Parole non dette...

Padre nostro che sei nei gay


Da un paio d' anni Don A. opera nella terra di nessuno, dove i divieti della Chiesa Cattolica ufficiale si scontrano con la realtà dei cristiani omosessuali che non vogliono abiurare alla propria fede e alla loro esistenza. Un paio di volte al mese dice messa, confessa e distribuisce la comunione a un gruppo di credenti omosessuali. Questo è il racconto della sua esperienza pastorale.E' ancora abbastanza giovane, è stimato dai suoi parrocchiani, cura il suo gregge con diligenza: confessioni, battesimi, cresime e matrimoni. Poi, un paio di volte al mese, entra in clandestinità e dice messa per una comunità di credenti omosessuali. Dice messa e distribuisce la comunione. Ma guai se lo venisse a sapere il vescovo. Verrebbe ammonito e rapidamente emarginato.Don A. (chiamiamolo così) opera nella terra di nessuno, dove i divieti della Chiesa ufficiale si scontrano con la realtà di cattolici che non vogliono abiurare alla propria esistenza, perché - a differenza del Sant' Uffizio - non sono convinti che sia "intrinsecamente malvagia". Le parole del Papa? "Non mi hanno sorpreso. In fondo bisogna prenderle con beneficio d' inventario, perchè nascono da un' incomprensione generale". Lei prete come giudica la posizione della Chiesa?E' superata, le critiche della gerarchia ecclesiastica non corrispondono al vissuto reale della gente. Si dice che gli omosessuali non sono aperti al dono della vita, alla differenza, all' alterità. Se ne dà un' immagine chiusa, narcisistica, egoistica. E invece non è così. Anche il rapporto di coppia omosessuale è rapporto fra due persone diverse e quindi ciascuno deve misurarsi con l' altro. La Chiesa pensa sempre di avere uno schema valido per tutti i tempi, soprattutto in tema di sessualità e famiglia, e quindi la sua pastorale resta ancorata alla prospettiva di far ritornare gli omosessuali in uno schema cosiddetto normale. E il discorso di chi vuol "guarire" i gay. Lei, invece, lo ritiene impraticabile?"E' sbagliato misconoscere la loro realtà. Dire che vivono in modo irregolare o anomalo significa non accettare la loro realtà. Spesso già loro stessi fanno fatica ad accettarsi e neanche tutti ci arrivano. Perciò è ora di capire che dobbiamo essere aperti alla loro condizione, non negarla". Da quanto tempo si occupa di una comunità di credenti gay? "Da un paio d' anni". Ha imparato qualcosa da questa esperienza? "A scoprire valori nascosti in realtà diverse. In queste persone ritrovo sentimenti notevoli di solidarietà, di attenzione, di generosità, di affettuosità e di socialità. E non mi riferisco soltanto all' attenzione verso coloro che sono dello stesso ambiente.Conosco un giovane, che passa le sue sere girando per le strade della sua città per aiutare quanti sono in difficoltà. E con questo non voglio dire di avere un atteggiamento schematico nei confronti dell' omosessualità. Solo che bisogna discutere, mentre la Chiesa non lo fa". Cosa le insegnavano al seminario? "Purtroppo non se ne parlava seriamente nè ai corsi nè durante l' itinerario formativo. Solo qualche accenno e la solita, fugace, riduttiva lettura dei passi biblici su Sodoma o dei brani di san Paolo. Mi riferisco al testo in cui san Paolo fa un elenco di vizi, citando ladri, sodomiti, adulteri". Come interpreta questo testo? "Appunto, come un elenco di vizi e virtù del suo tempo. Ma se ci fissiamo a determinate strutture e istituzioni, si perde il senso vero dell' annuncio della parola di Dio". Quanto pesano sui credenti gli anatemi della Chiesa? "Ancora molto. Le parole della gerarchia incidono negativamente sull' opinione pubblica, sulle parrocchie, sulle stesse famiglie in cui si lamenta di avere un ' figlio non in linea con la Chiesa' . E questo crea difficoltà e una sensazione di sofferenza. Per fortuna cominciano ad esserci anche buoni preti, che seguono vari gruppi omosessuali". La sua attività è nota? "No, e mi dispiace che la Chiesa tutta non possa fruire di questa esperienza pastorale".(Articolo di Marco Politi tratto da Repubblica del 22 febbraio 1994)