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La scommessa è un blog di Paderno Dugnano Responsabile Giovanni Giuranna (da giugno 2014 consigliere comunale per la lista civica Insieme per cambiare).
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E' importante capire bene le ragioni per cui le vasche di laminazione sono una soluzione solo apparente alle piene del Seveso. Dalla sito della rivista VITA (magazine del non profit) riprendo parte di un'intervista dello scorso novembre all'architetto Antonio Angelillo, direttore del Master di Architettura del Paesaggio all'Università di Barcellona.
Sì, il problema è proprio questo. Si cercano soluzioni emergenziali quando invece si dovrebbe ragionare con calma e sul lungo periodo. È ovvio che l'Italia oggi è molto arretrata sul fronte dei problemi ambientali. La Spagna ad esempio è anni avanti a noi nell’affrontare questi problemi
Quindi si tratta di una soluzione già vecchia?
Queste vasche sono già obsolete. Tutte proposte fatte 15 o 20 anni fa e che vengono realizzate oggi. Viene quasi il dubbio che l'emergenza sia stata creata.
Cosa intende dire?
È solo una mia opinione personale, sia chiaro. Ma per certi versi la realizzazione di queste vasche rende tutta la burocrazia, visto che c'è l'emergenza, molto più fluida. Impostare un progetto più a lungo termine, e moderno dal punto di vista tecnologico non solo vorrebbe dire tempi lunghi ma anche mettere in dubbio il modo con cui si affrontano i problemi in Italia e il ciclo produttivo basato sul cemento.
Cosa intende per obsolete?
Sono obsolete nel senso che producono effetti collaterali sul territorio che oggi possono essere tranquillamente risolvibili con progetti alternativi. In un territorio come quello del Seveso, in cui il 75% della superficie della valle del fiume è urbanizzata, già trovare gli spazi per le vasche è un problema. Si parla di un problema idrogeologico. Le istituzioni lo affrrontano nel modo sbagliato. Oggi ci poniamo il problema di come non fare entrare l'acqua a Milano. E qui entrano in gioco le vasche di laminazione. In realtà però la problematica è da ricercare nella velocità con cui l'acqua affluisce a valle e, dove il fiume è intubato, crea i danni. Dunque più che ragionare su quello che fa l'acqua a valle si dovrebbe ragionare sul come fare per rallentarne il deflusso a monte. In questo modo si eviterebbe anche di introdurre queste vasche che sarebbero un elemento nuovo, dal punto di vista ambientale, nel contesto di una situazione già compromessa già largamente compromessa.
In che senso introducono problemi nuovi?
Queste vasche avranno solo quell'utilizzo. Non saranno utilizzate per qualcosa d'altro se non raccogliere l'acqua in eccesso. Parliamo di aree agricole scavate per 20-30 metri di profondità, cementificate e lasciate in attesa di essere utilizzate. Perché la frequenza di utilizzo potrebbe essere una volta la settimana ma anche una volta ogni 20 anni. Quindi in sostanza cementifichiamo ulteriormente il territorio. Senza contare l'inquinamento dovuto al movimento terra di tutto il terreno che andrà prelevato e i costi di gestione. Ci vogliono pompe ed energia per vuotare una vasca.
Sta dicendo che non è detto che funzionino?
No, dovrebbero funzionare. Quello che dico è che stiamo parlando di una soluzione che prevede consumo di suolo, sprechi energetici e squilibrio del territorio. Si sta cioè parlando di grandi opere. C'è il rischio che le soluzioni di oggi diventino problemi di domani. SI parla di luoghi sottratti alle comunità, risorse potenziali che vengono bruciate. Voragini del genere cambiano tutto l'ecosistema della zona e non possono essere usate per altri scopi. Ogni volta che si costruisce bisogna considerare l'impatto dal punto di vista della biodiversità. Quando non lo si fa il rischio è quello di trovarsi nella situazione in cui ci troviamo oggi. Se si gestisce tutto in modo specialistico, magari si risolve un problema, ma se ne creano altri. Ci vuole uno sguardo olistico, d'insieme.
Pensa cioè che il problema non sia l'enorme quantità di pecipitazioni?
La media delle precipitazione, in termini di quantità totale non è diversa dal solito. Quello che è cambiato è la concentrazione. La stessa quantità di pioggia oggi viene scaricata in periodi molto più brevi. Ci sono dei cambiamenti climatici in atto evidenti. Ma non sono il problema. Principalmente il problema sta nel territorio. Che ormai è vulnerabile. Sappiamo infatti già che a certe condizioni succede quello che abbiamo visto. A Olbia quando c'è stata l'inondazione c'erano alle finestre i cartelli contro il piano idrogeologico che si stava approvando. Il problema insomma era noto. Bisogna dire che nulla avviene per niente. Si può e si deve fare prevenzione. Esattamente come per le malattie. Se il corpo è predisposto e non viene aiutato è chiaro che si ammalerà. L'esondazione è come un infarto. Se non si previene è altamente probabile che succeda.
Perché parla di partecipazione delle comunità?
Perché non si possono fare opere pubbliche senza partecipazione della cittadinanza. Non è una mia idea ma lo dice la Convenzione Europea, lo dicono le leggi europee. In Italia non avviene, quasi mai.
Quali sono le alternative?
Ad esempio diminuire la profondità delle voragini ma allargare l'estensione. In questo modo in quel sito potrebbe esserci un parco. Ma per pensare queste alternative serve cultura, una cultura politica e progettuale che a noi manca. In Spagna abbiamo avuto bellissimi esempi di progetti con cui mettendo in sicurezza i fiumi si sono creati spazi pubblici e hanno riqualificato intere zone cittadine. La gestione dell'acqua è diventato un modo per migliorare la qualità della vita di intere aree delle città.
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