Il fanciullo pigramente sbadiglia, Mentre la luce del sole al tramonto Delinea una sinopia vermiglia Sugli edifici d'Eraclea nel Ponto. Un raggio sfiora i boccoli biondi, Sfuma il capo bello, senza confronto. Zeusi, ammirando gli occhi profondi, Dà l'ultimo tocco al piccolo quadro: Ai chicchi dell'uva, lisci e tondi, Alle rosee gote del viso leggiadro. Lumeggia il profilo che si stagli, Quale gemma radiosa, sul fondo adro. Ora l'Arte è vita, senza travagli, Immota, fuori del tempo, come un dio… Scivolano ombre fra tremuli barbagli; Il silenzio s'anima d'uno sgocciolio. L'artista, poggiato il pennello sul banco, È immerso in un trasognato oblio. Egli socchiude le palpebre, stanco, E vede effigi più vere del vero: Penelope avvolta nel peplo bianco, La Famiglia dei Centauri…Mistero L'Arte, velo dell'altro enigma, la Vita, Ombra fallace d'un lume sincero, Che rischiara appena la notte infinita. * * * L'aurora tinge di rosa le perle Della rugiada; il vento, tra le fronde Dei pini, sussurra alle averle. I raggi dorati guizzano sulle onde, Trafiggono le diafane nubi. Poi, quando il giorno si diffonde E orla le chiome dei carrubi, Svolano i passeri e i pettirossi. Teme il bifolco solerte, che rubino Le sementi, che becchino i rossi Frutti dell'albatro. Ma quelli, a frotte, Sciamano lontano, oltre i bossi Odorosi, ove il cielo li inghiotte. E intrecciano ghirlande di voli, Quali costellazioni nella notte. Si posano sui rami dei prugnoli, Ormai ebbri d'azzurro e di luce, Spiccando le bacche dai piccioli. D'un tratto un aureo brillio traluce Da dietro un drappo: un pennuto, Saltellando guardingo, s'introduce Nello studio di Zeusi. Con arguto Cinguettio, raduna tutti gli altri, Poiché, tra pampini gialli, ha veduto Un grappolo porpora. Gli scaltri * * * Compagni s'accostano al racemo, Che pizzicano audaci e furtivi. Ma invano: artificio supremo. Non sono veri quei colori vivi; Gli acini sono forme dipinte; Gli occhi del fanciullo giulivi Non guardano, non vedono. Finte Le cose si mostrano nell'aria di vetro O vaniscono tra labili tinte. È l'Arte, immobile mondo, tetro; È la Vita, lo sconfinato nulla, Parvenza fugace col vuoto dietro, Destino di morte sin dalla culla, Visione di sogni senza contorni, Il miraggio d'una gioia fanciulla. È vita l'uguale giro dei giorni? Perché, Zeusi, dipingi uomini e dei? Perché l'arido vero ancora adorni, Se tutte le immagini che crei Sono inganni d'un inganno più grande? Anche tu, immortale, già più non sei! La tenebra, a poco a poco, s'espande. Tace il boschetto di lauri; la luna Silente sorge sulle eteree lande. Si chiudono le corolle, una ad una. Nota: Si racconta che poi anche Zeusi dipinse un fanciullo che portava l'uva sulla quale, al solito, volarono gli uccelli. ( Pl. N. H. XXXV, 6). Da questa notizia di Plinio il Vecchio ho tratto spunto per il poemetto.
Zeusi
Il fanciullo pigramente sbadiglia, Mentre la luce del sole al tramonto Delinea una sinopia vermiglia Sugli edifici d'Eraclea nel Ponto. Un raggio sfiora i boccoli biondi, Sfuma il capo bello, senza confronto. Zeusi, ammirando gli occhi profondi, Dà l'ultimo tocco al piccolo quadro: Ai chicchi dell'uva, lisci e tondi, Alle rosee gote del viso leggiadro. Lumeggia il profilo che si stagli, Quale gemma radiosa, sul fondo adro. Ora l'Arte è vita, senza travagli, Immota, fuori del tempo, come un dio… Scivolano ombre fra tremuli barbagli; Il silenzio s'anima d'uno sgocciolio. L'artista, poggiato il pennello sul banco, È immerso in un trasognato oblio. Egli socchiude le palpebre, stanco, E vede effigi più vere del vero: Penelope avvolta nel peplo bianco, La Famiglia dei Centauri…Mistero L'Arte, velo dell'altro enigma, la Vita, Ombra fallace d'un lume sincero, Che rischiara appena la notte infinita. * * * L'aurora tinge di rosa le perle Della rugiada; il vento, tra le fronde Dei pini, sussurra alle averle. I raggi dorati guizzano sulle onde, Trafiggono le diafane nubi. Poi, quando il giorno si diffonde E orla le chiome dei carrubi, Svolano i passeri e i pettirossi. Teme il bifolco solerte, che rubino Le sementi, che becchino i rossi Frutti dell'albatro. Ma quelli, a frotte, Sciamano lontano, oltre i bossi Odorosi, ove il cielo li inghiotte. E intrecciano ghirlande di voli, Quali costellazioni nella notte. Si posano sui rami dei prugnoli, Ormai ebbri d'azzurro e di luce, Spiccando le bacche dai piccioli. D'un tratto un aureo brillio traluce Da dietro un drappo: un pennuto, Saltellando guardingo, s'introduce Nello studio di Zeusi. Con arguto Cinguettio, raduna tutti gli altri, Poiché, tra pampini gialli, ha veduto Un grappolo porpora. Gli scaltri * * * Compagni s'accostano al racemo, Che pizzicano audaci e furtivi. Ma invano: artificio supremo. Non sono veri quei colori vivi; Gli acini sono forme dipinte; Gli occhi del fanciullo giulivi Non guardano, non vedono. Finte Le cose si mostrano nell'aria di vetro O vaniscono tra labili tinte. È l'Arte, immobile mondo, tetro; È la Vita, lo sconfinato nulla, Parvenza fugace col vuoto dietro, Destino di morte sin dalla culla, Visione di sogni senza contorni, Il miraggio d'una gioia fanciulla. È vita l'uguale giro dei giorni? Perché, Zeusi, dipingi uomini e dei? Perché l'arido vero ancora adorni, Se tutte le immagini che crei Sono inganni d'un inganno più grande? Anche tu, immortale, già più non sei! La tenebra, a poco a poco, s'espande. Tace il boschetto di lauri; la luna Silente sorge sulle eteree lande. Si chiudono le corolle, una ad una. Nota: Si racconta che poi anche Zeusi dipinse un fanciullo che portava l'uva sulla quale, al solito, volarono gli uccelli. ( Pl. N. H. XXXV, 6). Da questa notizia di Plinio il Vecchio ho tratto spunto per il poemetto.