Creato da paginedistoria il 13/04/2007
Per riempire le pagine non scritte o scritte male dei nostri libri di Storia
 

FREE TIBET!

 
TIBET LIBERO

 

Non si possono boicottare le Olimpiedi di Pechino, lo chiede lo stesso Dalai Lama e sarebbe ingiusto nei confronti degli atleti che si sono preparati per dare il meglio nelle gare olimpiche. Ma proprio gli atleti, secondo la loro personale coscienza, possono lasciare un segno importante, un gesto morale che andrebbe ad affiancarsi a quello atletico... potrebbero infatti disertare la Cerimonia Protocollare della premiazione e rinunciare alla medaglia vinta sul campo. Sarebbe un segno di solidarieta' con il popolo del Tibet o piu' in generale con tutti coloro che vivono opressi dal governo cinese.

Con il passaparola e con la capacita' di diffusione della rete. possiamo cominciare a convincere gli atleti italiani!

 

Area personale

 

FACEBOOK

 
 

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Le donne non ci vogliono più bene

perchè portiamo la camicia nera

Hanno detto che siamo da catene

hanno detto che siamo da galera.

  L'amore coi fascisti non conviene.

Meglio un vigliacco che non ha bandiera,

uno che non ha sangue nelle vene,

uno che serberà la pelle intera.

 

 

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Navi d'Italia che ci foste tolte

non in battaglia ma col tradimento

nostri fratelli prigionieri o morti

noi vi facciamo questo giuramento.

Noi vi giuriamo che ritorneremo

là dove Iddio volle il tricolore

noi vi giuriamo che combatteremo

fin quando avremo pace con onore.

 

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Iddio, che accendi ogni fiamma e fermi ogni cuore

rinnova ogni giorno la passione mia per l'Italia.

 

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Vogliamo scolpire una lapide

incisa su l'umile scoglio,

a morte il marchese Badoglio

noi siam fascisti repubblican.

A morte il re

viva Grazian,

evviva il fascio

repubblican!

 

Vogliamo scolpire una lapide

incisa su pelle di troia,

a morte la casa Savoia

noi siam fascisti repubblican.

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Per voi ragazze belle della via

che avete il volto della primavera,

per voi che siete tutta poesìa

e sorridete alla camicia nera,

per voi noi canteremo le canzoni

dei nostri vittoriosi battaglioni.

 

A noi la morte non ci fa paura:

ci si fidanza e ci si fa l'amor,

se poi ci avvince e ci porta al cimitero

s'accende un cero e non se ne parla più.

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Vogliam morire tutti crocefissi,

per riscattare un'ora di viltà,

se ci restasse di vita un sol minuto

noi lo vivremo per un'eternità.

 

Battaglione "Barbarigo"

Barbarigo, Barbarigo,

battaglione dell'onore!

Brucia ed arde la tua fede,

la vendetta rugge in cuore.

---

Battaglione "Fulmine"

Fulmine! Scatto, Travolgo e Vinco

è la tua impresa.

Sotto la Morte con la rosa in bocca,

chi può fermare l'anima protesa

verso le stelle, quando l'ora scocca?

---

Battaglione "Lupo"

Maggiore De Martino, guidaci tu all'assalto,

terremo sempre in alto il nostro Tricolor.

"Iterum Rudit Leo" è il nostro motto;

serriamoci più sotto, salviamo il nostro onor.

 

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Non deporrem la spada

non deporrem la spada,

finchè sia schiavo un angolo

dell'itala contrada.

 

Non deporrem la spada

non deporrem la spada,

finchè dall'Alpi al mare

non sventoli il tricolor.

 

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Piazzale Loreto

il "momento fondante" dell' Italia democratica

 

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Ultimi commenti

 

...non omnis moriar

multaque pars mei

vitabit Libitinam.

 

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In ogni guerra, la questione di fondo non è tanto di vincere o di perdere, di vivere o di morire; ma di come si vince, di come si perde, di come si vive, di come si muore. Una guerra si può perdere, ma con dignità e lealtà. La resa e il tradimento bollano per secoli un popolo davanti al mondo.

Comandante J.V. Borghese

 

FOIBA 

Vento 

pietre bianche 

e lacrime

sul rosso sommaco 

Nel  cupo verde del bosco 

improvvisa 

la nera voragine 

di un muto dolore   

che attende giustizia.

 

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25 APRILE - SAN MARCO e la Festa del Bocolo

In occasione della festa del Patrono i Veneziani usano donare il "bocolo" (bocciolo di rosa) alla propria amata; sulle origini di questo dono conosciamo due ipotesi leggendarie.
Una riguarda la storia del contrastato amore tra la nobildonna Maria Partecipazio ed il trovatore Tancredi. Nell'intento di superare gli ostacoli dati dalla diversità di classe sociale, Tancredi parte per la guerra cercando di ottenere una fama militare che lo renda degno di tanto altolocata sposa. Purtroppo però, dopo essersi valorosamente distinto agli ordini di Carlo Magno nella guerra contro i Mori di Spagna, cade ferito a morte sopra un roseto che si tinge di rosso con il suo sangue. Tancredi morente affida a Orlando il paladino un bocciolo di quel roseto perché lo consegni alla sua (di Tancredi, non di Orlando) amata.
Orlando fedele alla promessa giunge a Venezia il giorno prima di S.Marco e consegna alla nobildonna il bocciolo quale estremo messaggio d'amore del perito spasimante. La mattina seguente Maria Partecipazio viene trovata morta con il bocciolo rosso posato sul cuore e da allora gli amanti veneziani usano quel fiore come emblematico pegno d'amore.


 

 

TIBET LIBERO

Post n°96 pubblicato il 17 Marzo 2008 da paginedistoria

Le scarne notizie che giungono dalla capitale tibetana raccontano di una città spettrale, strettamente pattugliata da ingenti forze militari e di polizia (circa 20.000 uomini, secondo alcune fonti). Blindati percorrono le strade semideserte che mostrano i segni dell’esplosione della rabbia dei tibetani dopo quasi sei decenni di brutale repressione cinese.

