Creato da paoloalbert il 20/12/2009

CHIMICA sperimentale

Esperienze in home-lab: considerazioni di chimica sperimentale e altro

 

Messaggi di Aprile 2011

Commento al post precedente

Post n°102 pubblicato il 28 Aprile 2011 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Leggendo tra le righe con spirito critico i risvolti esclusivamente tecnici del lavoro descritto nel post precedente, rilevo un particolare poco chiaro nelle righe dell'Ambrosioni; forse si sarà trattato di un'omissione o di una svista dell'Autore, oppure di qualcosa che mi sfugge.
Ecco di cosa si tratta:

-dal momento che il blù di Prussia è costituito da ferrocianuro ferrico Fe4[Fe(CN)6]3, ritrovo nell'arcaico procedimento settecentesco della sua preparazione delle giuste sostanze, ma me ne manca all'inizio una essenziale!

Mi spiego: nella composizione da far "arrostire" ci sono sostanze solfo-azotate (cheratina, ecc.), le quali combinandosi con il carbonato di potassio possono dar origine a solfuro e cianuro alcalino; nella seconda fase della procedura c'è poi la successiva aggiunta di vetriolo verde (FeSO4) e conseguente formazione del sale ferrico per lenta ossidazione all'aria durante quella ventina di giorni di lavaggio, eccetera.
Sembrerebbe tutto chiaro...

E' però evidente la mancanza "iniziale" del ferro, che se presente negli ingredienti di partenza avrebbe originato per calcinazione del solfuro di ferro, del cianuro di potassio, ed alla lunga per arroventamento della massa la formazione finale di prussiato giallo, cioè di ferrocianuro di potassio, il quale poi in presenza di sali ferrosi (e poi ferrici) avrebbe originato il nostro bellissimo blù.

Ripeto, non vedo nel procedimento dell'Ambrosioni il ferro "iniziale", quello che serve per formare il K4[Fe(CN)6], indispensabile per il doppio scambio successivo in fase liquida con il solfato ferroso (il quale naturalmente viene aggiunto solo quando il complesso ferrocianico col potassio doveva essersi formato).
E' vero che c'era un po' di emoglobina nella puzzolente miscela di partenza; oppure magari si potrebbe considerare la consunzione del materiale ferroso dei "crogiuoli", ma non mi sembrano certamente queste delle buone fonti di ferro, o comunque sufficienti alla bisogna.

Per dissipare i miei dubbi ho voluto dare un'occhiata al Molinari, che mi ha confermato che nelle materie prime di partenza per la fabbricazione del ferrocianuro di potassio si aggiungeva alla potassa e alle "ugne" anche tornitura di ferro... adesso sì che ci siamo ed i conti (stechiometrici...) tornano!

Ma la mia perplessità in questa preparazione sarà dovuta (credo) ad un peccato veniale di omissione del nostro bravo Farmacista di Pavia, che perdoniamo volentieri!

Se alle mie considerazioni qualcuno avesse delle altre idee da aggiungere per ulteriore completezza o per pura discussione, saranno benvenute.

 
 
 

Idrocianato di tritossido di ferro...

Post n°101 pubblicato il 26 Aprile 2011 da paoloalbert

Dopo le quattro puntate precedenti, non val la pena di rilassarsi un pochino leggendo un paio di paginette dell'Ambrosioni, come quando si va in bagno e si cerca qualche lettura di poco impegno?
(Chi non sapesse cos'è l'Ambrosioni, faccia finta di essere al vecchio gioco dell'oca, e faccia un salto indietro fino al post n.48...).

Aperto a caso il libro, è capitata la pagina dell'Azzurro di Berlino: è talmente bello questo profondissimo blù, che mi piace trascrivere integralmente tutto il breve paragrafo; per gli amanti della storia sarà una lettura amena che si presterà poi ad una riflessione:

per ora vai Felice Ambrosioni, rivivi per un attimo e parlaci con le tue parole dell'...

