Parole in cammino

Post N° 437


Bièn. Riflettevo in questi giorni su quanto abbia accontonato l'argomento "panico" da dopo l'intervento. Il problema è rimasto sospeso in un limbo che continuo a non voler esplorare, ma pur se chiudo gli occhi e tappo le orecchie, il cervello scalpita e pretende un minimo di attività. Così mi sono resa conto che ormai sono entrata nel circolo vizioso della rinuncia a prescindere. Quando penso ad un luogo, quando immagino un luogo, quando mi si propone un luogo, scatta la risposta automatica "tanto non ci andrò mai" e lo stesso si può dire se mi lascio andare alla fantasia di un lavoro o di una qualsiasi attività extra casalinga: il percorso mentale è quello di un cammello davanti alla cruna di un ago. Un enorme "ma sarete mica matti?" Ecco, mi sto ripiegando nella rassegnazione e il mio corpo rifiuta il sacrificio del tentativo. Come se fossi giunta al termine di un viaggio, dopo l'ospedale non ho più fatto programmi, immaginando la mia vita futura come un lento declino e nulla più. Anche qui non mi sento più a mio agio. Ho iniziato a scrivere i miei pensieri per non impazzire e mi sono abituata a questo comodo tavolino con vista sui vostri mondi, ma mi rendo conto di non avere più nulla da dire, o meglio, di non saper più lasciare libere le falangi sui tasti, forse perchè natura vorrebbe che fossero le mie labbra a lasciar sfuggire le angosce. Ho bisogno di realtà, di materia, di intimità. Per carattere non so dire basta e chiudere le porte, quindi esco lasciando uno spiraglio e un po' di buona, sana, romanticissima musica. Che sia di augurio a tutti voi. P.S. Resta inteso, per le personcine simpatiche che sanno di starmi a cuore, che sospendo il blog, non il mio affetto per loro ...