Mentre stanno per scadere i termini dell’ultimatum di resa incondizionata (vedi il testo completo in lingua inglese), emesso il 15 marzo dalle autorità della cosiddetta Regione Autonoma Tibetana, si apprende di nuove manifestazioni spontanee avvenute o in corso in diverse aree del Tibet.

 
 
 

Post N° 95

Post n°95 pubblicato il 15 Febbraio 2008 da paginedistoria
Foto di paginedistoria

in memoria del M.llo Pezzulo un Tricolore ad ogni finestra... mettilo anche sul tuo blog  e passa parola!

 
 
 

Post N° 94

Post n°94 pubblicato il 07 Febbraio 2008 da paginedistoria

10 Febbraio - Giornata del Ricordo

In onda la trasmissione sulla Storia delle Foibe

La Fondazione Giorgio Perlasca in una newsletter, segnala la trasmissione che verrà trasmessa da RAI TRE, domani,  venerdì 8 febbraio alle ore 8.05, intitolata

“Storia delle foibe - La strage  dimenticata”.

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 Un’ orario adeguato e scelto ad arte da RAI 3…

 
 
 

Post N° 93

Post n°93 pubblicato il 07 Febbraio 2008 da paginedistoria
Foto di paginedistoria

Campo di prigionia di Borovnica (ex Jugoslavia - Slovenia)

un italiano nelle mani dei titini

 
 
 

Post N° 92

Post n°92 pubblicato il 07 Febbraio 2008 da paginedistoria
Foto di paginedistoria

10 febbraio

GIORNATA DEL RICORDO

Istria Fiume Dalmazia

...ma anche milioni di innocenti vittime di Olocausti senza copyright!

 
 
 

Post N° 91

Post n°91 pubblicato il 07 Febbraio 2008 da paginedistoria

FIRMA LA PETIZIONE

PER SALVARE IL PARCO TROPICALE DEI COLIBRI'

visita il blog di uomo_ambiente

Salviamo il Centro di salvaguardia dei colibri' 

 

 
 
 

OLOCAUSTI 6

Post n°90 pubblicato il 28 Gennaio 2008 da paginedistoria
Foto di paginedistoria

"Gulag l'inferno del comunismo"

di Angelo Crespi


Olga ha un bel profilo. I capelli lisci raccolti sulla nuca in uno chignon le incorniciano il viso. La fronte spaziosa, il naso ben disegnato, le labbra carnose serrate. Gli occhi guardano in lontananza. Olga Adamova-Sliozberg così appare in una fotografia degli anni Trenta.

 

È una bella donna: una famiglia agiata, un marito, due piccoli figli, un lavoro appagante. Insomma, un futuro di gioia. Nessuna incertezza, nessun dubbio deturpa quel ritratto. Ancora non presagisce che presto dovrà iniziare il suo cammino. Anzi, Moj put', il mio cammino, una parola, put', che in russo spesso è associata a un'idea di "strada segnata" di "destino".

 

Non sa che il suo destino sarà dunque assai diverso dalle rassicuranti premesse della foto.
Inizi del 1936: Olga rientra a casa dal lavoro e non trova più il marito. "L' hanno portato via" riferisce la bambinaia. Pochi giorni dopo arrestano anche lei. "E meglio che saluti i bambini" dice l'aguzzino, quasi con voce compassionevole. Il maschietto è sveglio, la bambina dorme. Li rivedrà dopo venti anni di Gulag. Inizia così, in modo drammaticamente semplice, senza nessun apparente motivo, la via crucis di uno dei milioni di martiri del comunismo.
Olga avrà la fortuna di sopravvivere alla macchina infernale d'odio e disumanità progettata dal regime staliniano per avverare in terra il paradiso del proletariato.

 

Con una determinazione fuori dal comune, racconterà poi in un diario le tragiche vicissitudini della sua prigionia. Un manoscritto che inizia a circolare clandestinamente dopo il 1956, proposto perla pubblicazione nel 1963, ma che rimane inedito fino al 1989, anno della fine del comunismo. E oggi pubblicato anche in Italia con il titolo, appunto, di Il mio cammino (Le Lettere, Firenze, pp.218).

 

Un lavoro di memoria che ripropone al femminile la lucida analisi sul sistema concentrazionario fatta da Aleksandr Solzenicyn in Una giornata di Ivan Denisovic. Un lavoro di memoria che assolve a quel compito morale icasticamente riassunto nella risposta "posso" data da Anna Achmatova, la più grande poetessa russa, mentre era in fila davanti alle carceri di Leningrado in attesa del figlio a una donna che le domandava: "Ma questo lei può descriverlo?". Olga prese infatti la decisione, qualora fosse riuscita a scampare alla morte, di raccontare tutto il male del Gulag proprio sentendo una compagna di cella dire: "Se un giorno uscirò di qui, vivrò come se niente fosse successo. Non racconterò mai a nessuno quello che ho passato e farò di tutto per dimenticarlo"

 
 
 

OLOCAUSTI 5

Post n°89 pubblicato il 28 Gennaio 2008 da paginedistoria
Foto di paginedistoria

"Noi donne schiave nel girone Kolyma"

di Olga Adamova Sliozberg


Il nostro atteggiamento verso il lavoro era sempre oggetto di discussione, specialmente da parte degli uomini che ci deridevano perché cercavamo di svolgere bene il nostro compito.
- Credete che se lavorate onestamente questo vi aprirà le porte del lager? - ci prendevano in giro.


Va da sé che il lavoro non portava nessun vantaggio, che ci imbrogliavano, che i capireparto segnavano quello che avevamo fatto noi alle loro amichette, che il salario per le prigioniere politiche era stato abolito, e che una giornata di lavoro di un delinquente comune valeva una volta e mezzo le nostre, se non due. A noi assegnavano gli strumenti di lavoro meno adatti e gli appezzamenti più scomodi.


