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IL RATTO DI GANIMEDE 2


La lettura Michelangiolesca del mito di Ganimede deve molto alla pubblicazione degli Emblemata di Andrea Alciati che vede nella figura del mito di Ganimede il simbolismo del movimento neoplatonico come immagine del "desiderio verso Iddio". "L'anima è portata a Dio dalle ali e dalla moltitudine delle piume e dello spirito aereo", scrive San Bonaventura: il tema del volo, nel suo duplice movimento ascendente (ascensione di Cristo, rapimento in cielo, volo celeste) e discendente (aquila di Zeus, colomba dello Spirito Santo, angelo dell'Annunciazione, freccia di Eros) esprime la ricerca e la possibilità di un contatto tra Dio e l'uomo. Non deve dunque stupire, nè apparire blasfemo, il paragone medioevale tra Ganimede e San Giovanni Evangelista, anch'egli visitato dall'aquila celeste, simbolo di ispirazione e paternità divina. Nelle trascrizioni del Vangelo di San Giovanni,
l'immagine dell'aquila appare spesso nel monogramma iniziale del primo capitolo o anche come fregio conclusivo del capitolo finale. In un manoscritto religioso del XII secolo, San Giovanni è raffigurato accanto a Dio assiso in trono: i piedi dell'apostolo sono staccati da terra ed egli appare come sospeso in volo. Sopra le due figure si legge il motto More volantis aquilae (Come un'aquila che vola) e l'aquila, simbolo dell'Evangelista, è disegnata in cima alla pagina. Nell'Ovide moralisè, un trattato del XIV secolo che esercitò una notevole influenza fino al Rinascimento e che fu poi bandito dal Concilio di Trento, Ganimede viene interpretato come prefigurazione dell'Evangelista, dove l'aquila (termine che si faceva derivare da acumen) rappresenta il Cristo ovvero la sublime Chiarezza che aveva consentito a Giovanni di rivelare i segreti del Cielo. Alla luce del neoplatonismo gli umanisti scoprono nelle antiche favole non solo delle idee morali, ma gli insegnamenti stessi della fede cristiana. L'interpretazione allegorica consente di distillare dagli antichi miti un'alta e arcana sapienza: "essa rivela la connaturata affinità di questa sapienza profana con quella della Sacra Scrittura (...). Fauno è la lussuria, Tantalo l'avidità, Bellerofonte l'intelligenza e il coraggio trionfanti sulle trame nascoste, Ganimede l'anima pura che trova in Dio la fonte del suo gaudio" (Seznec, 1972, p. 129). Così l'Umanesimo non si faceva scrupolo nel citare i versi evangelici Sinite parvuli ad me veniant e Nisi efficiamur sicut parvuli... in relazione all'amore di Giove per il bel fanciullo. L'Immagine mitologica di una coppia omosessuale (Puer-Senex, o Figlio-Padre) accompagnata da un uccello, torna dunque come Santa Trinità, dove l'aquila pagana del mito di Ganimede diventa la colomba cristiana dello Spirito Santo. Il tema cristiano della Trinità ha infatti radici pagane, che Finicio, Pico della Mirandola e altri umanisti credono di ritrovare in Orfeo, Platone e Zoroastro (Wind, 1980, p. 297; Jung, 1942-48, pp. 115-194). In un'incisione cinquecentesca, opera dell'umanista tedesco Conrad Celter, le tradizionali figure pagane: Dio Padre diventa Giove, Cristo è Apollo e al posto della colomba dello Spirito Santo appare la figura alata di Pegaso, i cui zoccoli fanno scaturire la fonte di Elicona, lo spirito che galleggia sulle acque. Un'immagine di San Giovanni delicatamente infantile e un particolare legame di tenerezza tra Cristo e il suo apostolo, sono testimoniati da una serie di sculture lignee del XII secolo. Nel Vangelo Giovanni (13,23; 19,26; 21,7; 20,2) parla di sè come del discepolo "amato" (on egapa, vulg. quem amabat) e "prediletto" (on efilei, vulg. quem diligbat) da Cristo.
