "Non sono affari che la riguardino. Comunque, ho forse un rapporto di amore e odio. Sono dovuto approdare a questa guerra proprio perché sono il figlio di cotanto padre, e lasciare mia madre, la mia compagna e una certa serenità per impelagarmi con questioni che non sono proprio il mio pane quotidiano." "Del tipo: uccidere." "Può anche essere successo, ma non fa tanto male quanto la vaghezza del mio destino. Sono effettivamente stanco di questa carneficina." "Cosa direbbe a Prospero Defant se fosse qui?" Eberhard esalò fumo dalla bocca "Di piantarla. Penso che ormai abbiamo vinto." "Ah, su questo non vedo dubbi, ma vincere non significa convincere. Terminata una guerra se ne accenderà un'altra, con gli insoddisfatti del primo conflitto, e via di seguito." "Voi siete gli sconfitti, capitano, malgrado indossiate le divise del nostro esercito. Avete scelto il campo sbagliato all'ultimo momento. Un gesto suicida." "Può darsi, ma non significa che saremmo stati i vincitori anche restando nelle vostre file. Le ho spiegato la ragione. Tardi, ma ci siamo svegliati. Per noi non fa differenza essere sguatteri in un'armata trionfatrice oppure eroi in un'armata sconfitta. L'unica scelta che ci siamo sentiti di fare è stata quella di tornare alle radici, di combattere l'ultimo scontro dalle parte che sentiamo appartenerci. Magari saremmo stati fucilati come spie anche nel posto dove volevamo finire, ma il destino ha deciso diversamente." Un pensiero folgorante mi attraversò il cervello e andò a schiantarsi sul bagaglio dell'indicibile. Mi attaccai ancora una volta alle pupille magnetiche di Eberhard ed ebbi un moto di orrore. Qualcosa stava cominciando ad emergere dai suoi discorsi apparentemente slegati. Compresi immediatamente che se volevo salvare mio padre dovevo essere talmente forte da non cedere alla tentazione che quell'individuo mi stava imbandendo davanti come un banchetto succulento.






(Continua)








 
 

 
 
 

Guarda che luna. Capitolo sesto.

