Creato da paoloalbert il 20/12/2009

CHIMICA sperimentale

Esperienze in home-lab: considerazioni di chimica sperimentale e altro

 

Messaggi di Agosto 2013

Il vecchio Lesa torna a girare

Post n°244 pubblicato il 28 Agosto 2013 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

C'era una volta... in Italia una buonissima azienda.
Anzi, ce n'erano un'infinità di buonissime aziende, di quelle che oggi non sopravviverebbero alla  globalizzazioe (e soprattutto alla demenziale burocrazia italiana) nemmeno un minuto: si produceva perfino elettronica di consumo (!) destinata alle famiglie.
Una di queste aziende fu la Lavorazioni Elettromeccaniche Società Anonima, universalmente conosciuta (da chi ha qualche anno in più...) come LESA, "quella dei giradischi".
Effettivamente la Lesa produsse per il mercato nostro ed estero centinaia di migliaia di giradischi, milioni di potenziometri (il dispositivo che collegato alla manopola esterna permette di variare il volume di ascolto) e altrettanti oggetti elettromeccanici.
Anche questa prestigiosa azienda (come la Geloso, la Ducati e tante altre) finì ingloriosamente la sua vita, iniziata nel 1929, nei primi anni '70 ed il materiale residuo fu disperso.

Il sottoscritto si accaparrò in quegli anni un esemplare di quel materiale dismesso, ad un prezzo irrisorio.
Si trattava di un bel piatto giradischi con cambiadischi automatico, di quelli che una volta assemblati con il relativo amplificatore avevano un prezzo di mercato non certo alla portata di un giovane e squattrinato studentello qual'ero.
Costruii attorno al piatto una cassettina di legno per sostenerlo e lo dotai di un amplificatore, naturalmente "a transistor".
Le valvole soccombevano già da una decina di anni sotto la spinta dei fratellini tripedi, e sarebbe stato in quel periodo assurdo ricorrervi; ricordo anzi che feci il preamplificatore usando addirittura un circuito integrato avveniristico, il CA3052 (oggi "obsolete product"...).

Il giradischi è rimasto poi abbandonato e dimenticato sotto due dita di polvere fino a qualche giorno fa, quando mi è venuto lo sfizio di farlo tornare a nuova vita.
Dopo una pesante (molto pesante!) seduta di pulizia, occorreva dotarlo di un adeguato amplificatore, naturalmente consono all'apparecchio e quindi a valvole; anche perchè del circuito col 3052 non ne rimane traccia da decenni... sarà stato riciclato chissà quante volte.
Per l'occasione ho voluto riprodurre uno schema classico da fonovaligia, come quelli Lesa e analoghi degli anni '60, senza nessunissimo fronzolo HiFi moderno, in modo da avere il suono assolutamente simile a quello originario.

 

Lesa 2

 

Lo schema è semplicissimo e la parte attiva prevede solo due valvole: una 6AT6 triodo preamplificatore e una 6AQ5 tetrodo finale; per l'alimentazione ho aggiunto una 6X4 raddrizzatrice, non volendo ricorrere ai comodi diodi al silicio, che non sarebbero d'epoca.
Ero incerto se usare un raddrizzatore al selenio degli anni '60 (B250-C100), ma poi avendo spazio ho optato per la terza valvola, che fa un bel vedere col suo filamentino luminoso.
Il tutto è stato assemblato su un telaietto di alluminio di recupero ed inserito nel box di un vecchissimo altoparlante Hammarlund, questo molto più datato del girdischi stesso.

 

Lesa 1

 

Nelle due immagini il giradischi ed il box amplificato, ancora sul tavolo "operatorio".

Come suona il buon vecchio Lesa?
Come suonavano i vecchi giradischi, nè più, nè meno.
Niente connettori dorati (sigh!), niente cavi degli altoparlanti grossi un dito, niente circuiti ultralineari... no, niente di tutto questo.
Un buon vecchio vinile e si sente come una volta.

 
 
 

Galeotto fu il cioccolatino... parte seconda

Post n°243 pubblicato il 18 Agosto 2013 da paoloalbert

Dal risonatore al magnetron: il passo non è breve ma fattibile... vediamo come.