Il legame d'amore tra Gesù e Giovanni è descritto con parole romantiche dall'abate cistercense Aelredo di Rievaulx, il consigliere di Enrico II d'Inghilterra, che identifica nell'amicizia cristiana il più alto valore della vita monastica e indica il rapporto tra Gesù e Giovanni come esempio del perfetto amore:Possiamo gioire nel presente con quelli che amiamo non semplicemente con le nostre menti, ma con i cuori; perchè alcuni sono uniti a  noi più intimamente e appassionatamente di altri nel vincolo amoroso dell'amicizia spirituale. E per timore che questo tipo di amore sacro sembrasse improprio a qualcuno, Gesù stesso, in tutto come noi (...) lo trasfigurò attraverso la manifestazione del suo proprio amore: perchè egli permise a uno, non a tutti, di appoggiarsi sul suo petto come segno speciale di amore, così che la testa vergine fosse sostenuta sui fiori del petto vergine, e più erano intimi, più copiosamente i segreti fragranti del matrimonio celeste distribuivano il dolce profumo del crisma spirituale al loro vergine amore. Anche se tutti i discepoli erano benedetti dalla dolcezza del grandissimo amore del santissimo maestro, non di meno egli concesse come privilegio a uno solo questo simbolo di un amore più intimo, per cui poteva chiamarsi il discepolo che Gesù amava.Nel clima "gay" della Firenze medicea, l'ambiguo gioco di sovrapporre Giovanni e Ganimede doveva essere piuttosto noto. Ricordando il carattere burlesco delle lettere di Sebastiano al suo "compare" Michelangelo, è possibile ravvisare alcuni riferimenti per suggerirgli di usare la figura di Ganimede come prototipo di San Giovanni nella Cappella Medicea. Raccomandando di camuffare almeno un pò il soggetto originale di quel dipinto, cioè Tommaso Cavalieri, ragazzo amato dal Buonarroti, modello per il Ganimede ritratto dal maestro e ben noto a Sebastiano del Piombo che anzi fece da intermediario tra i due (Saslow, 1986, p. 216). E' difficile pensare a un artista italiano del Cinquecento trascurando l'influenza esercitata dalle dottrine neoplatoniche. Michelangelo Buonarroti fu infatti davvero neoplatonico, per come amò Tommaso Cavalieri. Nel volo dell'aquila si intrecciano motivi mitici e simbolici che spiegano l'attrazione esercitata dal rapace sulla fantasia del Buonarroti. Un'attrazione che Michelangelo affida anche alla poesia, paragonando l'amore a un'impennata d'ali verso il cielo:Non è sempre di colpa aspra e mortaled'una immensa bellezza un fero ardore,se poi sì lascia liquefatto il core,che 'n breve il penetri un divino strale.Amore isveglia e desta e 'mpenna l'ale,nè l'alto vol preschive al van furore;qual primo grado c'al suo creatore,di quel non sazia, l'alma ascende e sale.l'amor di quel ch'i' parlo in alto aspira;donna è dissimil troppo; e mal conviensiarder di quella al cor saggio e verile.L'un tira al cielo, e l'altro in terra tira;nell'alma l'un, l'altr'abita nè sensi,e l'arco tira a cose basse e vile.Nelle ultime due terzine troviamo la contrapposizione tra l'amore omosessuale che "tira al cielo" e quello che invece, appagandosi di una donna, "in terra tira". Questa una possibile parafrasi: " L'amore di cui io parlo (ma potrebbe anche essere: di colui io parlo) tende all'alto; la donna è troppo diversa (sottointeso: dall'uomo: pooure: da questo tipo di amore); poichè consumarsi nell'amore di una donna non è degno di un cuore saggio e virile. Il primo amore solleva al cielo; l'altro tien legati alla terra; l'uno abita nell'anima, l'altro nei sensi e piega il nostro volere a cose basse e vili".
Secondo Vasari, non solo i sonetti erano destinati all'amato Cavalieri, ma anche le serie di disegni tra cui il più noto è il Ratto di Ganimede. Michelangelo, infatti, "infinitamente amò più di tutti Messer Tommaso de' Cavalieri gentil'uomo romano, quale essendo giovane e molto inclinato a queste virtù, perchè egli imparassi a disegnare, gli fece molte carte stupendissime disegnate di lapis nero e rosso di teste divine, e poi gli disegnò un Ganimede rapito in cielo da l'uccel di
Giove, un Tizio che l'avvoltoio gli mangia il cuore, la cascata del carro del sole con Fetonte nel Po et una baccanalia di putti, che tutti sono ciascuno per sè cosa rarissima e disegni non mai più visti. Ritrasse Michelagnolo Messer Tommaso in un cartone grande di naturale, che nè prima nè poi di nessuno fece il ritratto, perchè abborriva il fare somigliare il vivo se non era d'infinita bellezza". L'immagine dell'aquila ricorre in tutti i disegni destinati a Tommaso, solo una differenza è evidente, e in essa probabilmente si svela l'arcano dei due disegni donati a Tommaso: la posizione dei corpi. Mentre Ganimede, amato da Zeus, è trasportato in cielo, Tizio, il fallico aggressore di Leto, giace orizzontale legato alle rocce del Tartaro. Un amore "tira al cielo" e l'altro "in terra tira".Da quando Zeus ci tagliò in due parti, da quando fummo cacciati dall'Eden, scindere in antitesi ogni elemento, cercare l'alto e il basso, il secco e l'umido, il maschio e la femmina, la mente e il corpo, è un fatto inevitabile. Ma poi, come gli alchimisti, dopo aver smontato, dobbiamo prepararci a riunire; e per quest'opera ciascuno di noi ha a disposizione solo il proprio desiderio. Il cui compito è quello di tenere separati spirito e anima mentre li tiene uniti.Le immagini che abbiamo incontrato (il rapimento, il volo, l'amore spirituale e l'amore carnale, l'aquila, e il masochismo amoroso) hanno dato vita a un percorso circolare, in cui le storie e i simboli si rincorrono fino alla soglia del desiderio, il quale, si sa, non ha parole. Come Dio, il desiderio non si lascia spiegare: a volte si ha la fortuna di intuirlo tra le pieghe dell'esperienza psichica, o di viverlo nell'amore. Ne possiamo cercare le immagini, ma queste non hanno inizio nè fine.(liberamente tratto da: "COMPAGNI D'AMORE" di Vittorio Lingiardi - Raffaello Cortina Editore)