Era difficile opporsi a queste disposizioni, giacché il nostro lavoro andava tutto a vantaggio del vile sistema penitenziario e i capetti ricevevano onorificenze e premi a spese della nostra fatica e della nostra salute.


D'altro canto il lavoro era l'ultima risorsa che avevamo per distinguerci dalla massa abbrutita e corrotta, che aveva col lavoro un rapporto orrendo.


Ricordo una volta che dirigevo una brigata addetta alla coltivazione dei cavoli. In quelle condizioni il cavolo rappresentava per i prigionieri la salvezza dalla dissenteria. Malgrado le condizioni di lavoro, accudivamo il cavolo come fosse un bambino piccolo:d'estate gli davamo più volte concime e fertilizzanti, lo riparavamo dai primi freddi, lo annaffiavamo di continuo. Con quanta gioia vedevamo spuntare nel nostro appezzamento i piccoli capi bianchi, malgrado la siccità, il fango, le nevicate della tarda primavera. Avevamo sempre fame, ma non ci saremmo mai permesse di mangiare i prodotti prima che fossero completamente maturi.

 

Coglievamo solo le foglie esterne e ci facevamo delle grigie zuppette.

 

Un giorno, passando vicino al campo, mi accorsi che il cuore dei cavoli non c'era più. In un primo momento detti la colpa a qualche parassita e decisi che bisognava subito eliminarlo; ma poi vidi una donna della nostra brigata, Valja, una detenuta comune, che tranquillamente strappava il cuore dei cavoli e se lo sgranocchiava. - Perché fai questo? Vuoi rovinare tutto il raccolto? Sorrise ottusa e rispose: - E a noi che serve? Andrà ugualmente sul piatto delle protette del capo.


Per poco non mi misi a picchiarla, la furia mi aveva annebbiato la vista, e lei sorrise con aria innocente: - Ma che ti prende?


Il lavoro era l'unica attività umana che ci era rimasta. Non avevamo più nulla, né famiglia, né libri, vivevamo nella sporcizia, nel tanfo, nell'oscurità sopportavamo umiliazioni da parte dei sorveglianti, che di notte potevano entrare nella baracca, ordinare alle donne semisvestite di mettersi in fila e col pretesto di una perquisizione, andare a frugare nei nostri letti, tra la nostra biancheria, leggere le nostre lettere. Per una qualche ragione gli addetti ai bagni erano uomini e, quando noi protestammo, i capi si misero a ridere e risposero: "Se ti tagliano la testa non rimpiangerai i capelli...".

 

Solo il lavoro era degno dell'uomo. Facevamo le contadine, come prima di noi avevano fatto milioni di donne. Eravamo felici di ciò che riuscivamo a fare con le nostre mani e volevamo essere non meno brave delle contadine espropriate, le quali da principio ci guardavano con una certa malevolenza "Eh!, voi, donne istruite. Stavate a leggere i vostri libri e campavate alle nostre spalle. Provate ora il rastrello e la falce...". Naturalmente le contadine lavoravano meglio, ma i caporali ex kulak prendevano le parti di noi "politiche" anche contro le "comuni", malgrado con queste fosse più facile intendersi e benché con noi dovessero badare a non bestemmiare troppo. Sapevano che lavoravamo in maniera sistematica e con coscienza mentre le prigioniere comuni facevano tutto molto più in fretta di noi, ma appena i caporali si allontanavano si mettevano a dormire, senza curarsi se il seminato andava a male o se il gelo stroncava le piantine più giovani.


Il duro lavoro da contadina lontano dalla scorta, dalla gente estranea e dai malvagi è uno dei pochi ricordi luminosi che le tenebre del lager mi hanno lasciato. A volte ce ne andavamo in sei, il nostro gruppo, a lavorare in un campo lontano. Tre a falciare e tre a rastrellare l'erba falciata. Te ne vai con la falce in spalla e davanti hai la pallida distesa della povera terra della Kolyma; con le narici aspiri il profumo dell'erba che sta appassendo e sopra di te il cielo è pallido e trasparente…


Era doloroso quando il lavoro nel quale noi mettevamo l'anima risultava essere una sciocca, ridicola punizione.


Scavavamo canali nel terreno fangoso per il deflusso dell'acqua. A cinquanta gradi sotto zero lavoravamo duro di piccone, cercavamo di raggiungere la quota. Se durante la notte la neve copriva il canale ancora non finito, lo ripulivamo perché fosse quanto era stabilito. Probabilmente nessuno si sarebbe accorto se mancavano dieci o quindici centimetri, ma c'era il rischio che l'acqua non scolasse bene, che restasse nel terreno.


Era un lavoro molto duro. La terra pareva cemento. Il fiato restava sospeso nell'aria. Le reni e la vita dolevano per lo sforzo. Ma noi lavoravamo con coscienza. In primavera, quando la terra si sgelava, mandavano i trattori con le macchine per scavare i canali, che in un'ora facevano quello per cui a noi, al nostro gruppo di sei persone, occorrevano due mesi. E quando chiesi perché non usassero lo stesso sistema per tutti i canali, mi sentii rispondere dal caporeparto:
- E voi allora che fate? Volete starvene sdraiate a poltrire? No bellina, ti hanno portato nel lager perché tu lavori.


Sentivo una insopportabile vergogna per quelle assurdità. Ci imponevano un lavoro insensato, e noi ci mettevamo tutte le nostre energie. Eravamo degli schiavi. Giurai di non mettere più l'anima nel lavoro e di ingannare la direzione in tutti i modi possibili. Non mi riuscì, non potevo cambiare la mia natura e lavorare imbrogliando, di certo però il mio entusiasmo andò scemando.


E tuttavia il lavoro ci ha salvato. Quelli che non lavoravano morivano di fame o di disturbi psichici causati dalla mancanza di distrazioni, giacché il lavoro impegnava tutte le forze, sia psichiche che fisiche. Talvolta morivano anche quelli che lavoravano, ma erano casi più rari, almeno tra le donne.