                                AZZURRO DI BERLINO

Ambrosioni blù

 

-L'azzurro di Berlino conosciuto in commercio altresì coi nomi di bleu, ossia azzurro Prusso, e dai Chimici Idrocianato di tritossido di ferro, trae il suo nome dalla città, ove per la prima volta è stato inventato, e fabbricato.
Dobbiamo ad uno speziale di quella capitale la sua scoperta nel 1704.
Il suo metodo di prepararlo restò occulto sino nel 1724 epoca per cui finì il suo mistero, perchè alcuni chimici incominciarono a parlare di questa sostanza, quindi vennero perfezionati i metodi, e diffusi in molte parti dell'Europa.
In Francia, ed altrove il modo di fabbricarlo in grande è il seguente.
Entro fornelli a riverbero, ed in grandi crogiuoli di ferro coperti di un cappello fatto a cono, ed aperto nella parte superiore si fanno abbruciare parti eguali di potassa, e di raschiatura di corna, o d'ugne d'animali; per l'ordinario si servono del sangue.
Allorachè dal condotto superiore non sorte più fumo, nè fiamma, spingono il fuoco al punto d'arroventire, e ridurre la massa in una specie di pasta.
Raffreddato il tutto estraggono la suddescritta massa, e la sciolgono in grandi tini con sufficiente quantità d'acqua.
Col riposo, e colla filtrazione rischiarano la soluzione che si pone in altri recipienti.
Separatamente poi sciolgono due, e sino a quattro parti di allume di rocca, ed una di vetriolo verde del commercio in conveniente quantità d'acqua, quindi la gettano a poco a poco nella prima soluzione sino a tanto che cessi d'intorbidarsi.
L'azzurro che si compone mediante quest'unione si deposita in fondo dei tini sotto forma d'un precipitato di colore oscuro nerastro.
L'acqua che sopranuota al deposito suddetto allorchè si è rischiarata si estrae lentamente, ed altrettanta se ne aggiunge limpida e pura, e così ripetutamente sino a tanto che l'azzurro sia passato dal colore scuro nerastro al fosco verde, quindi al turchiniccio, finalmente al blù pieno.
Questo passaggio di colori succede nel decorso di 20 a 24 giorni di lavature.
L'azzurro in allora si raccoglie sulle tele, si fa seccare, e si destina al commercio in pezzetti e frantumi irregolari d'un colore turchino più o meno carico.
D'esso non ha odore alcuno, nè sapore, ed il suo colore è più o men carico in dipendenza forse della quantità dell'allume che s'impiega nell'operazione, perchè quanto è minore la dose di questo sale, tanto più marcato è il suo colore.
L'azzurro viene dai Droghieri misto alcune volte colla polvere di tornasole; si scopre l'inganno con l'acido solforico, ossia olio di vetriolo allungato, il quale non altera il suo colore se è puro e lo fa passare al rosso ceruleo se è unito alla predetta sostanza.
Sono estesi gli usi del bleu di Prussia.
I fabbricanti di tappezzerie di carta ne consumano in quantità, i tintori danno il celeste raymon alle stoffe di seta, ed i pittori per dipingere ad olio; finalmente nei laboratorj chimici si prepara l'acido prussico.
                                           _______

La procedura descritta dall'Ambrosioni merita secondo me un approfondimento critico (dal punto di vista meramente chimico) che val la pena di esporre: è quello che farò la prossima volta.

 
 
 

I don't know how to love him

Post n°100 pubblicato il 23 Aprile 2011 da paoloalbert

I don't know how to love him... -Non so come amarlo- cantava la struggente Ivonne Elliman nel 1970 in uno dei più significativi momenti dell'opera pop Jesus Christ Superstar.

Ascoltiamoci anche la più moderna ma altrettanto deliziosa versione di Sarah Brightman, che con dolcissima voce interpreta in chiave moderna il tema della Passione.

 



B u o n a   P a s q u a !

