luci e ombre...

Post N° 333


Ho appena finito di leggere ed analizzare questo canto...non l'avevo mai letto così attentamente, e mi sono resa conto di non averlo mai capito completamente...E' BELLISSIMO! Mi sono addirittura commossa, cosa che mi è capitata rarissime volte. E' inutile..sono proprio un'inguaribile romantica!! BUONA LETTURA!!   "La morte di Clorinda"- tratto dalla "Gerusalemme liberata" di T. Tasso.  L'onta irrita lo sdegno a la vendetta,e la vendetta poi l'onta rinova;onde sempre al ferir, sempre a la frettastimol novo s'aggiunge e cagion nova.D'or in or piú si mesce e piú ristrettasi fa la pugna, e spada oprar non giova:dansi co' pomi, e infelloniti e crudicozzan con gli elmi insieme e con gli scudi.         Tre volte il cavalier la donna stringecon le robuste braccia, ed altrettanteda que' nodi tenaci ella si scinge,nodi di fer nemico e non d'amante.Tornano al ferro, e l'uno e l'altro il tingecon molte piaghe; e stanco ed anelantee questi e quegli al fin pur si ritira,e dopo lungo faticar respira.         L'un l'altro guarda, e del suo corpo essanguesu 'l pomo de la spada appoggia il peso.Già de l'ultima stella il raggio langueal primo albor ch'è in oriente acceso.Vede Tancredi in maggior copia il sanguedel suo nemico, e sé non tanto offeso.Ne gode e superbisce. Oh nostra follemente ch'ogn'aura di fortuna estolle!         Misero, di che godi? oh quanto mestifiano i trionfi ed infelice il vanto!Gli occhi tuoi pagheran (se in vita resti)di quel sangue ogni stilla un mar di pianto.Cosí tacendo e rimirando, questisanguinosi guerrier cessaro alquanto.Ruppe il silenzio al fin Tancredi e disse,perché il suo nome a lui l'altro scoprisse:         "Nostra sventura è ben che qui s'impieghitanto valor, dove silenzio il copra.Ma poi che sorte rea vien che ci neghie lode e testimon degno de l'opra,pregoti (se fra l'arme han loco i preghi)che 'l tuo nome e 'l tuo stato a me tu scopra,acciò ch'io sappia, o vinto o vincitore,chi la mia morte o la vittoria onore."         Risponde la feroce: "Indarno chiediquel c'ho per uso di non far palese.Ma chiunque io mi sia, tu inanzi vediun di quei due che la gran torre accese."Arse di sdegno a quel parlar Tancredi,e: "In mal punto il dicesti"; indi riprese"il tuo dir e 'l tacer di par m'alletta,barbaro discortese, a la vendetta."         Torna l'ira ne' cori, e li trasporta,benché debili in guerra. Oh fera pugna,u' l'arte in bando, u' già la forza è morta,ove, in vece, d'entrambi il furor pugna!Oh che sanguigna e spaziosa portafa l'una e l'altra spada, ovunque giugna,ne l'arme e ne le carni! e se la vitanon esce, sdegno tienla al petto unita.         Qual l'alto Egeo, perché Aquilone o Notocessi, che tutto prima il volse e scosse,non s'accheta ei però, ma 'l suono e 'l motoritien de l'onde anco agitate e grosse,tal, se ben manca in lor co 'l sangue vòtoquel vigor che le braccia a i colpi mosse,serbano ancor l'impeto primo, e vannoda quel sospinti a giunger danno a danno.         Ma ecco omai l'ora fatale è giuntache 'l viver di Clorinda al suo fin deve.Spinge egli il ferro nel bel sen di puntache vi s'immerge e 'l sangue avido beve;e la veste, che d'or vago trapuntale mammelle stringea tenera e leve,l'empie d'un caldo fiume. Ella già sentemorirsi, e 'l piè le manca egro e languente.         Segue egli la vittoria, e la trafittavergine minacciando incalza e preme.Ella, mentre cadea, la voce afflittamovendo, disse le parole estreme;parole ch'a lei novo un spirto ditta,spirto di fé, di carità, di speme:virtú ch'or Dio le infonde, e se rubellain vita fu, la vuole in morte ancella.         "Amico, hai vinto: io ti perdon... perdonatu ancora, al corpo no, che nulla pave,a l'alma sí; deh! per lei prega, e donabattesmo a me ch'ogni mia colpa lave."In queste voci languide risuonaun non so che di flebile e soavech'al cor gli scende ed ogni sdegno ammorza,e gli occhi a lagrimar gli invoglia e sforza.         Poco quindi lontan nel sen del montescaturia mormorando un picciol rio.Egli v'accorse e l'elmo empié nel fonte,e tornò mesto al grande ufficio e pio.Tremar sentí la man, mentre la frontenon conosciuta ancor sciolse e scoprio.La vide, la conobbe, e restò senzae voce e moto. Ahi vista! ahi conoscenza!         Non morí già, ché sue virtuti accolsetutte in quel punto e in guardia al cor le mise,e premendo il suo affanno a dar si volsevita con l'acqua a chi co 'l ferro uccise.Mentre egli il suon de' sacri detti sciolse,colei di gioia trasmutossi, e rise;e in atto di morir lieto e vivace,dir parea: "S'apre il cielo; io vado in pace."         D'un bel pallore ha il bianco volto asperso,come a' gigli sarian miste viole,e gli occhi al cielo affisa, e in lei conversosembra per la pietate il cielo e 'l sole;e la man nuda e fredda alzando versoil cavaliero in vece di parolegli dà pegno di pace. In questa formapassa la bella donna, e par che dorma.         Come l'alma gentile uscita ei vede,rallenta quel vigor ch'avea raccolto;e l'imperio di sé libero cedeal duol già fatto impetuoso e stolto,ch'al cor si stringe e, chiusa in breve sedela vita, empie di morte i sensi e 'l volto.Già simile a l'estinto il vivo langueal colore, al silenzio, a gli atti, al sangue.