Creato da poeta_magico il 18/12/2007
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Un gòzzal d'aqua
Tótt' al vólti che da la Pènna
a vagh a Santarcànzal sla curira,
éulta Petraghéuda u i è una staziòun
abandunèda da zinquènt'an
senza piò al rudài davènti
indò ch'e' pasèva e' treno a scartamént ridótt
ch'l'avnéva sò da Rémin sla pózza de pèss
e pu e' turnèva sl'udòur dla móffa di furmai.
Ènca e' mi ba l'andéva sò e zò par la muntagna
próima se caval e dop s'un camiòun
ch'e' saltèva lòngh a la strèda pina ad béusi;
però s'e' féva la naiva e' muntèva se trenóin
e da chèsa nòsta Friz u i curéva incòuntra.
Mo piò di tótt da la curira a guèrd e' gabinòt
dri la staziòun cuért da una vóida americhèna
indò che i viazadéur i s ferméva a fè un gòzzal d'aqua.
I racòunta che un dopmezdè l'è smòunt un òm
nir comè e' carbòun e l'à dmand me chepstaziòun
un sgònd ad témp ch'l'eva bsògn da fè qualcósa alà
[dróinta.
Dop u s'è savéu ch'l'era e' poeta Pound
ch'l'era stè a Santa Maria d'Antóigh
una matóina intira tla cisa a guardè
la stètua ad Luca da la Robbia, da par léu.
Un goccio d'acqua
Tutte le volte che da Pennabilli
vado a Santarcangelo in corriera,
dopo Pietracuta c'è una stazione
abbandonata da cinquant'anni
senza più le rotaie davanti
dove passava il treno a scartamento ridotto
che veniva su da Rimini con il puzzo del pesce
e poi tornava con l'odore della muffa dei formaggi.
Anche mio padre andava su e giù per la montagna
prima col cavallo e dopo col camion
che saltava lungo la strada piena di buche;
però se nevicava allora prendeva il trenino
e da casa nostra Friz gli correva incontro.
Ma piu di tutto dalla corriera guardavo il gabinotto
vicino alla stazione coperto da una vite americana
dove i viaggiatori si fermavano a fare un goccio d'acqua.
Raccontano che un pomeriggio è sceso un uomo
nero come carbone e ha domandato al capostazione
un secondo di tempo che aveva bisogno di far qualcosa là
[dentro.
Poi si è saputo che era il poeta Pound
che era stato a Santa Maria d'Antico
una mattina intera nella chiesa a guardare
la statua di Luca della Robbia, da solo.
L'èlbar d'aqua
S'e' va un'instèda chèlda
ch'la póiga al fòi a testa d'inzò,
e' Marèccia l'è un èlbar d'aqua
si rèm ch'i sguélla tra la sasèra.
U n'éva tórt e' poeta se da d'in èlt
u i pareva che dróinta la vala
u i fóss agli òsi biènchi d'animèli mórt.
L'albero dell'acqua
Se va un'estate calda
che piega le foglie a testa in giù,
il Marecchia è un albero d'acqua
coi rami che scivolano tra la sassaia.
Non aveva torto il poeta
se gli pareva che dentro la valle
ci fossero gli ossi bianchi d'animali morti.
Pagine tratte da: Tonino Guerra, L'albero dell'acqua, Libri Scheiwiller, Milano, 1992
Un po di ottimismo!!
. Prima racconta qualche brano di storia della sua vita, il campo di concentramento, l’intervento al cervello, poi spiega sempre che “è sempre meglio portarsi con sé delle speranze, che è il caso di pensare positivamente, che senza ottimismo il mondo si fermerebbe”. E’ più che convinto di ciò che afferma perché lo ha sperimentato, soprattutto nei frangenti più bui della sua esistenza. “Tutti sperano che domani vada meglio, che i figli non si ammalino, che le guerre finiscano. Queste sono le radici dell’ottimismo e quindi devi tenerlo con te, per scaramanzia”.
Tratto da "Tonino Guerra - Il sorriso della terra"
di Rita Giannini
Ed. Veronelli, 2006
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Per favore, non recuperate le lettere smarrite.
Lasciate la busta accanto al tronco dell’albero,
sotto un’anonima pietra, o a rotolare nei giardini.