Ritorniamo alla fig.1 e supponiamo che gli otto risonatori (i fori assimilabili a piccoli circuiti L-C) siano stati eccitati in un qualche modo, creando sulle espansioni polari delle cavità le polarità segnate in figura; nell’istante successivo tutte le espansioni avranno cambiato segno e tale inversione di polarità si ripeterà con la frequenza di risonanza delle cavità stesse (per es. 2 miliardi e mezzo di volte al secondo in un magnetron da cucina).

 

Magnetron 1
Figura 1

 

Se non esistesse un adeguato rifornimento di elettroni sulle espansioni negative le oscillazioni ben presto cesserebbero, ma c'è il catodo che li emette in continuazione... e poi qui viene il bello: come è possibile che gli elettroni (negativi) generati dal filamento vadano a cadere sulle espansioni negative (mentre in teoria dovrebbero esserne respinti), alimentando così le oscillazioni?
Il trucco sta tutto qui, e tanto di cappello a chi l’ha inventato!.

Per fare in modo che gli elettroni vadano a cadere sulle espansioni negative è stato introdotto un forte campo magnetico (da cui il nome MAGNETRON) diretto nella direzione assiale al catodo.
Per effetto di tale campo magnetico, l’elettrone uscito dal catodo e fortemente accelerato dalla espansione positiva dell’anodo che gli è di fronte, viene bruscamente deviato ed assume una traiettoria curva complessa (quei ricciolini in figura), finendo per cadere, se tutto è stato ben dimensionato, dove non avrebbe mai voluto andare, cioè sulla espansione negativa adiacente.
Per ottenere che le traiettorie degli elettroni finiscano realmente sulle espansioni negative è necessario che la frequenza di emissione, le dimensioni interne del tubo, le tensioni degli elettrodi, l’intensità del campo magnetico, e tutti gli altri elementi siano armonicamente calcolati e realizzati.

Una spira immersa in una delle cavità e opportunamente portata fuori, estrae da questo strano “diodo” la potenza a radio frequenza generata, che può essere anche estremamente elevata (anche migliaia di KW per un funzionamento impulsivo come quello dei radar), limitata solo dalla capacità dell’insieme di dissipare il calore prodotto.

Il principio di funzionamento di cui sopra è descritto in forma semplificata, figurata, grezza fin che si vuole, ma è quello che ho cercato di rendere decentemente comprensibile (spero!) riguardo un argomento di non certo facile approccio.

In un forno a microonde per cucina è possibile trovare conferma dell’estrema semplicità della parte generatrice di radiofrequenza: in pratica la parte attiva è il solo magnetron, uno strano marchingegno metallico a lamelle dalla cui "bocca" esce un fiotto di microonde.
Tutto il resto è costituito da circuiti accessori di alimentazione, di temporizzazione per la cottura, di raffreddamento e di sicurezza. L’alimentazione avviene tramite un grosso trasformatore a doppio secondario, uno a bassa tensione e alta corrente per il filamento ed uno a circa 1600 volt per l’anodo.
Nell'immagine seguente si vede come è fatto realmente il misterioso cuore che pulsa nei nostri forni MW.

 

Magnetron 3

 

Il magnetron da cucina consiste quindi in pratica in un blocchetto di rame nel quale sono ricavate un numero pari di piccole cavità ed in un cilindretto ceramico per l’uscita degli elettrodi del filamento e dell’”antenna”; assialmente alle cavità vi sono due grossi anelli in ferrite magnetica, simili a quelli degli altoparlanti, ed il tutto è circondato da un insieme di lamelle in funzione di dissipatore di calore.
La costruzione è decisamente di tipo “consumer”, quindi economica e “leggera”, ben distante dalla raffinata e ben più costosa esecuzione di analoghi magnetron per impieghi militari o industriali, ma evidentemente ciò non inficia il buono ed affidabile funzionamento di questi dispositivi in tutte le nostre cucine.