Post n°271 pubblicato il 18 Aprile 2016 da lost4mostofitallyeah








Ci appiattimmo contro il terreno. Tutti. Mentre osservavamo i marocchini avanzare a ventaglio in mezzo ai campi. Lo spettacolo era brutale e magnifico al tempo stesso: quegli uomini condannati a morte non si arrestavano di un passo ma procedevano guidati dalla folle speranza che uno di Loro (Ognuno si percepiva come il fortunato) l'avrebbe scampata alla fine e sarebbe sopravvissuto all'operazione di draga terrestre fatta con gambe umane. Udimmo un'esplosione e vedemmo un arto volare in aria e poi ricadere a terra lentamente, quasi galleggiando, mentre esplodevano urla agghiaccianti dalla bocca del ferito a morte. Fu questione di pochi minuti e un'altra lacerazione attraversò l'atmosfera seguita da uno scoppio e da grida altissime. Quella gente non era nemmeno tallonata da personale medico, e chi si trovava a saltare su una delle mine sapeva di avere i tempi contati se non ci lasciava la pelle sul colpo. Quanto tempo trascorse? è difficile dirlo. Fatto fu che cinque uomini (sulla sessantina che aveva cominciato a sminare) approdarono su una delle stradine che correvano longitudinali al terreno incolto e furono fatti arrestare attraverso le comunicazioni radio. Appena giunti alla parziale salvezza si gettarono esausti sullo sterrato, lasciandosi andare a preghiere e torrenti di lacrime. Potevamo udirli dalla nostra distanza, che era poco più di un centinaio di metri. Diedi di gomito a Eberhard che stava bocconi al mio fianco. "Ammazziamo i marocchini e procediamo nei campi che hanno appena sminato." Mi sussurrò con gli occhi iniettati di sangue. "Che sta dicendo, Capitano? Sentiranno gli spari e ci vedranno con i cannocchiali. E poi , che senso ha trucidare quei disgraziati? Prima o poi dovremo affrontare le forze regolari e vedere se il vostro trucchetto riesce a funzionare." "Non importa. Più tardi ci imbattiamo nelle vostre truppe meglio è per Noi. E per quanto riguarda i maghrebini.....beh, abbiamo un conto in sospeso con loro, una vecchia storia. E ce la caveremo con i coltelli, senza armi da fuoco o casino. Non vede sottotenente? sono dietro quella siepe di vegetazione. Nessuno (nemmeno dei loro comandanti) riesce a inquadrarli. Lasci fare a Noi, basterà una decina di uomini e la pratica sarà chiusa velocemente. Lei stia qui buono e non dovrà nemmeno chiudere gli occhi. Lo vede? Si sta alzando la nebbia." Era vero. Un velo caliginoso si stava levando dal terreno e diventava più spesso e impenetrabile con il passare dei minuti. Avrei voluto dire un migliaio di cose, avrei voluto imprecare, avrei voluto sollevarmi e correre verso i marocchini per metterli in guardia...ma non feci assolutamente nulla di ciò. Rimasi schiacciato sul terreno come un lombrico mentre nove-dieci uomini del reggimento "Togo" si mettevano verticali e aggiustavano i pugnali nelle cinture, dietro le schiene. Poi Li vidi, sorridenti e sventolanti le braccia, dirigersi incontro al manipolo di camerati coloniali. Morsi il terreno mentre i neri superavano di slancio i cento metri che li separavano dalle ignare vittime e si abbracciavano con esse, parlando fittamente in francese. Poi chiusi le palpebre e mi tappai vertiginosamente le orecchie. Quando riaprì i mei sensi gli Africani erano ancora eretti, ma, ai loro piedi, giacevano, sgozzate, le sagome dei cinque sfortunati arabi. Il sergente Dakwaafi mi fece cenno con la mano di avvicinarmi ma mi ci volle parecchio tempo prima di decidere di accettare la sua sollecitudine. Quando lo feci ero circondato dal grosso degli effettivi del reggimento "Togo" che si congratulava con il gruppo scelto che aveva portato a termine quella poderosa missione. Io ero attonito e confuso e restavo a malapena sulle mie gambe mentre osservavo (anche senza volerlo) i cadaveri dei marocchini sparsi alla rinfusa sul terreno. I neri si erano impadroniti dell'equipaggiamento radio e lo avevano sfasciato senza porre dubbi in mezzo, innanzitutto per non essere costretti alla pantomima di una falsificazione delle voci, e secondo perché una sorta di incertezza superstiziosa gli impediva di impadronirsi degli oggetti appartenuti a così pochi uomini massacrati in maniera tanto vile. Notai il Tenente Omologoh in piedi e severamente accigliato al mio fianco :"Tenente, un giorno riuscirò a sapere cosa vi rende tanto fieri avversari della gente che avete tosto massacrato?" Lui inarcò le sopracciglia e fece un gesto con la mano, come per cacciare una mosca fastidiosa :"Siamo stati colleghi di questa gente e Li abbiamo visto comportarsi in maniera tale che nemmeno il più crudele e bestialmente ottuso degli uomini...." "Non sarebbe stato più semplice, in passato, denunciarli alle Autorità superiori? Io stesso sapevo di voci che giravano ma Voi, che avete assistito personalmente ai loro scempi, dico, non siete riusciti a...." "Nessuno dà retta a un negro, per quanto coraggioso possa essere il suo comportamento sul campo. Per suo padre, Defant, siamo tutti della stessa pasta: maghrebini, ivoriani, somali, palestinesi, angolani.....e abbiamo la brutta abitudine di farci giustizia sommaria. Questa è una cosa che riguarda solo Noi e le nostre beghe tribali. Per lo Stato Maggiore è impensabile che nutriamo sentimenti o che siamo mossi da una regolare sete di giustizia militare. Per Lor Signori saremmo pazzi ed incomprensibili a perseguire le normali vie della denuncia nei casi in cui ci trovassimo davanti a atti di terrorismo verso i civili, o di fronte a stupri collettivi, saccheggi e quant'altro.....questo abbiamo imparato dalla disciplina soldatesca e questo abbiamo imparato a mettere in pratica quando manipoli di delinquenti la fanno franca e si nascondono dietro alla logica della guerra. Ricordi Sottotenente, apparentemente ignoriamo tutto ma non scordiamo nulla, e quando arriva il momento di elargire la giusta retribuzione a certi delinquenti travestiti da militari, beh, non ci tiriamo indietro." "Ma quegli uomini erano in un battaglio disciplinare: segno che gli Alti Gradi non sempre girano la testa dall'altra parte o la nascondono sotto la sabbia." Omologoh mi mostrò i denti lucidissimi in un sorriso sprezzante "No, certamente. Qualche rara volta può succedere. Ma se qualcuno scappa dalla rete, ci siamo Noi, grazie a Dio, a completare il lavoro sporco." 






(continua)








 
 
 

Guarda che luna. Capitolo quinto.

