Parole in cammino

 


Ogni volta che vado a Roma, dopo essermi preoccupata di stare male durante tutto il viaggio, dopo essermi premunita stando male in anticipo per quanto starò male dopo, e dopo aver finalmente respirato a pieni polmoni il cielo di quella città che è casa come nessun altro posto al mondo saprebbe essere, ebbene, dopo tutto ciò, regolarmente, mi si spezza il cuore e mi si incrina la coscienza.Per una montanara abituata a percorrere l'intero centro del proprio villaggio in una manciata di minuti salutando i passanti ad una media di tre al secondo, Roma è decisamente destabilizzante. Se poi, invece di stare con lo sguardo incollato ai monumenti e alle Chiese, si decide di posare lo sguardo sui marciapiedi, ci si rende conto che il mondo vero è lì, in mezzo alle cartacce, alle cicche spente tra orli di impolverate gonne zingare, o lì, sui moncherini di arti saltati chissà dove e chissà in nome di quale dio. Sulla strada vicino casa c'è spesso un vecchio, o almeno c'era l'ultima volta. Indossa un copricapo ricamato di foggia caucasica e sta lì sul marciapiede tutto il giorno e snocciola un rosario di parole in una lingua oscura, chissà se supplica o maledizione ai passanti. E io passo e tiro dritto. Tiro sempre dritto, o quasi. Perchè sono tanti, perchè non ho abbastanza monetine in tasca mentre dentro una voce mi urla che nessuno mi vieta di allungare loro una banconota. Perchè a volte penso che siano mattacchioni che hanno trovato un modo originale per irridere la fatica. Perchè ci raccontano che sono disgraziati gestiti dalla criminalità e che aiutarli è come foraggiare la mafia. Me la dice la sinistra questa cosa qua, quella sinistra che va a farsi le canne davanti al Parlamento, come se la Marijuana fosse legalmente distribuita dalla Caritas. E perchè mi hanno tirata su a forza di "non sappia la tua mano destra quel che fa la sinistra", mentre questo mondo sfrontato ci costringe a esibire la vergogna della mendicità e il pudore della carità. E così tiro dritto e lascio che ogni volta si infranga un pezzo di me e ho paura che alla fine resti solo un enorme buco dove prima c'ero io.