La frequenza di emissione per i magnetron destinati alla cottura dei cibi è fissata a 2450 MHz, nella banda dei 12 cm; mezza lunghezza d’onda (6 cm) è infatti proprio quella giusta per attraversare e riscaldare con il massimo profitto una patata, un bell’arrostino alle erbette o una tazza di latte.

Una curiosità per finire: perchè non è possibile mettere nel microonde quei piatti ornati col filetto d'oro, quelli che si usavano una volta? (o in genere oggetti metallici) Perchè quella sottilissima strisciolina metallica incorporata nella ceramica costituirebbe una spira chiusa, un vero cortocircuito per la radiofrequenza, ed assorbirebbe gran parte delle potenza emessa dal magnetron riscaldandosi fino a fondere. Vi sarebbe un coreografico scintillio, ma il decoro del piatto della nonna sarebbe rovinato irreparabilmente...
Peggior disastro succederebbe inserendo un CD, secondo uno di quei classici modelli di esperimenti che si trovano su YouTube...

 

 
 
 

Galeotto fu il cioccolatino... parte prima

Post n°242 pubblicato il 13 Agosto 2013 da paoloalbert
Foto di paoloalbert

In un giorno del 1945, l’ingegnere statunitense Percy Spencer ripose in tasca un cioccolatino offertogli da un suo assistente, ripromettendosi di mangiarlo più tardi.
Di lì a poco, mentre conduceva delle ricerche con un magnetron (ved. avanti), Spencer si accorse che il cioccolatino dimenticato in tasca si era fuso; l’arguto ricercatore avanzò allora l’ipotesi che le microonde emesse dal dispositivo generassero delle vibrazioni molecolari nei corpi, trasformandosi in calore.
Ne ebbe la conferma quando dei semi di mais posizionati per prova vicino alla guida d’onda del magnetron cominciarono a scoppiettare, trasformandosi in pop-corn...

Spencer intuì immediatamente due ottime cose: la prima di aver trovato un sistema rivoluzionario per cuocere i cibi e la seconda il conseguente business che ne sarebbe seguito; infatti, dopo i necessari perfezionamenti, il primo forno a microonde di dimensioni accettabili fu prodotto dalla Raytheon alla fine degli anni ‘40, il quale, dopo essere stato immesso sul mercato ...fece la gioia delle massaie e la fortuna di Percy!

Cosa si nasconde dentro un normale forno a microonde per cuocere i cibi?
Si nasconde una strana valvola: IL MAGNETRON

Il magnetron a cavità, sviluppato in Inghilterra nei primi anni ‘40 per motivi bellici, fu per un certo periodo uno dei segreti militari più gelosamente custoditi ed influenzò fortemente l’andamento della seconda guerra mondiale; esso aumentò in maniera decisiva le potenzialità di quel rivoluzionario dispositivo che fu (ed è) il radar.
Il magnetron è fondamentalmente un diodo, costituito quindi solo da due elementi: un anodo e un catodo.
L’anodo è formato da un certo numero di cavità ricavate in un unico blocchetto di rame, ognuna delle quali presenta verso il centro un’apertura (figura 1, il dettaglio non è dei migliori...); il catodo si trova sull'asse di simmetria delle cavità ed è in pratica un grosso filamento di tungsteno che emette elettroni per riscaldamento, come avveniva nelle valvole delle vecchie radio della nostra infanzia.
Concettualmente, l’anodo è connesso ad un potenziale positivo ed il catodo è a potenziale zero (in pratica, per motivi realizzativi, l’anodo è a massa ed il catodo ad un forte potenziale negativo, ma il principio rimane identico).

 

Magnetron 1

                                           Figura 1

Le evoluzioni di un circuito oscillante

Per cercare di capire il funzionamento del magnetron è prima indispensabile rispolverare il concetto di risonatore, sia pure in maniera semplificata.
Supponiamo di avere un classico circuito elettrico oscillante L-C, formato da una bobina (L) e un condensatore (C) (fig.2).

 

Magnetron 2

                               Figure 2 - 3 - 4


Ora, con uno sforzo di immaginazione (e tenendo presente che le lunghezze d’onda in gioco sono molto piccole, dell'ordine dei centimetri o meno), supponiamo che le armature del condensatore si siano allontanate fino a formare pareti A e B della fig.3 e che le spire della bobina si siano distese fino a trasformarsi nelle pareti B e C.

