LA SCOMMESSA

GESUITI: PERCHE' PAGARE LE TASSE


 La notizia di qualche giorno fa dell'anziano padernese coinvolto nella maxi frode fiscale scoperta dalla Guardia di Finanza (post n.2817), come pure le considerazioni di Marco Coloretti sulle tariffe mensa e simili (post n.2813), ci invitano a riflettere seriamente sul dovere di pagare le tasse.Al riguardo, invito a leggere l'editoriale dell numero di aprile di AGGIORNAMENTI SOCIALI (mensile socio-politico dei Gesuiti milanesi):
Tasse: lo sforzo condiviso della partecipazione L'articolo di padre Giacomo Costa termina così:Pur ribadendo il dovere sociale di contribuire al bene comune secondo le proprie possibilità (Gaudium et spes, n. 30), la Chiesa non ha speso in passato molte parole sull'evasione delle tasse: «Quello fiscale è un settore molto poco studiato in campo morale, anche dagli specialisti della morale cattolica», segnalava già qualche anno fa la rivista Civiltà Cattolica (Salvini G.P., «Sistema fiscale ed etica», 2006 [I] 561-571). La situazione non è molto cambiata e la Chiesa sembra sempre affrontare il tema con una certa esitazione.È sicuramente positiva la recente dichiarazione del card. Angelo Bagnasco che «evadere le tasse è peccato», come pure la disponibilità a mettere in discussione il regime di favore fiscale per alcuni immobili della Chiesa. Ma anche questo non è sufficiente, perché l'evasione fiscale non è un furto come altri: è una azione che mina il fondamento della vita sociale. Su un tema tanto delicato quanto complesso, occorre essere limpidi e coerenti.A parte gli errori gestionali commessi per incompetenza - sebbene l'ignoranza colpevole non sia una scusante - da chi gestisce gli "affari economici" di realtà e iniziative ecclesiali, nella pratica gli uomini di Chiesa hanno talvolta aggiunto, con maggiore o minore ingenuità, un'altra giustificazione dell'evasione non meno errata e dannosa delle precedenti: quella "a fin di bene", per garantire attività con finalità sociali. Nemmeno in questo caso si può arrivare a una giustizia "fai da te". È invece importante lottare, anche politicamente, perché siano riconosciute e agevolate fiscalmente le attività con cui la Chiesa e tante altre associazioni laiche o di altre confessioni contribuiscono al bene comune.Anzi, è giunto il momento di trovare il coraggio di compiere gesti profetici, che mettano il patrimonio della Chiesa a servizio del bene comune, in un'ottica di solidarietà e carità istituzionale che sappia trascendere le esigenze pur legittime della stretta giustizia: qualcosa, in termini classici, di supererogatorio. Gli stimoli in questo senso non mancano. Già il Concilio, 50 anni fa, affermava che la Chiesa «non pone la sua speranza nei privilegi offertile dall'autorità civile. Anzi essa rinuncerà all'esercizio di certi diritti legittimamente acquisiti, ove constatasse che il loro uso potesse far dubitare della sincerità della sua testimonianza o nuove circostanze esigessero altre disposizioni» (Gaudium et spes, n. 76). Pochi mesi fa Benedetto XVI, nel discorso al Parlamento tedesco a cui il nostro pensiero continua a tornare, sottolineava come questo non può essere frutto di una strategia di immagine, ma è una essenziale testimonianza di libertà nella verità.