Post n°270 pubblicato il 14 Aprile 2016 da lost4mostofitallyeah







Ci risistemammo e, quando fu allestita una colonna decente, fummo sul punto di metterci in marcia. "Esponete tutte le armi che avete, come veri combattenti!" Urlai. Dopo cinque minuti di ulteriori consultazioni e di rassettamento iniziammo a muoverci. L'ex capitano Eberhard (ora sottotenente) e il Tenente Omologoh alla mia destra e sinistra, il Sergente Dakwaafi più dietro a rinserrare le fila. Un proiettile isolato cadde a una quarantina di metri da Noi facendoci sobbalzare ma non demordere. "Avanti!" Continuai a gridare come un ossesso "Ne avrete viste di peggiori come unità di combattimento ricoperta di onorificenze!" Altre cariche di media taglia ci piovvero intorno, ma ormai la colonna si era posta in marcia e Nulla avrebbe potuto arrestarla. Ci avviammo verso l'ingresso dello stabilimento industriale senza scambiarci una parola. Solo quando fummo all'aperto, lungo le strade acquitrinose della Brianza, cominciai a tornare a scambiare qualche chiacchiera con Eberhard mosso da un improvviso scetticismo sulla riuscita dell'impresa :"Andiamo, Capitano! Crede forse sia così facile bucare le postazioni di entrambi i contendenti in maniera risibile? Tempo venti minuti e saremo fermati dalle mie pattuglie che chiederanno conto a tutti di questa bizzarra carovana." Il graduato nero osservò il cielo che si stava schiarendo da est a ovest e rispose :"Le ripeto che sia Lei che la Nostra persona abbiamo tutto l'interesse a farci sortire assieme da questa trappola. Adesso è ancora buio e le nostre divise non ci tradiranno. Nessuno si prenderà la briga in mezzo a tutto questo macello. Saremo null'altro che un valoroso manipolo di combattenti neri disperso in azione durante una delle micidiali offensive del nostro grazioso esercito. Un manipolo di valorosi che rientra alla base, scavalcando le linee, dopo essersi coperto di gloria durante un vasto rastrellamento di elementi nemici infiltratisi." E qui non fa una piega, pensò Ariele Defant: è esattamente quello che sono. "Ma...una parola. Vedo nel gruppo (malgrado le perdite e i feriti) uno stato d'animo esaltato e una determinazione cieca, e quasi folle. A cos'è dovuto, di grazia, questo stato d'animo? Non mi sembra che vi sia parecchio di cui stare allegri e sovreccitati, secondo la mia personale, umile opinione." Eberhard  grugnì soddisfatto mostrando i denti bianchissimi :"La mia gente ha trovato un nuovo gioco a cui giocare. Si chiama nascondino. E Chi arriva primo batte sulla tana e libera tutti. Le è mai piaciuto signor ufficiale bianco?" "Da piccolo ero un campione: sapevo nascondermi nei luoghi più impensati, e poi uscivo dal mio rifugio quando Tutti erano sfiniti e abbandonavano il divertimento. Era giusto allora il mio personale trionfo." Il Capitano nero lo sogguardava di lato e pareva divertirsi un mondo a questi ricordi infantili :"Noi la concepivamo in maniera diversa. Io, almeno. Per me tutto stava nella velocità e nel fattore sorpresa :Mi celavo non distante dalla base e correvo come un forsennato quando Chi stava sotto iniziava a muoversi. Ero aggressivo. Stupivo tutti per i miei repentini cambiamenti e per la mia capacità di aggiornare il cervello ai cambiamenti in atto con velocità spesso sorprendenti." Defant, che iniziava a capire il linguaggio cifrato del coloured, gli restituì una lunga, intensa occhiata :"è cambiato qualcosa dall'Eberhard bambino a quello attuale? Riesce ancora a pensare all'altrui doppia velocità e a regolare le sue azioni sui mutamenti improvvisi in atto?" L'altro si fermò un istante, obbligando tutta la colonna a fermarsi :"Può scommetterci, sottotenente. Può scommetterci. Ma ora mi pare  sia il caso di darci Tutti una regolata: siamo sul punto di avere visite. E non del tutto piacevoli." Defant distolse gli occhi dalle pupille di Eberhard e guardò in direzione della mano sollevata verso un punto imprecisato all'orizzonte, fra i pioppeti e i canali :"Esploratori?" "Peggio. Marocchini del Generale D'Amico. Compagnie di punizione, probabilmente, mandate a sminare attraverso i campi". "E sminare con cosa? Mai saputo che i Marocchini avessero materiale adeguato." Il Capitano nero espirò con un sibilo fastidioso :"Lei conosce di guerra, Defant. Ma non abbastanza. Quella gente si è resa responsabile di saccheggi, stupri e violenze di ogni tipo, Nonché ABBANDONO DEL CAMPO DI BATTAGLIA. Così hanno trovato un modo più proficuo per punirli. Niente fucilazione o impiccagione collettiva. Semplicemente vengono mandati nelle prime linee a dragare i campi minati con i loro corpi. Avanzano a ventaglio e il 70 % dei Loro salta in aria immediatamente. Il restante 30 % più tardi nel corso dell'offensiva. Non lo trova sottile? E, a suo modo, divertente?" Il Sottotenente lasciò cadere le braccia lungo i fianchi e cominciò a sbattere la lingua sul palato con fare cogitabondo :"Ho riso, in passato, per scherzi più divertenti. Lo sa, Eberhard, che questo sarà il destino del suo reggimento se verranno a conoscenza della diserzione in massa e dei piani per passare al Nemico?" "Indubbiamente. E Lei, caro il mio ufficiale, sa di essere sul punto di diventare la pietra dello scandalo per il suo anziano genitore? Il giovane Ariele Defant arrestato alla guida di un manipolo di disertori negri mentre faceva l'altalena tra il fronte in movimento dei Regolari e quello dei Ribelli. E con quale giustificazione, poi? Umanitarismo, confusione mentale, o, peggio, Intelligenza con il Nemico? Ci pensi bene, Defant. Rifletta su suo padre, Lei stesso e il futuro di sua figlia e di sua madre. E si regoli di conseguenza. La pelle che Noi negri stiamo salvando potrebbe essere la sua."





(Continua)







 
 
 
 
 

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