Creato da Giuranna il 05/07/2008
Blog di Giovanni Giuranna - consigliere comunale della lista civica Insieme per cambiare di Paderno Dugnano

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HO STRETTO LA MANO A SALVATORE BORSELLINO

Post n°61 pubblicato il 16 Novembre 2008 da Giuranna
 

Stamattina ho partecipato all'inaugurazione del nuovo Centro di Aggregazione Sociale "Falcone e Borsellino" a Paderno, in Piazza Falcone e Borsellino (nell'area compresa tra via Camposanto e via Gramsci).

Al taglio del nastro ha partecipato davvero tanta gente. In sala convegni c'erano almeno 300 persone e molte altre non sono riuscite a entrare.

Unico punto di domanda: la maggior parte dei presenti era "over 55" (se non più). Sinceramente mi conforta aver visto tanti cittadini uscire di casa la domenica mattina per ascoltare le parole del Sindaco Gianfranco Massetti, dell'ing. Salvatore Borsellino (fratello del magistrato Paolo ucciso dalla mafia) e del dott. Ambrogio Moccia (Magistrato Ispettore Generale del Ministero di Grazia e Giustizia - Monza).

Ma mi domando: dove erano i giovani? e perché così pochi trentenni e quarantenni? Può darsi che l'assenza degli "under 55" sia dipesa dalle modalità con cui è stata pubblicizzata l'iniziativa o dall'orario scelto. In futuro, saranno organizzate altre iniziative sul tema che permetteranno di coinvolgere le fasce più giovani della popolazione padernese.

Dopo il saluto del Sindaco, Salvatore Borsellino ha ricordato con grande forza gli ultimi giorni del fratello. «Erano giorni terribili», ha detto. «Paolo sapeva di dover morire. Continuava a dire: Devo fare presto. E alla mamma e alla moglie diceva: Quando succederà, sappiate che sarà stata la mafia a uccidermi, ma non sarà stata solo la mafia a volermi morto».

Salvatore ha poi ricordato alcune frasi dell'ultima lettera di Paolo Borsellino, scritta all'alba del 19 luglio 1992 (e mai terminata): «la mia città si è di nuovo barbaramente insanguinata ed io non ho tempo da dedicare neanche ai miei figli, che vedo raramente perchè dormono quando esco da casa ed al mio rientro, quasi sempre in ore notturne, li trovo nuovamente addormentati».

Ha poi ricordato le parole che Paolo Borsellino pronunziò alla commemorazione di Giovanni Falcone organizzata dall' Agesci di Palermo, nel trigesimo della strage di Capaci. Una sorta di "testamento spirituale" consegnato ai giovani:  «[Secondo Falcone] la lotta alla mafia non doveva essere soltanto una distaccata opera di repressione, ma un movimento culturale e morale, anche religioso, che coinvolgesse tutti, che tutti aiutasse a sentire la bellezza del fresco profumo di libertà che si contrappone al puzzo del compromesso morale, dell'indifferenza, della contiguità e quindi della complicità».

Verso la fine di quella sua ultima lettera Paolo Borsellino scriveva: «Sono ottimista perchè vedo che verso di essa [la mafia, ndr] i giovani, siciliani e no, hanno oggi una attenzione ben diversa da quella colpevole indifferenza che io mantenni sino ai quarantanni. Quando questi giovani saranno adulti avranno più forza di reagire di quanto io e la mia generazione ne abbiamo avuta».

Ricordando queste parole del fratello, Salvatore ha detto: «Cosa dovrei dire io? Io che sono stato indifferente, io che sono andato via da Palermo quarant'anni fa perché ho scelto il bene della mia famiglia, sentendo che non volevo vivere in una terra dove per avere un lavoro devi piegarti e poi restituire il favore ricevuto...». 

Per questo adesso Salvatore Borsellino gira l'Italia per tenere viva la memoria di Paolo e Giovanni e anche di tutti coloro che sono caduti nella lotta contro la mafia eppure non vengono ricordati con il loro nome e cognome, ma semplicemente come "i membri della scorta".

Il pubblico presente in sala ha accompagnato le parole di Salvatore Borsellino con commozione e numerosi applausi.

Dopo di lui ha preso la parola il magistrato Ambrogio Moccia che ha detto: «Contrariamente a quello che si pensa, la mafia non è un fenomeno a matrice regionale. Riguarda anche il nord Italia dove avviene il riciclaggio dei soldi». E ha riferito di aver assistito, da privato cittadino, ad una scena che pare impossibile nella realtà lombarda: «Ero al seggio e ho visto una persona portata fuori dal poliziotto in quanto era stata sorpresa a fotografare la scheda elettorale. La mafia di qua fa le stesse cose della mafia di là: Ti trovo un lavoro se tu mi dai il tuo voto e quello dei tuoi familiari».

Infine, Elena Simeti (dell'associazione LIBERA) ha presentato la mostra "109" (a cura di Patrizia Ferreri), che prende il nome dalla legge 109 del 1996  che consente il sequestro dei beni mafiosi e il loro affidamento, attraverso gli enti locali, ad associazioni che operano per scopi sociali.

A Paderno Dugnano esistono già due beni confiscati alla mafia che nel 2001 sono stati destinati al CAI (Palazzolo, villetta in via delle rose) e alla Cooperativa DUEPUNTIACAPO (Paderno, attico in via Curiel). Prossimamente dovrebbero essere affidate al Comune altre due strutture, per le quali occorrerà definire la destinazione d'uso.