Per gli uomini invece bastavano due stagioni da addetti al lavaggio dell'oro per farli ammalare. Loro naturalmente non potevano amare il lavoro che li uccideva e parlavano delle miniere con orrore.

 
 
 

Post n°88 pubblicato il 28 Gennaio 2008 da paginedistoria
Foto di paginedistoria

OLOCAUSTI 4

"L'orrore sovietico in Lituania"


Non scriviamo queste cose perché siamo "contro qualcuno", ma perché vogliamo dire e "gridare sui tetti" le verità segnate dalla storia, anche se queste non piacciono ad alcuni o se infastidiscono altri, Il prezzo della libertà religiosa e civile e della democrazia in Lituania è stato di alto spessore. li dieci per cento dei sacerdoti risultano perseguitati, torturati e infine spediti in Siberia ove sono morti entro pochi anni. Così sono finiti anche 25000 lituani nei gulag siberiani nel 1941. Nel 1948, per propaganda anticattolica, fu pubblicato un libro con questo titolo: "Clero cattolico reazionario, nemico eterno della Lituania".

 
Ma i lituani non abboccarono perché sapevano benissimo che il loro nemico era di un altro colore.

Il 20 settembre 1947 i lituani riuscirono a far giungere a Pio XII una lettera con queste notizie: "I sovietici hanno arrestato quarantamila lituani: uomini, donne, vecchi e bambini, li hanno caricati su carri bestiame e li hanno deportati in Siberia. Abbiamo visto con i nostri occhi i corpi gettati ai bordi delle strade. I russi hanno distrutto le nostre città e i nostri villaggi, ci hanno preso non solo la nostra terra, le nostre case, ma anche la nostra libertà di pensiero e di azione. Per noi la schiavitù dello spirito è la peggiore di tutte.


Vogliono costringerci a credere e a ripetere che la Russia dei sovietici è il paradiso in terra che al di fuori dei suoi confini c'è solo miseria e disonestà, mentre i nostri bambini da un pezzo non sanno più cosa siano zucchero, carne, burro". Una lettera che grida orrore! Gli arrestati venivano torturati, tenuti senza mangiare, senza dormire e la condanna più leggera erano dieci anni di Siberia, ma non vi resistevano più di cinque anni. Molti impazzivano per le atrocità che subivano.Le deportazioni più efferrate furono eseguite dagli anni '40 agli anni '50. Il padre Baonius Launnavidus morì schiacciato da un camion sotto il quale era stato lanciato. Una morte simile l' hanno avuta tanti altri.



Ne ricordiamo solo alcuni come esempio: Petra Liepa, Antanas Reuba, Kazjs Cipljs, Baljs Betanavicius, morti durante il processo. Ancora negli anni 1986, poco prima che crollasse definitivamente il potere sovietico, si continuava a perseguitare e a reprimere chi non si inginocchiava davanti alla bandiera rossa. Ma i lituani continuarono a restare "di Cristo".

 
Alla fine i persecutori, coperti di vergogna dovettero alzare le mani e, abbandonate le armi e la tracotanza, dovettero inginocchiarsi davanti ai tanti martiri disseminati ovunque.
Un "misterioso sassolino" venuto dall'alto ha colpito la gigante statua di bronzo nel suo tallone di creta ed è andata in frantumi. Dio, nella storia, non cambia mai strategia!

 
 
 

OLOCAUSTI 3

Post n°87 pubblicato il 28 Gennaio 2008 da paginedistoria
Foto di paginedistoria

Nel lager di Vorkuta

La messa nella baracca mi costò l'espulsione

di Kazimierz Swiatek


Mentre mi trovavo nel lager di Vorkuta ho organizzato la veglia di Natale. Ho portato le mie due porzioni giornaliere di pane non avendole consumate nei giorni precedenti. Gli altri, ed eravamo una decina, hanno offerto quel che avevano ricevuto nei pacchi alimentari dalle famiglie. Avevamo anche le ostie. Stavo parlando ai presenti quando ad un tratto la porta si aprì ed irruppe un ufficiale di regime, manganello in mano, e con lui un soldato munito di fucile e baionetta. "Che cosa state facendo?", domandò. Mi sono alzato per spiegargli il rito natalizio. Poi, tenendo in mano l'ostia, ho chiesto se voleva condividerla scambiando con noi gli auguri di Natale. Era una situazione insolita e colma di tensione: noi due con le mani tese, la mia con l'ostia e la sua con il manganello. L'ufficiale ripose il manganello nella custodia e scusandosi disse di non poter accettare l'ostia essendo in servizio, ma ci permise di continuare la nostra veglia e lasciò il locale assieme al soldato. La mattina dopo fui espulso da Vorkuta e mandato nella lontana tundra al Nord. (K.S.)

 
 
 

OLOCAUSTI 2

Post n°86 pubblicato il 28 Gennaio 2008 da paginedistoria
Foto di paginedistoria

Il Mio lungo inverno nei gulag di Stalin"