 
 
 

Spettroscopio/colorimetro PA-mode (4° e ultima parte)

Post n°99 pubblicato il 19 Aprile 2011 da paoloalbert

Dopo essere stato preventivamente testato al banco mentre cresceva (ved. foto nel post precedente), ho slegato dal lettino il circuito "piccolo Frankestein" liberandolo dalla miriade di fili che lo alimentavano e l'ho piazzato  in una scatoletta che avevo, in modo che fosse indipendente e potesse cominciare a muoversi autonomamente facendo il lavoro che doveva fare.
Sul pannello frontale dell'apparecchio ci sono tutti i comandi di regolazione dell'accrocco, così si può smanettare a piacere senza fare acrobazie.
Oltre all'interruttore di accensione e al relativo LED, si vedono:

- il milliamperometro per le misure relative di assorbanza
- la regolazione della corrente del LED di illuminazione
- la regolazione dell'offset (azzeramento)
- la regolazione dell'amplificazione dei due stadi OP Amp
- l'uscita per l'alimentazione del LED di illuminazione
- l'entrata del segnale e di alimentazione del fototransistor
- l'attenuatore per lo strumento di uscita


Lo schema come detto è volutamente semplice (era il requisito fondamentale che mi ero imposto), quindi la difficoltà maggiore è stata come al solito la realizzazione meccanica ed il cablaggio del tutto, dato che occorre fare un lavoretto che sia anche esteticamente presentabile.

 

Colorimetro 2

 

Le foto, fatte in qualche modo di sera, rendono un'idea del marchingegno finito durante una misura sotto descritta.

Colorimetro 3

 

Prove di assorbimento

Il test iniziale è stato fatto (illuminando solo a infrarosso) diverse soluzioni di dicromato di potassio K2Cr2O7 e di cloruro di rame CuCl2.
Il dicromato (pur se intensamente arancio) porta a irrisorie variazioni di assorbimento in funzione della concentrazione; tutto l'opposto invece col cloruro di rame (impercettibilmente azzurrino) nelle medesime condizioni: 1 g/l di CuCl2 fornisce in uscita un notevolissimo assorbimento. (Ho voluto cercare il limite del sistema per questo catione a IR e ho visto che mi rivela con certezza meno di 20 mg/l di Cu++).

La prova nelle foto si riferisce al test di assorbimento sempre del K2Cr2O7, ma stavolta nel vicino ultravioletto (400 nm).
Cambiando la lunghezza d'onda stavolta il colpo di scena è notevole: mentre nell'IR l'indice non si muoveva nemmeno con una soluzione più arancio della Fanta, nell'UV è sufficiente 1 ppm (!) di dicromato per portare l'indice dello strumento dal fondo scala (50) al valore 10!
Inutile dire che a questa estrema diluizione la soluzione è perfettamente trasparente e incolora all'occhio umano.

Un'altra prova significativa e di grande soddisfazione è stato verificare l'assorbimento nel verde (530 nm) dello ione permanganato MnO4-
Questo anione ha un'elevatissimo potere colorante nel viola (le sue soluzioni diluite sono di un meraviglioso violetto) e quindi, secondo il Circolo di Ostwald dovrebbe assorbire nel verde... andiamo a verificare.
Ho dovuto diluire, diluire, e ancora diluire per raggiungere il limite di sensibilità del sistema: il mio aggeggio distingue chiaramente tra l'acqua e una sol. normal/centomillesima! di permanganato KMnO4, naturalmente del tutto incolora.

E così via... molto irregolarmente le prove sono ancora in corso; mi propongo di fare quelle dei sali ferrici tiocianato e ferrocianuro (rispettivamente nel blù e nel giallo), di alcune sostanze organiche, di altri cationi non ancora visti e di quant'altre la fantasia suggerirà nei ritagli di tempo.

La sensibilità potrebbe ovviamente aumentare avendo la possibilità di variare "in continuo" la lunghezza d'onda dell'illuminazione, poichè in genere l'assorbimento avviene per bande e per picchi, e non è detto che la frequenza del mio LED illuminatore cada proprio sul picco massimo... anzi è del tutto improbabile. Ma variare lambda in continuo vorrebbe dire usare un monocromatore, e allora l'apparecchio non sarebbe più il giocattolino che è.

Per concludere, voglio anche ringraziare il dott. Lorenzo M., che mi ha  fornito dei preziosi suggerimenti e preparato una bella tabella colorimetrica sperimentandola personalmente con apparecchi seri: tutto ciò mi è stato di notevole ausilio per indirizzarmi alla "luce" (è proprio il caso di dire...) con cui lavorare.

