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La Befana senza scarpe e senza scopa


Purtroppo quest’anno anche la scopa poco volerà anche se la benzina a picco va! La Befana è nel nostro immaginario una vecchietta che porta doni ai bambini la notte tra il 5 e il 6 gennaio, in ricordo di quelli offerti al Bambino Gesù (mirra, incenso e oro) dai Re Magi: Baldassare, Gaspare e Melchiorre. La sua rappresentazione è: un gonnellone scuro ed ampio, un grembiule con le tasche, uno scialle, un fazzoletto o un cappellaccio in testa, un paio di ciabatte consunte, il tutto assortito da coloratissime toppe. L'origine di questa figura va probabilmente connessa a tradizioni agrarie pagane relative all'anno trascorso, ormai pronto per rinascere come anno nuovo. Difatti rappresenta la conclusione delle festività natalizie come interregno tra la fine dell’anno solare e  l'inizio dell’anno lunare. L'aspetto da vecchia sarebbe dunque una raffigurazione dell'anno vecchio: una volta davvero concluso, lo si può bruciare così come accadeva in molti paesi europei, dove esisteva la tradizione di bruciare fantocci, con indosso abiti logori. In quest'ottica l'uso dei doni assumerebbe un valore propiziatorio per l'anno nuovo. Un'ipotesi suggestiva è quella che collega la Befana con una festa romana, che si svolgeva all'inizio dell'anno in onore di Giano e di Strenia (da cui deriva il termine "strenna") e durante la quale si scambiavano regali. Secondo una versione "cristianizzata", i i Re Magi diretti a Betlemme per portare i doni a Gesù Bambino, non riuscendo a trovare la strada, chiesero informazioni ad una signora anziana. Malgrado le loro insistenze, affinché li seguisse per far visita al piccolo, la donna non uscì di casa per accompagnarli. In seguito, pentitasi di non essere andata con loro, dopo aver preparato un cesto di dolci, uscì di casa e si mise a cercarli, senza riuscirci. Così si fermò ad ogni casa che trovava lungo il cammino, donando dolciumi ai bambini che incontrava, nella speranza che uno di essi fosse il piccolo Gesù. Da allora girerebbe per il mondo, facendo regali a tutti i bambini, per farsi perdonare. Il termine "befana" inteso come "fantoccio esposto la notte dell’epifania" fu già usato nel XIV secolo, da Francesco Berni nel 1535 e da Agnolo Fiorenzuola nel 1541.  Tuttebbèlle sònne i bbefane d’u munne Èh, sì! Sònne pròbbete tuttebbèlle i Bbefane d’u munne k’atturn’a nuje stanne kum’a fraffralle aggarbate ka sóp’è fjure se appòjene. Sònne i fèmmene ka fateghèjene, ka chjaggnen’è rrirene; sèmblece da fóre è rrikke da dinde; sònne lustrekóre ka u kóre ngavedéje è ggnukkòse danne senza fà manghe nu remóre è nnè ninde ngaggne addummannà. Sònne fórze, pacènz’è ddetermenazzjòne; sònne mane k’arremargenèjene i cigghje è kka jòkene k’i krjature ò mèttene dinde i kavezètte jukattel’è ddurciume. Ddìje mìje, t’addengrazzje p’avè misse dind’a òggnèkkase ‘na mamme ka pe nu jurne a l’anne da Bbefane è figghje face. Tuttebbèlle sònne i Bbefane d’u munne! Sono tutte belle le Befane del mondo Eh, sì! Sono proprio tutte belle le Befane del mondo che a noi d’intorno stanno come farfalle delicate che si posano sui fiori. Sono donne che lavorano, che piangono e ridono; umili fuori e ricche dentro; sono luce che il cuore riscalda e ogni cosa danno senza far rumore e niente chiedere in cambio. Sono forza, pazienza e determinazione; sono mani che leniscono i dolori e che giocano con i bambini o mettono nelle calze giocattoli e dolcetti. Dio mio, ti ringrazio per aver messo in ogni casa una mamma che per un giorno all’anno fa da Befana ai figli. Sono tutte belle le Befane del mondo!