di Kazimierz Swiatek


Ai tempi di Stalin tutto il territorio dell'Unione Sovietica non era altro se non un enorme gulag, un recinto col filo spinato, dove migliaia di reclusi nei vari singoli lager morivano a causa delle disumane condizioni d'esistenza e di lavoro. Dopo essere stato incarcerato per due volte nelle prigioni sovietiche, inclusi due mesi nella cella per condannati a morte, venni mandato al lager dei lavori forzati a regime speciale. Dapprima nella taiga siberiana, successivamente nella tundra del lontano nord. Sono stato recluso in un estremo isolamento e ciò non mi ha permesso né d'incontrare alcun sacerdote cattolico né d'amministrare il sacramento della confessione. Soltanto negli ultimi annidi lager sono riuscito ad avere l'ostia e il passito per celebrare di nascosto la santa messa. Come calice usavo una tazza dl ceramica, mentre tenevo l'ostia consacrata da portare ai cattolici in una scatola di fiammiferi. Mi ricordo la messa in occasione della Pasqua celebrata per alcuni reclusi cattolici nel locale di lavanderia tra le nuvole di vapore. Di tutta la mia vita sacerdotale fu la Pasqua più cara. Per dieci anni sono rimasto completamente isolato dalla realtà del mondo, in particolare dalla realtà della Bielorussia e della sua Chiesa. Con un accanimento davvero satanico venivano perseguitati tutti quelli che credevano in Dio e cercavano di seguire i riti religiosi. E chi, nonostante le terribili persecuzioni, perseverava nella fede si sentiva abbandonato e indifeso. L'Occidente, pur conoscendo la situazione della Chiesa nell'Unione Sovietica, spinto da certe ragioni, forse anche politiche, non è intervenuto in difesa dei credenti, oppressi e perseguitati dal regime. Eppure la Chiesa in Bielorussia, pur senza le sue strutture ecclesiastiche, sofferente, talvolta anche sanguinante, rimaneva viva ed attiva.


Nel 1954,.dopo dieci anni passati nei gulag, mi diressi non senza difficoltà versò Pinsk. Entrai nella cattedrale dove nel 1939, all'atto del conferimento dei voti sacerdotali, avevo giurato obbedienza e fedeltà a Dio. Quel giuramento comprendeva tutta la mia vita futura. Era domenica. Nelle prime file c'erano una trentina di donne anziane. All'altare principale si affaccendava un omino anziano e claudicante. Io stavo fermo sotto il coro, appoggiato alla colonna. Non è difficile immaginare lo stato d'animo che regnava nel mio animo colmo di gioia e gratitudine. Quell' omino invece stava preparando l'altare perla santa messa e lo faceva in uno strano modo. Aveva posato sull'altare la pianeta e il calice, acceso le candele, suonato il campanello della porta di sacrestia.... ma davanti all'altare non si vedeva nessun prete. Le donne si erano alzate, una di loro facendo il segno di croce ad alta voce annunciò il nome della domenica ed iniziò con tutte le altre a dire le preghiere introduttive della santa messa. Dunque, era una messa senza il sacerdote! Una delle donne si alzò e prese a1eggere il Vangelo. Non potevo più trattenermi. Scoppiai a piangere. Com'è possibile, dicevo tra me e me: il sacerdote sta qui, appoggiato alla colonna, in incognito, e un'altra persona legge il Vangelo! Finita questa straordinaria santa messa sono entrato nella sacrestia per parlare con il vecchietto. Ne risultò che già 6 anni fa il parroco della cattedrale era stato arrestato e condannato a 25 annidi reclusione. Ho chiesto se volessero un prete. Sì, ma non sapevano dove cercarlo. Allora dissi che ero sacerdote e che sono stato liberato dal lager sovietico. Potevo iniziare il mio servizio di pastore delle anime. Insieme iniziammo le pratiche presso le autorità affinché mi registrassero come parroco della cattedrale. Da quel momento venni fermato più di una volta per strada, fatto salire in macchina e portato nella sede del KGB, dove mi trattenevano fino all'alba. Cercavano di convincermi di abbandonare il sacerdozio, promettevano in cambio delle sistemazioni vantaggiose. Ai miei categorici rifiuti rispondevano minacciando di mandarmi di nuovo in prigione. Dopo cinque mesi rinunciarono finalmente alloro tentativi e mi diedero il permesso di svolgere le funzioni di parroco a Pinsk.
La parrocchia si estendeva in linea retta ad ovest dal fiume Bug e ad est fino al Pacifico. Non di rado la cattedrale veniva visitata dai fedeli residenti a migliaia di chilometri da Pinsk. Nelle campagne e nei villaggi i fedeli si radunavano nelle case, con le persiane chiuse, per celebrare insieme la messa. Sempre di sera si radunavano al cimitero per cantare i canti religiosi, ma senza alzare troppo la voce, per non essere sentiti nell'ufficio amministrativo della contrada. Il più delle volte recitavano il rosario coi grani fatti di pane.


Ho sempre ritenuto la loro testimonianza di fede come una delle cose più preziose. Sono loro, proprio queste proverbiali "babushke", che sono riuscite a conservare la fede in Dio negli anni della persecuzione quando mancavano sia le chiese che i sacerdoti. È a loro che dobbiamo essere grati per la fede che non è scomparsa per sempre da queste terre così pesantemente oppresse, per i nipoti e pronipoti ai quali esse hanno insegnato per lo meno il Padre Nostro e l'Ave Maria. Anche se loro non hanno pagato con il sangue per la loro fede, tuttavia la loro vita portava i segni del martirio. Sono figure eroiche, anche se nessuno innalzerà loro un monumento.