 
 
 

Spettroscopio/colorimetro PA-mode (3° parte)

Post n°98 pubblicato il 17 Aprile 2011 da paoloalbert

Dopo il lavoro di precisione abbastanza noioso ma indispensabile per la celletta, mi sono preso un po' più di soddisfazione con la progettazione e realizzazione del circuito.
Cercherò di essere il più comprensibile possibile sapendo che l'elettronica non è  il motore trainante di questo blog, ma dopotutto questi sono appunti personali, è come un diario...

Ho imbastito un banale amplificatore in corrente continua usando solo i due amplificatori operazionali contenuti in un circuito integrato LM358; il circuito è semplice perchè deve solo amplificare le debolissime variazioni di segnale che escono dal fototransistor rivelatore della celletta.

Sottolineo che occorre amplificare non il segnale, ma le "variazioni" del segnale stesso a seconda della concentrazione, e queste variazioni possono essere debolissime, anche se il segnale in assoluto è forte.
Occorre quindi amplificare molto
, e stabilizzare bene la tensione duale di alimentazione.

Con due soli operazionali ho amplificato circa 4000 volte in tensione (ciò vuol dire che pochi microvolt di variazione nella tensione del rivelatore, portano alla variazione di parecchi millivolt in uscita dall'amplificatore).
L'interno della celletta deve essere al buio perfetto perchè la sensibilità alla luce del fototransistor così amplificato è elevatissima ed una minima trafilatura di luce ambientale porta immediatamente la lettura a fondo scala.
Non si può amplificare troppo (con circuiti così semplici) altrimenti aumenta troppo il noise di fondo e la lettura diventa instabile. Ho cercato quindi un giusto compromesso.

Il segnale amplificato del photoTR è stato prima testato solo sull'oscilloscopio (assolutamente indispensabile per lavoretti come questo), successivamente ho adattato l'uscita su uno strumento analogico, prevedendo un adeguato fondo scala e gli azzeramenti indispensabili prima di ogni lettura.
E' stato previsto il controllo manuale del guadagno dell'amplificatore e della corrente di pilotaggio dei LED.

 

Colorimetro 1

 

Nella foto si vede l'accrocco mentre è ancora in fase di progettazione, i componenti disassemblati belli distesi e pieni di fili come Frankestein, che dà i primi segni di vita leggendo l'assorbimento di una soluzione di sali di rame.
L'alimentatore è quello grosso da lab, e se il circuitino fa i capricci, giù uno sculacc... pardon, uno scossone!

 

Colorimetro acqua   Colorimetro rame

 

 

 

 

 

 

Le prime prove all'oscilloscopio mostrano che l'apparecchio come principio funziona e sono quelle che mi danno la forza di continuare nella sperimentazione!

Una soluzione di 2 g/l di cloruro di rame (adestra) mi fa alzare la traccia di 5 cm a luce visibile rispetto all'acqua pura (a sinistra)! Vuol dire che quando saremo nell'infrarosso...

Faccio notare per chiarezza che questo "colorimetro" NON è sensibile ai "colori" come noi li vediamo, ma è sensibile all'assorbimento di certe lunghezze d'onda che attraversano una soluzione: quest'ultima potrebbe essere perfettamente incolora come l'acqua e mostrare invece un fortissimo assorbimento; viceversa, potrebbe essere colorata anche intensamente e mostrare un assorbimento irrisorio rispetto a quello che ci si aspetterebbe!

...ma di questo si parlerà la prossima volta.

 
 
 

Spettroscopio/colorimetro PA-mode (2° parte)

Post n°97 pubblicato il 14 Aprile 2011 da paoloalbert

Come dicevo nell'introduzione, tempo fa mi è venuta voglia di provare a fare un piccolo "spettroscopio/colorimetro" sperimentale, naturalmente senza alcun intendimento di costruire uno strumento di misura, ma con lo scopo di fare un "giocattolo", diciamo così, didattico che verificasse l'assorbanza relativa di uno ione (o di una molecola colorata) e anche per avere la scusa di sposare bene assieme i miei due hobbies principali (chimica ed elettronica).

Mi ero proposto tassativamente di:

1- usare solo componenti che possedevo; il costo della realizzazione doveva essere minimo;

2- usare come elementi ottici fototransistor e LED anzichè fotocellule, lampadine speciali e monocromatore;

3- amplificare il segnale ottico con amplificatori operazionali e componenti low cost;

4- costruire una semplicissima celletta a tenuta di luce in cui inserire una cuvetta per la sostanza in esame;

5- stabilizzare opportunamente le tensioni di alimentazione dell'amplificatore a guadagno variabile e la corrente del LED di illuminazione e predisporre dei comandi di guadagno e di offset (azzeramento)

6- l'uscita sarebbe stata su milliamperometro con scala di riferimento totalmente relativa.