Ammettiamo ora di caricare in un certo modo la parete A con un gran numero di elettroni (fig.4); questi tenderanno per repulsione a raggiungere la parete opposta B, e scorrendo lungo le pareti C e D creeranno un campo magnetico che funzionerà da volano e che provocherà il prolungarsi della scarica; infatti gli elettroni (ora in troppi sulla parete B) cercheranno di riportarsi in senso opposto nella posizione di partenza, e così via.
Alla prima scarica ne seguirà quindi un’altra in senso inverso, e le cose andrebbero avanti così all’infinito se le perdite nel materiale fossero nulle.

Col ragionamento di cui sopra, il circuito oscillante si è trasformato in una specie di cassa armonica, che è la più vera ed intuitiva espressione di un risonatore.
Come la frequenza di risonanza di un circuito L-C dipende dal numero delle spire della bobina e dalla capacità del condensatore, così la frequenza in un risonatore dipenderà dalle sue dimensioni fisiche.
Esattamente come la canna di un organo: canna grossa --> frequenze basse, canna piccola --> frequenze acute.

Dal risonatore al magnetron: il passo non è breve ma fattibile!

E' quello che vedremo la prossima volta.

 
 
 

Il reattivo di Marme e la tosse

Post n°241 pubblicato il 05 Agosto 2013 da paoloalbert

Nell'intervallo appena concluso avevo indirettamente accennato a qualche alcaloide guardando una delle loro piante generatrici, dal momento che l'origine di elezione di queste numerosissime e attive sostanze è il regno vegetale.

Qualche tempo fa, in occasione del mio lavoro con gli oleandri per il post n.124, avevo provato un paio di vecchi reattivi "storici" per gli alcaloidi, il reattivo di Marne e quello di Kedde.
Ho voluto dare ancora una volta un attimo di protagonismo al primo mettendolo alla prova con un'altra importante sostanza... ma ci vuole la seguente piccola premessa.

Quest'inverno, durante i famigerati "otto mesi" di pioggia, ho avuto per un po' di giorni una tosse tremenda, di quelle che ti fanno alzare di notte sparando cannonate da togliere il respiro.
Alla fine mi sono deciso (e la prossima volta lo farò molto prima!) a prendere qualche goccia di quel miracoloso farmaco che è la Paracodina, naturalmente da procurarsi con ricetta medica dato che il principio attivo è un oppiaceo.
In ogni caso, dopo un paio di somministrazioni assolutamente prive di alcun effetto indesiderato, ho detto come previsto addio alla tosse; addio alla tosse ma non alla preziosa bottiglietta, riproponendomi a tempo debito di saggiarne il contenuto secondo Marne.
Cosa che, concludendo la premessa, faccio ora.
Questo farmaco antitussivo ha come principio attivo la diidrocodeina:

 

Diidrocodeina


Ho preparato per l'occasione qualche ml di reattivo di Marne, che mi piace chiamare "iodocadmiato di potassio" per analogia col mercurio; nel post prima citato c'è la composizione esatta, che qui riassumo dicendo che si tratta di una soluzione di ioduro di cadmio CdI2 (faticosamente preparato!) in una sol. concentrata di ioduro di potassio.

La provetta a sinistra nella foto contiene circa 2 mg di diidrocodeina (6 gocce di Paracodina), e nell'altra foto il risultato dopo l'aggiunta del reattivo.


Marme 1  Marme 2

 

 

 

 

 

 

Ho esagerato con la concentrazione per rendere ben visibile la reazione di precipitazione, che origina infatti un consistente precipitato bianco; a diluizioni maggiori ovviamente l'effetto è meno evidente anche se la sensibilità rimane comunque abbastanza elevata.

Quando i frutti della Metel saranno maturi e si presteranno a qualche esperimento, proverò questi vecchi reattivi su quella pianta: vedremo in seguito i risultati.

Per ora continuiamo a goderci questa meravigliosa (e stavolta cambio l'aggettivo!) caldissima estate.

 
 
 

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