Onore e gloria a voi, care, amate babushke d'oro. Dopo il 1991, con l'incarico di Arcivescovo, mi sono messo a percorrere lo sterminato territorio della Bielorussia, qualche volta facendo oltre mille chilometri al giorno, trovando la conferma di innumerevoli testimonianze di fede.
In una parrocchia mi venne incontro un giovane sacerdote venuto dalla Polonia per lavorare come pastore delle anime in Bielorussia. La chiesa era un edificio semidistrutto, senza tetto nè porte. Davanti alla parete frontale c'era un gruppo di circa 20 donne. Misi avvicinarono di corsa e con il mio massimo stupore si buttarono per terra ai miei piedi. Io ne ero sconvolto: perla prima volta nella loro vita incontravano un vescovo cattolico proprio davanti alla loro chiesa distrutta. Quindi sono tornate al punto dove stavano prima e con le voci tremanti hanno intonato un canto mariano.Potevo io vescovo trattenere le lacrime vedendo questa testimonianza di fedeltà verso Dio e verso la Chiesa? Poi ho chiesto al giovane sacerdote che cosa gli aveva fatto abbandonare la sua terra per venire in questo luogo desolato. "Padre, appartengo alla categoria dei pazzi di Dio", fu la sua risposta. L' ho abbracciato, baciato e gli ho sussurrato all'orecchio: "Allora, caro padre, sia pazzo fino in fondo". E lo fu ! Ha già rialzato dalle rovine tre chiese che non sono ancora riuscito a riconsacrare. Nel frattempo abbiamo visto la caduta dell' Unione Sovietica e la formazione della Repubblica indipendente di Bielorussia. Durante un'udienza speciale ai pellegrini provenienti dalla Bielorussia il Santo Padre ha voluto rendere omaggio a tutti coloro che, a prezzo d'indicibili sofferenze ed anche del martirio, sono riusciti a conservare la propria dignità di credenti. Giovanni Paolo II ci ha mostrato la memoria che redime! I templi vecchi e i nuovi si rièmpiono di fedeli, tra i quali sono sempre di più i bambini e i giovani che partecipano attivamente al catechismo. Ringrazio infinitamente Dio perché mi ha concesso la grazia di sopravvivere allunghi annidi di persecuzione e di essere ancora un testimone partecipe alla liberazione, alla rinascita ed allo sviluppo della Chiesa in Bielorussia.

 
 
 

Post N° 85

Post n°85 pubblicato il 28 Gennaio 2008 da paginedistoria
Foto di paginedistoria

OLOCAUSTI DIMENTICATI, NEGATI, NASCOSTI... 1

"Solgenitzin e i tanti "anonimi" dei campi di sterminio comunisti"

di Pucci Cipriani


Forse pochi tra i giovani - anche per colpa nostra che non abbiamo saputo mantenerne intatta la memoria - conosceranno Alexander Solgenitzin e la sua monumentale opera di denuncia del Comunismo. Negli anni '60 e '70 i comunisti (con l'acquiescenza di altri partiti "democratici") avevano imposto in Italia una sorta di censura - e ancora tende a sopravvivere - per cui si poteva parlare, come giustamente si parlava e tuttavia si parla, dei campi di sterminio nazisti, ma giustamente non si poteva parlare dei Gulag, dei campi di sterminio comunisti, non solo "stalinisti", come si cerca di far credere adesso, per gettare addosso a un solo uomo le colpe di un sistema criminale. Allora, mentre in tutto il mondo venivano tradotte le opere di Solgenitzin, il grande scrittore russo, oggi ritenuto da tutti non soltanto la "memoria storica" ma l'unico vero profeta dell'Occidente cristiano, in Italia nessun editore osava (mancava il placet del P.C.I.) pubblicare quelle opere che avrebbero finalmente aperto il sipario sulla cortina dell'Est, su quei paesi dominati dal terrore comunista ma che in Italia venivano da molti considerati come "il paradiso terrestre".


Solo nel 1971 un editore, e non certo sospetto di simpatie per la destra, Giangiacomo Feltrinelli, pubblicò Una giornata di Uvan Denissovic, un racconto, probabilmente autobiografico di A. Solgenitzin, nel quale viene narrata appunto, una drammatica, agghiacciante giornata di un deportato nell'arcipelago Gulag. Alla pubblicazione del racconto, impetuoso come un torrente in piena, probabilmente non fu estraneo l'allora direttore editoriale della Feltrinelli Valerio Riva che, poco dopo, nel 1975, pubblicherà il saggio introduttivo ("Il dissenso degli intellettuali a Cuba") al libro di Pierre Galendorf, Un comunista nelle prigioni di Castro e che, recentemente, ha pubblicato per la Mondadori, riuscendo a mettere le mani sugli archivi segreti del K.G.B., L'oro da Mosca dove si prova come, per quasi un secolo, un vero e proprio fiume di denaro ha attraversato l'Europa e il mondo: si tratta di due miliardi di euro attuali spesi dall'URSS per finanziare i partiti comunisti dei cinque continenti, di cui un quarto destinati all'Italia. Finalmente Mondadori decise di pubblicare Reparto Cancro e quindi, nel 1975, (il sottoscritto aveva già letto l'opera tre anni prima nell'edizione francese) ecco i tre volumi di Arcipelago Gulag, alla quale Solgenitzin lavorò gran parte della sua vita e che dedicò "a tuffi coloro cui la vita non è bastata per raccontare". E i libri dello scrittore russo venivano venduti (in molte librerie comunque boicottati) ma intanto non riuscivano a entrare nelle scuole e nelle Università; alcuni "cervelli marxisti" ne misero in dubbio l'autenticità, perfino molti catto-comunisti - che a quei tempi formavano una fortissima lobby all'interno dell'allora "chiesa conciliare" - criticarono l'opera di Solgenitzin che certo non favoriva l'Ostpolitick del Cardinal Casaroli, quando, tra lo sgomento dei "progressisti", apparvero, nello stesso anno, le "Memorie" del Confessore della Fede, Cardinale Josef Mindzenty, che contenevano rivelazioni sconvolgenti e scottanti sulle sopraffazioni, le menzogne, le atrocità del Comunismo e sulla connivenza dell'Occidente. Comunque, tra mille difficoltà, questo arcipelago comincia a configurarsi in tutta la sua drammatica, agghiacciante e gigantesca realtà, una realtà alla quale il comunismo italiano rimarrà impermeabile, nonostante le testimonianze degli esuli avvalorate da saggi e documentazioni di scrittori e giornalisti italiani, tra i quali si distinsero, appunto, Valerio Riva e il toscano Pietro Sinatti, allora militante nelle file della "Nuova Sinistra".