Per quanto detto al punto 2-, mancando il monocromatore lo spazzolamento in frequenza è limitato solo a sei "colori" fissi, nel range che va dal vicino IR al limite dell'inizio dell'ultravioletto. Questo è il limite maggiore dell'apparecchio, e del resto questo limite non è risolubile senza questo dispositivo (ved. con Google che cos'è un monocromatore!).

A tal proposito ricordo sempre l'aneddoto di un mio vecchio professore che ci raccontava che la fabbrica dei monocromatori era (a quei tempi lontani!) costruita nel deserto, per essere immune da ogni minimissima vibrazione e poter eseguire la microrigatura la più perfetta possibile. Che deserto sarà mai stato quello del bravo prof. Zampieri? Arizona? New Mexico? Chi lo sa... Adesso si fanno i DVD, che sono quasi quasi dei monocromatori della domenica, a migliaia di tonnellate...

Ritornando al nostro apparecchietto, le sorgenti di luce discrete (tanto discrete... sono solo sei!) sono costituite da dei semplici LED, con le seguenti lunghezze d'onda abbastanza approssimate ma più che sufficienti per i miei scopi:

- 880 nm (IR)
- 630 nm (rosso)
- 590 nm (giallo)
- 530 nm (verde)
- 470 nm (blu)
- 400 nm (UV)

Ho perso quasi una giornata per fare la celletta in cui  inserire il contenitore per  il liquido  in  esame  ed il semplicissimo gruppo ottico trasmittente/ricevente. Il tutto ovviamente deve essere a tenuta di luce. Avevo previsto all'inizio un semplice contenitore in polietilene da mm 30x30x30 (come si vede nella foto), poi sostituito da una cuvetta specifica per analisi, a facce parallele e di dimensioni 12x12x45 (cammino ottico 10 mm).

 

Celletta 1

 

La cuvetta è quel piccolo contenitore parallelepipedo di cui è noto il cammino ottico ed il materiale è di buona trasparenza; ci sono cuvette in vetro, a facce perfettamente parallele e calibrate (molto costose), e cuvette economiche in plastica: indovinare quali ho usato io...

Le due protuberanze laterali in rame che si vedono in foto contengono uno l'elemento illuminatore e l'altro il ricevitore.
Quest'ultimo è un fototransistor opportunamente alimentato con un microjack a sinistra.

Questa per ora è la celletta casalinga di questo fantomatico Spett/Col-PA-mode; in futuro la migliorerò.

Nella prossima puntata dirò qualcosa dell'amplificatore e dell'hardware completo.

 

 
 
 

Spettroscopio/colorimetro PA-mode (1° parte)

Post n°96 pubblicato il 10 Aprile 2011 da paoloalbert

Cercando in rete l'argomento "spettroscopia UV-visibile" si trova tutto quello che io ometterò di dire in questa sede, la quale, come ormai ben si sa, è dedicata quasi categoricamente alla realizzazione pratica di quello che la teoria propone.

Solo due parole minime introduttive al mio esperimento (anche hardware!) che seguirà: la spettroscopia è una disciplina che riguarda quelle tecniche con le quali è possibile ottenere informazioni sulle proprietà strutturali dei corpi studiando l’interazione della materia con l’energia elettromagnetica, cioè la luce, visibile o meno.

Alcuni punti fissi:

- L'energia di un'onda elettromagnetica è direttamente proporzionale alla sua frequenza, quindi quanto maggiore è la lunghezza d’onda di una radiazione, tanto minore è l’energia ad essa associata.

- La luce visibile è quella parte dello spettro elettromagnetico a cui è sensibile l’occhio umano, caratterizzata da lunghezze d’onda che vanno da 380 nm a 780 nm.

- Le lunghezze d’onda della luce visibile sono in relazione con i colori che noi percepiamo; il rosso è caratterizzato da lunghezze d'onda più elevate, e viceversa per il viola, che avrà qundi una maggior energia.

