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Blog di Giovanni Giuranna - consigliere comunale della lista civica Insieme per cambiare di Paderno Dugnano

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SETTIMANA SOCIALE: "LA POSTA IN GIOCO E' L'ITALIA"

Post n°1090 pubblicato il 15 Ottobre 2010 da Giuranna
 

Vignetta di Luigi Alfieri (Vadelfio)

 

Il primo giorno della Settimana Sociale è stato caratterizzato dai saluti di rito (tra cui quello del Papa e del Presidente della Repubblica). Monsignor Miglio ha introdotto i lavori ripercorrendo il senso e le tappe preparatorie della 46ma Settimana Sociale, mentre il cardinale Bagnasco (presidente CEI) ha ricordato alcuni temi classici (laicità positiva e non laicismo, "valori non negoziabili" come baricentro dell'unità politica dei cattolici...).

Testi e video dei diversi interventi sono disponibili sul sito ufficiale dell'evento.

La relazione più stimolante della giornata (nei contenuti e anche nel tono della voce) è stata quella del sociologo Luca Diotallevi (scarica il testo in formato doc).

Riporto alcuni passaggi interessanti:

Essere questa sera a Reggio Calabria ed essere nel Mezzogiorno d’Italia per tutti noi significa che dobbiamo fare meglio ed ancora di più: contro la mafia, contro la camorra, contro la ‘ndrangheta e contro ogni forma di negazione della vita, plateale o nascosta, che uccida contemporaneamente corpo e mente, o che lasci sopravvivere per un po’ un corpo privato di intelligenza e di volontà libere.

Al centro di questa Settimana, secondo Diotallevi, c'è la domanda: "Cosa può significare oggi, in Italia, per noi cattolici e per la Chiesa tutta servire il bene comune? In questo momento, da dove è realisticamente possibile cominciare?".

In questo momento la posta in gioco è l’Italia (...) Lei, Cardinale Bagnasco, pochi giorni orsono ha detto ai Suoi confratelli vescovi: «nel nostro animo di sacerdoti, siamo angustiati per l’Italia». Posso assicurarLe che la Sua angustia è la angustia di tutti noi. Non solo fatica, non solo preoccupazione, ma – proprio come Lei ha detto – angustia, poiché in gioco non sono solo interessi, ma anche affetti e parti della nostra stessa identità. E come Lei crediamo che «bisogna fare presto».

Se quella appena fatta è una affermazione dura, ancora più dura è la domanda che segue, alla quale però non ci siamo mai sottratti sinora. Se la posta in gioco è l’Italia, ciò che ci dobbiamo chiedere è: serve l’Italia al bene comune? La domanda è molto dura, ma l’alternativa è un silenzio ipocrita e soprattutto una passiva accettazione dei processi di divaricazione in atto. Noi dobbiamo invece lasciar risuonare una domanda tanto radicale; se serve, dobbiamo lasciare che scandalizzi e che ci scandalizzi. Diversamente non si formerà alcuna determinazione pratica vera e salda. I martiri cattolici dell’unità, dell’indipendenza, della repubblica e della democrazia italiane, quelli del Risorgimento e della Prima Guerra mondiale, i “ribelli per amore” della resistenza alla dittatura fascista, alla occupazione nazista o alla concreta minaccia del totalitarismo comunista, e – più vicino a noi nel tempo – coloro che sono caduti nell’esercizio della propria responsabilità per il bene comune sotto i colpi del terrorismo e della criminalità organizzata hanno affrontato con consapevolezza e con generosità la prova perché nella loro coscienza e attraverso la loro preghiera avevano affrontato questa domanda. Non sono morti senza frutto anche perché non sono morti per caso.

Se l’Italia è la posta in gioco, e se non ci si affida alla retorica della nostalgia o delle emozioni, è allora più che mai necessario aver presente il valore della posta in gioco. Dobbiamo chiederci: cosa va perso se si perde l’Italia?

L’Italia che abbiamo di fronte è un paese che ormai conosce solo minoranze. Poco cambia se non è la prima volta che ciò avviene nella nostra storia. Il pensiero va subito allo scenario politico, ma se guardiamo il mondo dell’impresa o quello dell’università troviamo una esasperante prevalenza di “piccole taglie”, e dunque di strategie di corto raggio. Non diversamente avviene in altri settori vitali della nostra società.

La verità del discernimento cristiano non è ultimamente nei programmi e nelle azioni che pure deve generare, ma nell’amore da cui si lascia rinnovare. (...) La verità del comprendere e dello scegliere cristiani sta nel fatto che adesso (come avrebbe detto don Primo Mazzolari), in ogni adesso non dobbiamo attaccarci ai programmi per cui ci spendiamo, ma alla responsabilità da cui sono nati e che può sempre rinnovarli e stravolgerli. Ecco perché, umilmente – come S.Agostino raccomandava a chi abitava la città dell’uomo da cittadino della città di Dio – con tutta la Chiesa torniamo sempre di nuovo a dire: donaci occhi per vedere le necessità e le sofferenze dei fratelli; infondi in noi la luce della tua parola per confortare gli affaticati e gli oppressi: fa’ che ci impegnamo lealmente al servizio dei poveri e dei sofferenti (dalla Preghiera Eucaristica V/c).

Invito a visionare il filmato dell'intervento del Prof. Diotallevi.

 
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