Parole in cammino

 


Abito all'ultimo piano di tre, sotto al tetto, e sono l'invidiata proprietaria di un balcone con la più bella vista di tutto il paese. Per un lungo periodo questo bel balcone è stato per me un luogo proibito. Me ne interdii l'uso quando mi resi conto che guardavo di sotto con troppo morboso interesse, cercando di calcolare l'altezza e le possibili conseguenze di un volo nel vuoto, arrovellandomi sulla differenza tra un tonfo sull'asfalto e uno sul cemento armato. Sotto le mie finestre è cemento armato e chissà perchè, nella mia mente, questo deponeva a favore di una buona riuscita.Sono pensieri che ho in parte condiviso con una sola persona. Nemmeno l'analista ha mai saputo fino a che punto la mia disperazione fosse arrivata. Chi ha frequentato i meandri del pensiero suicida sa bene che resta una ferita nell'anima. Chi ci ha pensato seriamente ed ha passato anni svegliandosi col pensiero "oggi magari ci riesco" sa bene cosa sia quella tenaglia che ti prende lo stomaco quando senti che qualcuno ci ha provato e magari ci è riuscito. Resta l'intima condivisione di qualcosa che ci fa sentire razza elitaria, come partecipanti ad un rito concesso a pochi. Non è passato poi molto tempo da quando salendo un ripido sentiero scavato nella roccia mi fermai a fotografare il laghetto nel fondovalle e improvviso si accese quel lampo nel cervello: "basta un attimo, penseranno che sono scivolata e soffriranno meno" e il groppo di pianto che non può sciogliersi, e la mano che corre allo zaino dove stanno le pillole azzurre e quel "mio Dio!" silenzioso, che spacca il cuore e il cervello. E Dio che questa volta pare esserci.Quell'uomo ieri è salito sul tetto e ha messo in bell'ordine le sue cose. Il non voler lasciare nulla fuori posto, a partire dalla propria vita.Ho ascoltato muta i mille commenti televisivi e familiari e ho avuto un solo concreto pensiero: sette piani non bastano.