- L’UV si estende al di sotto dei 380nm, l'IR al di sopra dei 780 nm.

- Quando una radiazione elettromagnetica interagisce con la materia si ha in genere trasferimento di energia dalla radiazione alla materia (assorbimento), cui segue la restituzione di energia sotto diverse forme (emissione).

- La radiazione incidente di intensità I0 viene in parte assorbita dal campione e la radiazione uscente I1 ha intensità minore.

- Una legge fondamentale di questa disciplina è la legge di Lambert-Beer:

A = ε l c

dove A è l’assorbanza di una soluzione, ε è un coefficiente che dipende dal tipo di sostanza, l è la lunghezza del cammino ottico e c è la concentrazione c della soluzione.

Qusta legge è di fondamentale importanza per l’analisi quantitativa, poiché evidenzia una dipendenza lineare (entro certi limiti) dell’assorbanza dalla concentrazione dell’analita, che può pertanto essere determinata.
Conoscendo l’assorbanza di soluzioni standard, si può risalire alla concentrazione del campione in esame.

Le tecniche spettrometriche basate sul fenomeno dell’assorbimento vengono realizzate con un dispositivo che comprende:

Una sorgente di radiazioni (luce, visibile o meno).

Un monocromatore (un dispositivo che permette di scegliere la radiazione della lunghezza d'onda voluta).

Un rivelatore (misura la radiazione che ha attraversato il campione rispetto a quella incidente).

Le transizioni energetiche indotte dalle radiazioni UV- visibili con la materia coinvolgono gli elettroni più esterni di legame della sostanza in esame e l’eccitazione degli elettroni di valenza richiede energie tanto più elevate quanto più è grande la separazione fra i livelli elettronici di partenza e di arrivo delle transizioni.
Il colore è una sensazione fisiologica prodotta dal nostro cervello quando elabora i segnali generati nell’occhio dalle radiazioni elettromagnetiche che lo colpiscono dopo l'interazione tra una sorgente luminosa e un oggetto.

Circolo cromaticoSe un raggio di luce policromatica illumina un oggetto che ne può assorbire una parte, la radiazione che giunge all’occhio contiene solo le lunghezze d’onda che non sono state assorbite, cioè le radiazioni complementari.

Ciò si può vedere bene col Circolo di Ostwald:

se l’oggetto, illuminato da luce policromatica, assorbe prevalentemente nella regione del giallo-rosso, vengono trasmesse le radiazioni nella regione del blu e quindi  l’oggetto è percepito come blu (per esempio i sali di rame idrati, che appaiono azzurri).

 

Dopo questa doverosa premessa ULTRA-semplificata, ho provato a costruire un aggeggio che facesse vagamente quanto sopra:

dandogli in pasto una soluzione diluitissima di una certa sostanza, dovrà applicare la legge di Lambert-Beer e tirar fuori dei risultati interpretabili, non dal punto di vista assoluto e numerico (per questo scopo  ci sono i veri spettroscopi UV-VIS-IR, per le corrispettive adeguate migliaia di euro) ma solo da quello di una misurazione relativa dell'assorbanza ad una certa lunghezza d'onda.

Vedremo pian piano come andrà a finire.

 
 
 

Intermezzo cristallino

Post n°95 pubblicato il 05 Aprile 2011 da paoloalbert

Nel blog ci vuole ogni tanto uno stacchetto, magari d'arte (una musica, un'immagine...).
La prossima volta metterò una musica, oggi... guardate che meraviglia questi cristalli!

Un paio di mesi fa, quando faceva particolarmente freddo e fare sintesi laboriose nel mio gelido lab sarebbe stato puro autolesionismo, avevo preparato senza tanto dispendio energetico un po' di propionato di rame, così, per pura curiosità verso un sale sicuramente abbastanza singolare.

Sono partito da acido propionico e carbonato basico di rame, sfruttando il semplice spostamento:

CuCO3 + 2 CH3-CH2-COOH --> (CH3-CH2-COO)2Cu + H2O + CO2

Visto che non avevo fretta, ho poi fatto cristallizzare molto lentamente la soluzione ottenuta, in poco meno di due mesi e ad una temperatura media bassa.