E Valerio Riva non si ferma ai ricordi di un passato più o meno remoto, ma va avanti nelle sue martellanti e documentate denunzie, fino alla condanna delle ultime criminali fucilazioni di due "balzeros" effettuate nella Cuba castrista, fino alla resistenza anticomunista in Vietnam e in Cambogia, fino alla Cina che "ha rifiutato la tentazione dell'utopia della guerra civile purificatrice (giacobinismo, n.d.r.); ma non avendo mal sconfessato il suo fondatore (Mao), è sempre pronta (...) a rimettere in auge qualcuno dei suoi funesti metodi".
Dobbiamo proprio a Valerio Riva e Antonio Socci la segnalazione de L'Ultimo Gulag (la tragedia di un sopravvissuto nell'inferno della Corea del Nord) le memoria scritte -non nel 1970 ma nel 1991 - insieme a Pierre Rigoulout da Kang Chol Hwan, il calvario durato dieci anni, praticamente tutta l'adolescenza, del giovane coreano che, con parole semplici, denunzia l'agghiacciante realtà dell'universo concentrazionario nord coreano, uno degli ultimi bastioni del Comunismo, dove si stima che oggi siano rinchiuse duecentomila persone, detenuti politici, in gran parte colpevoli soltanto di avere rapporti di parentela con presunti traditori del regime.
Oggi a Firenze, dalle ore 10, nel Salone dei Cinquecento, in Palazzo Vecchio, si terrà un incontro per promuovere l'istituzione di una giornata mondiale in ricordo delle vittime dei Gulag; l'illustre politico On. Paolo Bartolozzi, deputato al Parlamento Europeo, insieme a Laura Lodigiani (Comitati per la libertà) e Luigi Bellini (Centro Europa Unita) illustrerà l'iniziativa, mentre Giorgio Albertazzi declamerà: "Quant'era bella quest'utopia" dal libro di Jacques Rossi. E intanto - con le immagini di quelle vicende - Valerio Riva e il croato Ante Zemljar, internato per cinque anni nel lager titino di Goli Otor, faranno rivivere le drammatiche vicende di Alexander Solgenitzin, Variom Salomov, Daniel Siniaskij, del poeta cubano Armando Valladores, di Jurj Malcev, del Cardinal Mindzentj e quelle sconosciute, ma non per questo meno vere e vive, di tanti, tanti "anonimi"; ascolteremo, insomma, la testimonianza del "silenzioso coraggio della vittima", per usare le parole dette da Jean Paul Sartre per commentare il racconto di un torturato algerino.

 
 
 

Post N° 84

Post n°84 pubblicato il 28 Gennaio 2008 da paginedistoria
Foto di paginedistoria

Giornata della Memoria

Forse un giorno riusciremo a capire che non c’e’ alcuna differenza tra il filo spinato di un lager nazista e quello di un gulag comunista… e se una differenza c’e’, e’ nel numero delle vittime innocenti. Ma non e’ con una macabra contabilita’ che si fanno i conti con la Storia e con gli olocausti dimenticati, nascosti, negati…

 

 
 
 

Elezioni subito!

Post n°83 pubblicato il 23 Gennaio 2008 da paginedistoria

il Giornaleradio di Rai 1 questa mattina ha comunicato che al Presidente del Consiglio dei Ministri arrivano migliaia di messaggi di italiani che lo esortano a continuare a guidare il Governo...

Ammesso che sia vero... possiamo darci da fare in senso opposto chiedendogli garbatamente (anche se non meriterebbe tanta cortesia) di andarsene subito e di lasciare che gli italiani possano eleggere al piu' presto un nuovo Parlamento per dare all' Italia un governo che possa rimediare ai gravissimi danni causati  - in soli due anni - da lui e dalla sua Corte di Miracolati.

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Invia una e-mail
al Presidente

 

http://www.governo.it/scrivia/scrivi_a_presidente.asp

 
 
 

Post N° 82

Post n°82 pubblicato il 23 Gennaio 2008 da paginedistoria

Dice d' essere ottimista...

IL BOIARDO CHE NON MOLLA

...che abbia barattato sottobanco il voto di qualche senatore della CdL?

Se fosse cosi' - e domani lo sapremo - chissa' se qualche solerte magistrato avviera' mai una indagine per incriminarlo...

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Mandiamolo a casa con tutta la sua "Corte dei Miracoli e dei Miracolati"

 
 
 

Post N° 81

Post n°81 pubblicato il 22 Gennaio 2008 da paginedistoria

NO AL SOVIET DI RAI INTERNATIONAL

 

Pare che a RAI International siano infastiditi perché qualcuno ha cominciato a dire "basta" ad una rete a senso unico, anima e corpo votata alla sinistra.

 

Noi siamo solo un piccolo moscerino, ma è la turba dei teleutenti all´estero con le scatole piene che dovrebbe maggiormente infastidire Badaloni: vada e vedere il numero delle disdetta dagli abbonamenti...

 

Oppure… perché non prova ad essere meno di parte dando adeguato spazio anche all´opposizione, in termini di par condicio?

 

Fino a che non lo farà noi continueremo a "rompere" nelle sedi opportune per la semplice ragione...che abbiamo ragione.

 

Anche i piccoli moscerini alla fine pungono… diceva Sua Santita’ il Dalai Lama “se pensi d’essere troppo piccolo per contare qualcosa… prova a dormire con una zanzara”

 

Agli amici del blog e ai loro amici un invito a documentare e trasmetterci al seguente indirizzo

 

marco.zacchera@libero.it

 

i casi di commenti e conduzioni di parte che appaiano su Rai International: non servono chiacchiere e commenti ma orari, occasioni precise, fatti.

 

Ne faremo buon uso.

 
 
 

Post N° 80

Post n°80 pubblicato il 18 Gennaio 2008 da paginedistoria
Foto di paginedistoria

Un consiglio per chi e' allergico alla mortadella...

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Accendi il tuo PC


Quindi segui attentamente le seguenti istruzioni:

  1. crea un file

  2. chiama il file "Prodi"

  3. buttalo nel cestino

  4. clicca con il tasto destro su: Svuota cestino

  5. comparirà: "Elimina definitivamente Prodi?"

  6. clicca: "Sì"

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Non serve ad un cazzo, ma ti aiuta ad iniziare bene la giornata!!!

