Parole in cammino

Post N° 394


Aspetto che squilli. Lo guardo, lo stacco dalla base, controllo che ci sia la linea, che le batterie funzionino. Vado sul balcone a stendere la biancheria, col pensiero che scivola nel borsone in cui sistemare pigiama e vestaglia; stiro organizzando le cose in modo che mio marito non abbia problemi quando non ci sarò, cambio le lenzuola al letto e metto da parte quelle un po' più belle da usare magari nel caso venga il dottore a casa, dopo. Poi lo riguardo. E non squilla. Allora leggo un poco i giornali on line. Pare che tra 40 anni il mondo finirà. Sono ottimisti. Mia sorella dice che finirà nel 2012 e io la notte ho gli incubi e sogno guerre e devastazioni nella mia casa. Meglio smettere di leggere. Meglio la musica, ma anche quella oggi è fastidiosa. Poco più di un rumore che non serve a distrarmi. Vuoi squillare, cazzo?!! Sono passati 22 giorni e 4 ore da quando mi hanno detto che prima o poi avrebbero chiamato e so che da quando chiameranno ne dovranno passare altri 15. Comincio ad avere dei seri dubbi sulla mia capacità di sopravvivere all'ansia. Alla paura sto soccombendo giorno dopo giorno. Al panico non faccio più caso: mi fa dire, fare, pensare cose totalmente senza senso. Mi fa parlare da sola, dimenticare gli impegni, bruciare i cibi. Mi fa bestemmiare, e mai, mai, mai l'avevo fatto in vita mia. Mi viene in mente mio padre, la sera prima che gli aprissero il petto. Il suo sguardo braccato, le sue gambe tese alla fuga, le vuote mani di cera di chi non ha nemmeno più la paura da mostrare e so che più passano i giorni e più gli somiglio, più scopro cosa sentiva mentre mi guardava disperato. Lui rischiava di morire, io molto meno, ma dal mio punto di vista non vedo una grande differenza. Mi addormenteranno, mi apriranno, mi faranno Dio sa cosa e io non avrò controllo. E sarò sola. Sola e senza controllo: la sintesi di 20 anni di attacchi di panico. Il viaggio iniziato nella mia mente, che forse va a concludersi in quel magone che mi stinge la gola da sempre e che qualcuno ora prova a togliere via, forse chiudendo il cerchio, forse giustificando in questo il terrore che sento dentro, che non è timore di morire, ma sgomento, nell'accorgermi di rischiare di trovarmi senza più scuse per non vivere.