 

Rame propionato 1


Nelle giuste condizioni questo sale si accresce con buona soddisfazione ed è risultato molto bello anche nell'aspetto, con un verde profondissimo, praticamente nero, con dei riflessi verdi che si intravvedono dove i cristalli sono più sottili.

 

Rame propionato 2


Dato che noi ammiriamo l'arte e l'estetica anche nella chimica (eccome!), mi permetto di proporre queste immagini come fossero piccoli quadri, fatti dalla natura.

 

 
 
 

Esperimento con i Silani

Post n°94 pubblicato il 03 Aprile 2011 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

Ironia della sorte, una volta abitavo vicino ad una località che si chiamava proprio "Silani"... una specie di microscopica Silicon Valley ante litteram: ma quelle quattro case non avevano a che fare con i composti del silicio!

Si diceva qualche post fa che gli idrocarburi si dividono in tre gruppi fondamentali: alcani, alcheni, alchini.
Gli alcani sono gli idrocarburi diciamo più semplici, di formula CnH2n+2, il cui capostipite è il metano (CH4) e poi a seguire l'etano (C2H6), il propano (C3H8), il butano (C4H10) e così via.
Gli alcani sono caratterizzati da una grande stabilità ed inerzia chimica; è difficilissimo farli reagire senza opportune condizioni, a meno di non incendiarli, nel qual caso (una volta avviata la reazione!) la combinazione con l'ossigeno si autosostiene.

Nella tavola periodica degli elementi, al quarto gruppo e appena sotto il carbonio si trova il silicio; non dovrebbe questo avere caratteristiche simili al capogruppo carbonio, secondo la nota ricorrenza delle proprietà degli elementi per gruppi?
Se ciò fosse vero, sostituendo il silicio al carbonio nell'omologo del metano (cioè il silano SiH4), si dovrebbe intuitivamente ottenere un composto dalle caratteristiche vagamente simili al metano... andiamo a verificare se è vero!
(Secondo questo semplicistico ragionamento, sostituendo il silicio al carbonio dovremmo perfino trovare una ipotetica "biologia del silicio" con tutte le immaginabili implicazioni che ciò comporterebbe... ma le energie di legame e altro trasformano questa suggestiva ipotesi in fantascienza...).

Lo scopo di questo esperimento era la curiosità di osservare proprio la differenza tra la realtà e quanto sopra supposto secondo un ragionamento puramente intuitivo, verificando invece piacevolmente l'estrema reattività dei silani.
La preparazione sperimentale del SiH4 prevede la reazione tra un acido forte ed il siliciuro di magnesio Mg2Si, che abbiamo  preparato la volta scorsa per questo scopo specifico.

Il siliciuro di magnesio reagisce con gli acidi (in questo caso acido cloridrico) secondo la reazione:

Mg2Si + 4 HCl --> 2 MgCl2 + SiH4

e si viene a formare silano SiH4 - Il silano purissimo è abbastanza stabile, ma nel caso in esame, dove l'ambiente è contaminato da un po' di tutto, si formano anche tracce degli omologhi superiori (Si2H6, Si3H8), tutte sostanze estremamente piroforiche, che si infiammano istantaneamente all'aria con violenza esplosiva ed infiammano a sua volta il silano prevalente.
In questa esperienza la generazione di silani è in quantità assolutamente trascurabile, ma è più sufficiente a farsi vedere e sentire!

-In un becker porre qualche ml di HCl al 20% e aggiungere cautamente una punta di spatola del nostro Mg2Si: la reazione precedente si risolve in piccoli lampi sulla superficie dell'acido, accompagnati dal caratteristico crepitio secco delle minuscole microesplosioni di ogni bollicina di silano generato. L'esperienza è molto carina e fa rendere conto della reattività di questi composti rispetto all'inerzia degli alcani, come mi ero proposto di verificare.
Carbonio e silicio non sono proprio intercambiabili! Anche se permangono come ovvio alcune analogie dovute alla somiglianza nella struttura elettronica.

Purtroppo ho perso il video della reazione del siliciuro di magnesio con HCl, che rendeva bene l'idea di come si comporta il gas silano appena viene in contatto l'aria: un sostenuto crepitio di micro-scoppietti che dimostrano l'instabilità di questi composti.

 
 
 

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