LA SCOMMESSA

POVERTA' ED ESCLUSIONE SOCIALE CI INTERROGANO


L'Anno europeo della lotta alla povertà e all’esclusione sociale (2010) si è appena concluso, ma il problema resta, anzi secondo molti indicatori tende ad aggravarsi. Ci toccherà dunque prolungare la riflessione  su questo argomento scomodo anche nel 2011. Si rende necessario un ripensamento del modello di sviluppo alla luce di alcuni valori di riferimento: sobrietà, condivisione, giustizia, bene comune... Vi propongo un brano tratto da un documento ecclesiale interessante, destinato purtroppo a essere poco conosciuto anche in ambito ecclesiale. Lo hanno redatto congiuntamente Caritas Europa, la Commissione Chiesa e società della Conferenza delle Chiese europee (KEK), il Segretariato della Commissione degli episcopati della Comunità Europea (COMECE) e la Federazione di organizzazioni cristiane Eurodiaconia. Il titolo (straordinariamente evocativo) è: "Non negherai giustizia al tuo povero" (Es 23,6). In pochissime parole questo versetto biblico ricorda due verità: I poveri sono tuoi e te ne devi occupare, non puoi rimuovere il problema dicendo: "Non è affar mio!".Ai poveri che ti chiedono giustizia non negherai ciò che loro spetta (secondo la Bibbia la giustizia non consiste nel "fare le parti uguali" tra concorrenti in lizza tra loro, ma è sempre "giustizia resa al povero" per giungere a una società armonica e in pace).Il documento è stato presentato alle istituzioni europee e agli stati membri in occasione della conferenza ecumenica organizzata presso il Parlamento europeo (Bruxelles, 30 settembre).
 Di seguito riporto un paragrafo che mette in discussione alcune nostre convinzioni radicate. La crisi economica di fatto ha modificato la situazione, ma la nostra mente continua a ragionare secondo schemi vecchi che vanno modificati...Povertà emozionale, morale e spirituale:cercare la vita oltre il consumismoOggi le società ricche sperimentano forme di emarginazione che possono essere qualificate come povertà emozionale, morale e spirituale. Nonostante la prosperità economica, esistono queste varie forme di malessere sociale. Più cresce la prosperità di una società, più è importante, per la coesione comunitaria, che nessuno sia lasciato indietro. Una società che incentra l’attenzione sul profitto individuale, sul consumo e sull’avidità invece che sulla responsabilità per il bene comune, il benessere e il futuro di tutte le persone, genera povertà relazionale ed è formata da persone che riducono la loro umanità a un modello per cui è più importante «avere» che «essere». Le persone induriscono il loro cuore, escludono gli altri e spesso interagiscono fra loro per ragioni di interesse personale piuttosto che di amicizia.Nella nostra epoca caratterizzata da una grande abbondanza, il consumo è diventato talmente importante da indurre le persone a indebitarsi gravemente per sostenerlo. Questo processo è stato definito una «macina edonistica», in definitiva insoddisfacente, e, per chi non riesce a tenere il passo, una fonte di stress che aggrava i problemi di autostima e il senso di fallimento personale. Tale consumismo genera una radicale insoddisfazione perché le aspirazioni più profonde non sono appagate e sono forse addirittura soffocate.Uno stile di vita basato sul consumismo riduce il tempo e lo spazio dedicato alle domande sul senso della vita. Lo sfoggio di beni materiali prevale sull’interiorità, sulla meditazione e sulla riflessione spirituale. La ricerca esclusiva dei beni materiali e della gratificazione immediata accresce la povertà relazionale e spirituale e causa anche un’ingiusta distribuzione dei beni e una non equa partecipazione ai servizi intesi originariamente per tutti. Questa macina consumistica contrasta con l’ideale del cristianesimo, secondo cui il valore umano è indipendente dal successo economico della persona. In realtà, nel corso della storia del cristianesimo, uomini e donne hanno persino sottolineato la loro preferenza per i poveri perché i cristiani, basandosi su Mt 25,31-46, credono che Cristo sia presente nei poveri e nei bisognosi. Secondo la Chiesa delle origini, ilsignificato della condivisione dei beni non riguarda solo la solidarietà fra le persone, ma esprime anche la nostra disposizione verso Dio (cf. Cipriano, Gregorio Nisseno o Giovanni Crisostomo). Nell’antropologia ascetica, l’avidità è considerata la radice di ogni male. Giovanni Damasceno sottolineava che tutti i peccati hanno una durata limitata, mentre l’avarizia è una bestia che non muore mai. Perciò l’avidità è considerata una forma interiore di violenza, esistente in tutte le società umane. Francesco d’Assisi scelse liberamente e radicalmente una vita povera, perché l’imitazione della condizione della stragrande maggioranza dei poveri e la condivisione della loro vita gli sembrava il modo migliore di seguire Cristo e incontrare Dio. Per lui vivere in povertà significava rifiutarsi di percorrere la strada sbagliata dell’ossessione del denaro. Le Confessioni di fede del tempo della Riforma incoraggiano le persone a non riporre la loro fiducia nei beni materiali, ma nella grazia di Dio, che conduce alla giustizia e alle opere buone (Apologia della Confessione di Augusta, art. IV e art. XXVII). Perciò una visione positiva della povertà è stata un elemento importante della tradizione cristiana fin dalle origini e da allora ha continuato a essere una forza stimolante. Oggi, questa visione viene echeggiata dall’appello alla «semplicità di vita» che molte Chiese e comunità cristiane proclamano già da molti anni. Più recentemente, l’idea della «semplicità di vita» ha raggiunto l’opinione pubblica attraverso progetti di ricerca e gruppi di esperti impegnati in forme alternative, sostenibili di produzione e consumo, in risposta ad alcune sfide mondiali come le pratiche commerciali ingiuste e i cambiamenti climatici. La povertà definita come «semplicità di vita» liberamente scelta può diventare quindi un modo per approfondire non solo lo sviluppo personale di ciascun individuo e rafforzare le relazioni interpersonali, ma anche per trasformare la società attraverso un potenziamento della qualità e della sostenibilità della vita. Oggi occorre ritornare a lavorare simultaneamente per la conversione dei cuori e per il miglioramento delle strutture. Altrimenti, la priorità accordata alle strutture e all’organizzazione tecnica rispetto alla persona e alle esigenze della sua dignità esprimerebbe un’antropologia materialistica, contraria alla costruzione di un giusto ordine sociale.L'intero documento è disponibile sulla rivista Il Regno (n.21/2010).