Elena Simeti ha poi ricordato i prodotti delle cooperative che gestiscono i beni confiscati ai mafiosi e che vengono commercializzati nel circuito di Libera Terra. E ha concluso il suo intervento invitando i presenti a proseguire il cammino, senza fermarsi a questa bellissima giornata nella quale è stato inaugurato il Centro "Falcone e Borsellino": «E' necessario continuare a lavorare insieme, facendo rete per contrastare l'azione criminale delle mafie».

Termino questo resoconto della giornata con un sincero GRAZIE all'Amministrazione Comunale che ha offerto alla città un importante luogo di aggregazione e lo ha voluto intitolare alla memoria dei due giudici antimafia. [Giovanni Giuranna]

 
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Commenti al Post:
Utente non iscritto alla Community di Libero
Anonimo il 19/11/08 alle 22:03 via WEB
Evviva!!! Una buona notizia dalla prima pagina di "Avvenire" del 19 novembre 08: INCAMERATI I BENI DI MESSINA DENARO VALORIZZARE I GRANDI PATRIMONI SEQUESTRATI ALLA MAFIA (editoriale di ANTONIO MARIA MIRA). Settecento milioni di euro, quasi millequattrocento miliardi delle vecchie lire: non c’che dire, il colpo inferto ieri dalla Dia al 'tesoro' di Matteo Messina Denaro, il superlatitante di Cosa nostra,­di quelli che lasciano il segno. Le 12 societ, i 220 fabbricati (palazzine e ville), le barche e le auto di lusso, i 133 appezzamenti di terreno sequestrati all’imprenditore Giuseppe Grigoli, considerato prestanome del boss trapanese, sono un danno pesantissimo, economico e d’immagine. ­Cosa pibrutta della confisca dei beni non c’…, diceva il vecchio capofamiglia Francesco Inzerillo in un colloquio coi nipoti Gianni e Pino per convincerli a emigrare negli Stati Uniti.­vero. Riconsegnare alla comunitciche i boss avevano accumulato con la violenza, il sangue e la sopraffazione, fa davvero male al potere mafioso. Ma a condizione che questo avvenga in tempi rapidi e che i beni diventano occasione di vera crescita sociale e economica, di occupazione pulita, di rinnovamento culturale. In altre parole di vero riscatto. Ed­ proprio qui il problema. Se le ville bunker della camorra a Casal di Principe sono ancora in gran parte inutilizzate, vandalizzate, abbandonate; se proprio nella provincia di Trapani solo pochissimi beni sono attualmente utilizzati; se in provincia di Reggio Calabria finiscono sotto inchiesta decine di sindaci per aver lasciato i beni in mano ai mafiosi; se in Puglia gran parte delle ricchezze strappate alla Sacra corona unita sono in condizioni di degrado; se degli 8.129 beni attualmente confiscati solo 3.921 sono stati consegnati ai comuni o allo Stato; se delle 1.052 aziende confiscate solo poche decine sono ancora in vita, vuol dire che il sistema va come minimo registrato. Altrimenti i mafiosi avrebbe ragione nel dire:Quando i beni erano miei producevano lavoro e ricchezza. Certo, gli esempi positivi non mancano. Basti ricordare le sei cooperative di 'Libera terra', alcune delle quali nate col sostegno della Chiesa locale, che in Sicilia, Calabria, Puglia e Lazio coltivano con successo terreni confiscati a boss del calibro di Provenzano, Riina, Piromalli, Mammoliti, Schiavone, sfornando prodotti doppiamente puliti e di ottima qualit. O le iniziative di associazioni del volontariato che utilizzano beni frutto della violenza criminale per iniziative a favore degli emarginati, degli ultimi, dei pideboli. Un vero schiaffo alle cosche che, infatti, reagiscono con attentati e intimidazioni. Per questo­necessario e urgente far funzionare meglio il sistema, evitare quelle lentezze burocratiche la cui conseguenza­l’arrivo a destinazione di un bene dopo pidi dieci anni, quando ormaideperito e difficile da sfruttare per iniziative giovanili nate in cooperative o volontariato. Sono loro gli 'incursori' dell’antimafia, quel mondo coraggioso spesso lasciato solo alle prese con pastoie burocratiche, ostacoli di impiegati ligi ai cavilli, lentezze di ambienti politici che allo strumento dell’attacco ai patrimoni mafiosi danno importanza unicamente a parole. Ed­necessaria una 'squadra' che segua, sostenga, protegga cooperative e volontariato. Bene, dunque, le modifiche inserite sia nel decreto legge sulla sicurezza sia nel disegno di legge attualmente in discussione in Parlamento, in particolare il ruolo dei prefetti nell’assegnazione rapida e efficace dei beni. Ma non basta. Gran parte delle forze politiche di maggioranza e opposizione sono d’accordo nella nascita di un’Agenzia nazionale che, finalmente, segua il bene strappato alla mafia dalla confisca fino al suo utilizzo. E anche dopo. Ma in questo clima di crisi sardifficile mettere in piedi una struttura complessa e articolata. Forse, allora, basterebbe un organismo di coordinamento presso la Presidenza del consiglio, coscome propongono alcuni emendamenti al ddl sicurezza. Un efficiente 'capitano', dotato di sufficienti mezzi, per la squadra del bene. Sarebbe sicuramente un bel segnale.
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