 
 
 
 
 

Post N° 78

Post n°78 pubblicato il 11 Gennaio 2008 da paginedistoria

RAI INTERNATIONAL e il PARACOMUNISMO!

"Rai International" è visibile anche in Italia ed in Europa. Ma allora  anche per Rai International devono valere le regole della "par condicio" politica perché chi segue questi programmi all´estero non ne può letteralmente più.

Voi pensate che Rai 3 sia troppo partigianalmente schierata a sinistra? Rai International lo è di più, molto di più. A parte il taglio dei programmi tutti a sinistra (da Ballarò ad Anno Zero, con "Porta a Porta" da cui sono scientemente cancellati i dibattiti politici scomodi) nella rete di Badaloni (si, proprio l´ex presidente della regione Lazio, resuscitato Rai) c´è una evidente e plateale scelta politico-editoriale che non rispetta né l´equilibrio né l´obbiettività.

Un esempio: l´ex cantante Gigliola Cinguetti "riciclata" presentatrice (e recente sostenitrice del "manifesto" di Rosy Bindi, non dimentichiamolo) che gestisce un maxi-programma quotidiano tutto di parte, invitando chi vuole e commentando come vuole.

Una rete "piccola" di soli (!!!) 140 dipendenti a Roma, ma che costa comunque alcune decine di milioni di euro l´anno per un "servizio pubblico" che non c´è.  In giro per il mondo cresce la rabbia, ci sono addirittura dei siti di protesta (www.salvaraiinternational.com) che raccolgono petizioni, firme  e dissensi.

Gli italiani all´estero infatti non ne possono più e solo negli USA mi risulta che nel 2007 ci siano state 24.000 disdette di abbonamento, ma la "corazzata Potiomkin" dell´informazione prosegue imperterrita.

Mi auguro che la Commissione RAI intervenga, sarebbe suo assoluto dovere.

 
 
 

NON SE NE VANNO!

Post n°77 pubblicato il 11 Gennaio 2008 da paginedistoria

Lamberto Dini, 30.12.2007: "Chiediamo una risposta chiara, senza ambiguità, al più tardi al momento della verifica prevista per metà gennaio..."

 

Lamberto Dini, 8.1.2008: " Dobbiamo dare tempo all´esecutivo Prodi. Non potrebbe seriamente impegnarsi su nulla senza sapere prima quante risorse avrà da ripartire..."

 

Eccoli qua quegli degli "ultimati irrevocabili" e quelli dell´ "ora, basta!".

 

Sia chiaro che è un dovere continuare a fare opposizione e mi auguro in modo sempre più netto visto come vanno le cose, ma non illudiamoci: PRODI NON SE NE VA PIU´...

 

Non se ne va perché la "colla" del potere è miele per la sua corte  che pensa innanzitutto ai propri interessi e quindi da Lamberto Dini a Di Pietro, da Rifondazione ai vari Pallaro prima di tutto ci tengono a salvarsi il posto.

 

Perfino Pecoraro Scanio resterà, quello che ha fatto e detto di tutto ed il contrario di tutto, che ha le responsabilità più gravi per la situazione in Campania che ha messo l´Italia all´attenzione ed alla vergogna del mondo.

 

Così come resterà Bassolino da 15 anni (quindici anni!!) monarca assoluto prima di Napoli e poi di quella regione.

 

Resteranno Di Pietro a litigare con il "pecoraio" e viceversa, resterà Dini anche se minacciava sfracelli per l´aumento della tassazione al 20% delle rendite finanziarie ed ora abbozza, resteranno Diliberto e Rifondazione che nei giorni dispari minacciano la crisi e in quelli pari digeriscono di tutto.

 

Vedrete: nelle prossime settimane al Senato scatterà l´ennesimo inciucio anche con i Radicali che  - interpretando in altro modo la legge elettorale sui collegi regionali -  guadagneranno per la maggioranza un paio di seggi in più.

 

Emergenza rifiuti? E´ già scattato il "Soccorso Rosso" delle altre regioni di sinistra che accetteranno i rifiuti a spese dei propri cittadini.

 

In un paese normale le dimissioni per quello che quotidianamente avviene sarebbero la normalità, ma - appunto - l´Italia non è più un paese normale. Non lo è perché altrimenti lo Stato non avrebbe abdicato al suo ruolo ed alle sue funzioni (non solo a Napoli, ma in una infinità di altre situazioni) e il "sistema" non reggerebbe più.

 

Non conta nulla che la stragrande maggioranza degli italiani sia delusa ed insoddisfatta, che la babele nella maggioranza sia completa, che l´8 gennaio i sindacati riaprano (giustamente, tra l´altro) un contenzioso con il governo per lo sgravio fiscale sulle buste paga quando DOPO 6 MESI DI DISCUSSIONI la "finanziaria" (da loro approvata !!!)  era stata chiusa appena 14 giorni prima. Gli sgravi verranno dai tagli ad enti pubblici inutili, evasione e sprechi amministrativi? Allora stiamo freschi, vedrete!

 

D'altronde il "frenatore" Padoa Schioppa conferma: sgravi - forse - con la Finanziaria" 2009: campa cavallo. Ma che razza di metodo di governare è questo? Governo e sindacati non si erano accorti prima che i prezzi aumentano come le imposte?

 

Non si erano accorti che le famiglie non riescono più a pagare i mutui (ma le banche scoppiano di utili) che il petrolio aumenta ma il gasolio ben di più mentre - pervicacemente - a Palazzo Chigi si continua a dire no ai rigassificatori, no al nucleare, no all´eolico ecc.ecc. salvo poi lamentarsi che nelle altre nazioni d´Europa l´energia costa meno e le nostre aziende perdono in competitività, mentre il "decreto sicurezza" (solo per parlare dell´ultimo voto di fiducia) è già dimenticato.

 

Questi sono fatti, ma continua la giostra delle parole.

 
 
 
 
 

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