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Tangentopoli: una storia infinita


Italia: Repubblica delle bustarelle Con la cacciata dei Savoia e l’avvento della Repubblica si pensava che l’Italia sarebbe stato un Paese idilliaco dove tutti avrebbero avuto possibilità di progredire e dal punto di vista sociale che politico ed economico. La Costituzione sanciva un Paese all’avanguardia per salvaguardare diritti e doveri di tutti. Ma i politici non la pensavano così, tanto che cominciarono ad aumentare di numero in modo spropositato inserendosi dappertutto e prendendo a piene mani tutto ciò che capitava loro a tiro. I soldi nelle loro mani si moltiplicavano e Tangentopoli cercò di arginare il fenomeno degli “illeciti” sotto forme di bustarelle e quant’altro. Divenne, l’Italia, la Repubblica delle banane perché si tendeva a mettere in evidenza solo capacità di corrutela che, con la seconda Repubblica, sarebbe dovuta sparire. Invece leggi ad personam, privilegi, gettoni di presenza, società fasulle continuavano ad ardere sotto la cenere e, ogni qualvolta un politico (o un suo luogotenente) veniva preso con le mani nel sacco, le lamentele contro giudici “comunisti” si elevavano al cielo per proclamare la loro innocenza. Anzi quando non si poteva negare il maltolto agli onesti cittadini, si attaccavano a leggi, fatte da loro stessi per se stessi, che prevedevano “privilegi e gettoni”, clientelismo, nepotismo e intrallazzi, pur riscaldando le panche in Enti, Province, Comuni, Regioni e Parlamento dove ogni mese la paga era (ed è!) dieci volte di più di quella di un lavoratore. Oggi, non so se siamo giunti alla terza o alla quarta Repubblica, la corrutela dei politici e di quanti ruotano attorno ad essi è arrivata a tal punto che possiamo definire la nostra Italia la Repubblica più corrotta che esista al mondo. E intanto i giudici che per anni trovano prove del mal fatto, in Cassazione le sentenze di condanna vengono quasi sempre mutate in assoluzioni, soprattutto per quanto concerne i politici. E allora c’è da chiedersi: perché in Italia la classe dirigente non controlla, onde non dare adito alla dilagante corruzione sia in alto (capi) che in basso (luogotenenti, aiutanti e lacché) che continua ad impervesare in lungo e in largo per il Paese? Intanto le condanne per concussione, grazie alle leggi ad personam, sono andate sempre più diminuendo anche per la decorrenza dei termini imposti nei processi. Oggi il governo intende far ruotare i burocrati onde non costruirsi feudi, tenendoli non più di sei anni negli incarichi assegnati. È una proposta assai discutibile perché non viene assicurata la tutela degli interessi dello Stato. E non si assicura nemmeno che non si rubi, perché chi lo fa non viene mai emarginato, ma premiato, spostandolo verso altri lidi. In una società ben ordinata i corrotti non dovrebbero andare molto al di là della qualifica di “impiegati d’ordine”; invece nella nostra società, che non è una società, arrivano ai vertici e ci stanno fin che il contesto stesso che li ha prodotti non decade. Forse ha ragione Roberto Benigni quando, nel commentare il Settimo Comandamento in tv, ha detto: “Dio ci ha fatto un trattamento di favore, perché ha scritto questo comandamento proprio per noi italiani; è una norma ad personam, anzi pare lo abbia scritto direttamente in italiano. È quello al quale si obbedisce di meno! In Italia lo capiscono anche i bambini, ma forse solo quelli. Oggi essere ladri non fa più nessun effetto, eppure vendere la propria anima è il punto più basso della storia dell’umanità!” Un poeta, di cui mi sfugge il nome, ha scritto: “Nei tempi antichi, barbari e feroci,/ i ladri s’appendevano alle croci:/ ma nei presenti tempi più leggiadri,/ s’appendono le croci in petto ai ladri!” Verità sacrosante! L’unico a pagare è e sarà sempre l’onesto cittadino!   Sèmbe pure d’òggnè pekkate sònne “Ne nge stace attenzjune ka kuanne lópe se téne; ne nge stace uardjane attinde si ne ndòrme; ne nge stace kujéte sènza pavure; ne nge stace féde sènza mbedeltà!” Ȯgge cchjù ka maje tale mude de dì, n’Italje, éje assaje de móde sòpattutte ngambe puliteke a ndò u kljèndelisme, neputisme, ndrallazz’è ppettegulèzze kunzederate vènene mudèlle necessarje de kumburtaminde murale. Ȯre ka lubbrefekéje, tangènde, uljature de ngranagge, vallòppe è prevelègge paròle sònne d’òrdene de ummene k’i mane mbaste è ppuletekande ka, grazzje a lègge appruprjate è dda lóre apprùuàte, sèmbe arresultèjene libbere d’òggnè pekkate. Appure sapènne ka ki kerròmbe éje ‘na perzòna lòrde pekkè vennènne ‘a pròbbeta alme u punde cchjù vassce d’a stòrje d’a umanetà ‘rraggiungéje, u pitte dind’a cchjìse, ‘a dumèneke è nd’i fèste kumannate, a vatte se và: “Mea culpa!... Mea culpa!... Mea culpa!”           Sono sempre mondi da ogni peccato “Non c’è attenzione che quando si ha fame; non c’è guardiano attento se non dorme; non c’è tranquillità senza paura; non c’è fede senza infedeltà!*” Oggi più che mai tale affermazione, in Italia, è attualissima soprattutto nel campo politico dove clientelismo, nepotismo, intrallazzi e pettegolezzi vengono considerati modelli intrinseci di comportamento morale. Oro che lubrifica, tangenti, unzione di ingranaggi, bustarelle e privilegi parole d’ordine sono di uomini d’affari e politici che, grazie a leggi appropriate e da loro stessi approvate, risultano sempre mondi da ogni peccato. Anche sapendo che il corrotto è una persona sporca perché vendendo la propria anima il punto più basso della storia dell’umanità raggiunge, il petto in chiesa, la domenica e nelle feste comandate, si va a battere: “Mia colpa!... Mia colpa!... Mia colpa!”   *François Villon