Ci sono lettere che si scrivono perché non arrivino,
perché dall’altro lato della voce diffidino di tutto,
perché esista una seconda lettera, esplicita e inutile.
Ciò accade con l’assenso di tutti,
con soprassalti premeditati e complicità.
Sono mesi, anni, di matematica innocenza.
In quelle lettere si confessava tutto,
si annunciavano pericoli che poi la pioggia ha ammorbidito;
in quelle lettere c’erano poscritti che premonivano
sul fatto che sarebbero andate smarrite.
La loro vera destinazione era il silenzio,
le erbacce al bordo dei letti,
le ragnatele sui davanzali,
le nuvole sul volto.
Definitivamente,
dall’altro lato della voce non l’aspettavano.
Lasciatela accanto all’albero,
sotto un’anonima pietra,
a rotolare nella memoria del felice mittente.
(traduzione dallo spagnolo di Danilo Manera – da L’isola che canta giovani poeti cubani – Feltrinelli, 1998)
Avrei voglia di partire di andare a Cuba o in Messico a sentire un po di calore di gioia di musica mangiare pesce. Oppure in Messico mangiare cacao vedere una grande cultura.....Mi consolo con questa poesia
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Donna completa, mela carnale, luna calda,
denso aroma d'alghe, fango e luce pestati,
quale oscura chiarità s'apre tra le tue colonne?
Quale antica notte tocca l'uomo con i suoi sensi?
Ahi, amare è un viaggio con acqua e con stelle,
con aria soffocata e brusche tempeste di farina:
amare è un combattimento di lampi
e due corpi da un solo miele sconfitti.
Bacio a bacio percorro il tuo piccolo infinito,
i tuoi margini, i tuoi fiumi, i tuoi villaggi minuscoli,
e il fuoco genitale trasformato in delizia
corre per i sottili cammini del sangue
fino a precipitarsi come un garofano notturno,
fino a essere e non essere che un lampo nell'ombra.
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Ape bianca, ebbra di miele, ronzi nella mia anima
e ti torci in lente spirali di fumo.
Sono il disperato, la parola senza eco,
quello che ha perso tutto, quello che tutto aveva.
Mio ultimo ormeggio, in te cigola la mia ultima ansia.
Nella mia terra deserta sei l'ultima rosa.
Ah silenziosa!
Chiudi i tuoi occhi profondi. Lì aleggia la notte.
Ah denuda il tuo corpo di statua timorosa.
Hai occhi profondi dove batte le ali la notte.
Fresche braccia di fiore e grembo di rosa.
I tuoi seni sembrano conchiglie bianche.
Si è addormentata sul tuo ventre una farfalla d'ombra.
Ah silenziosa!
Ecco qui la solitudine del luogo ove non sei.
Piove. Il vento del mare caccia gabbiani erranti.
L'acqua cammina scalza per le strade bagnate.
Da quell'albero si lamentano, come malati, le foglie.
Ape bianca, assente, ancora ronzi nella mia anima.
Rivivi nel tempo,snella e silenziosa.
Ah silenziosa!
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Corpo di donna, bianche colline, cosce bianche,
tu rassomigli al mondo nel tuo atteggiamento d'abbandono.
Il mio corpo di contadino selvaggio ti scava
e fa saltare il figlio dal fondo della terra.
Sono stato solo come una galleria. Da me fuggivano gli uccelli
e in me la notte entrava con la sua invasione possente.
Per sopravvivermi ti ho forgiata come un'arma,
come una freccia al mio arco, come una pietra nella mia fionda.
Ma cade l'ora della vendetta, e ti amo.
Corpo di pelle, di muschio, di latte avido e fermo.
Ah le coppe del petto! Ah gli occhi dell'assenza!
Ah la rosa del pube! Ah la tua voce lenta e triste!
Corpo di donna mia, persisterò nella tua grazia.
La mia sete, la mia ansia senza limite, la mia strada indecisa!
Oscuri fiumi dove la sete eterna continua,
e la fatica continua, e il dolore infinito..
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Inviato da: foscarina_0
il 16/09/2008 alle 10:51
Inviato da: poeta_magico
il 17/07/2008 alle 09:08
Inviato da: sonnygirl76
il 16/07/2008 alle 09:37
Inviato da: Ladybaby23
il 10/07/2008 alle 11:17
Inviato da: sonnygirl76
il 25/06/2008 alle 20:49