Parole in cammino

 


Pensare di uscire. Si può fare forse, due pillole e via. Ma uscire per andare dove e vedere chi? Un unico amico scelto chissà come a nove ore di treno dal mio bisogno, e vent'anni a perseguire un unico scopo: distruggere ogni traccia della mia esistenza, ogni ricordo in chi un tempo mi conosceva. In un paese dove in tre minuti hai visto tutto il visibile e dove per fare qualsiasi cosa devi salire su un treno e andare in città. Gian Maria Testa la chiama città lunga Cuneo. E lo è lunga, coi suoi portici a riparare dalla pioggia in inverno e dal sole in estate. Dalla Stazione a Piazza Torino venti minuti, venti lunghissimi minuti di passione ripagati da vetrine sfavillanti e caffetterie invitanti golosità, dove non poter entrare perchè più del digiuno può il panico. A Cuneo ci vado ormai solamente in auto con mio marito per i controlli in ospedale. Oltre via Michele Coppino la mia Finisterre. Romantico il suo coincidere con la sagoma del Monviso sullo sfondo, ma triste che sia tutto lì il mio vivere la città: tra il parcheggio e l'entrata dell'ospedale. A volte c'è l'ipermercato, dove faccio una fatica boia, ma almeno ho la certezza che anche le persone sane si sentano a disagio in quel girone infernale, una sorta di mal comune mezzo gaudio. Quando torno a casa dopo una sessione di acquisti, ci metto poi due giorni a riprendermi, perchè il panico è bastardo, non si accontenta di attanagliarti durante, ha un che di scientifico anche nel suo agire dopo. Ti paralizza talmente da lasciarti come se fossi finita sotto a un autobus, con i muscoli a pezzi, in preda ad una gran sposatezza e con un solo pensiero in testa: "mai più!"E allora. Metà del mio vissuto è trascorso così. Spese tutte le speranze, sforzandomi per quanto il mondo mi chiede di sforzarmi, ovvero oltre ogni limite umano, è possibile che ancora io stia qui a pensare di poter fare qualcosa di diverso dal guardare fuori dalla finestra? Conto sulle dita: quattro uscite in quattro mesi. Tre per andare in ospedale. Il resto del tempo l'ho passato in questa stanza, ora dopo ora. Doloroso constatare che questa ormai sia la norma, per me e per chi è costretto a causa mia. A questo punto stare a farmi paranoie sul significato di un blog mi sa di presa per il culo. Eppure se mi sono posta il problema vuol dire che qualcosa c'è sotto. C'è il piattino da mendicante citato tempo fa da lume. C'è che la solitudine è difficile e che di occhi per piangere ne ho solo due. C'è che serve distrarsi. C'è che aiuta parlare a ruota libera senza sentire il pregiudizio di chi sa da dove arrivi e dove non arriverai mai. C'è che l'analisi non me la posso nè voglio più permettere. C'è che anche cazzeggiare aiuta. C'è che mi è sempre scoppiata la vita dentro, continua a scoppiare e non so dove esploderla. C'è che non sembra, ma sono viva e merito qualcosa di meglio. Se fosse tana, pazienza.Vamos, decíme, contámeTodo lo que a vos te está pasando ahoraPorque si no, cuando está tu alma sola lloraHay que sacarlo todo afuera, como la primaveraNadie quiere que adentro algo se mueraHablar mirándose a los ojosSacar lo que se pueda afueraPara que adentro nazcan cosas nuevas.(Mercedes Sosa)