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Morte e funerale di Carnevale


 La morte e il funerale di CarnevaleIl Martedì, ultimo giorno di Carnevale, è detto grasso, come il precedente giovedì, semplicemente perché in questi giorni, prima ancora della mia fanciullezza, si mangiava in abbondanza, per eliminare cibi come la carne, per entrare nel periodo della penitenza alimentare.È il giorno, infatti, precedente il Mercoledì delle Ceneri che segna l’inizio della Quaresima che porta alla Pasqua.È, quindi, il giorno in cui si chiudono i festeggiamenti carnevaleschi.A Lucera, ai tempi della mia fanciullezza, il mattino ben presto, in molti rioni comparivano tavole imbandite, ad indicare il godimento delle gioie terrene,  con un fantoccio fatto di paglia con un corpo immenso, una pancia enorme per l’abbondanza del cibo ingoiato, gambe ciondoloni e grosse,  un cappello e il viso sporco di sugo e sporcizia di indigestione, ma che denotava pace, riso e allegria. Era rivestito con abiti comuni dalle più svariate fantasie: c’era anche chi gli faceva indossare un frac con fiore all’occhiello, chi un abito consumato o  un pigiama o abiti di lavoro.Alcuni mettevano anche un calamaio a fianco alla mano destra che aveva una penna con la quale aveva stilato un testamento, scritto con particolari progetti e speranze futuri che si dovevano rispettare. In esso c’era scritto ciò che lasciava, quasi niente se non le misere cose che indossava e le misere cose poste sulla tavola: scodella, cucchiaio, occhiali, pipa… affinché la gente del rione o del quartiere potesse dirgli di riposare in pace per quanto aveva loro lasciato e lo terminava sperando di avere reso tutti felici e contenti.La sera, con l’accendersi dei lampioni, per le strade e le piazze veniva portato in spalla da quattro baldi giovanotti, incappucciati e vestiti a lutto, il fantoccio sdraiato su di una tavola, qualcuno usava la bara per rendere più veritiero il corteo funebre, accompagnato dal lamento funebre delle prefiche.C’era chi lo portava anche seduto su di una sedia o usava come carnevale un baldo giovanotto avente in bocca spicchi d’aglio che, con la testa che usciva dal feretro, camminava con i suoi piedi, per cui si vedeva solo la testa.Il feretro era seguito da ragazze e giovanotti vestiti a lutto che imprecavano e lanciavano urla di dolore per la morte di carnevale e spesso facevano finta di strapparsi i capelli. Poco prima della mezzanotte veniva letto il testamento e poi lo si bruciava, come capo espiatorio di tutti i mali.Il mattino dopo per tutti i quartieri e le piazze comparivano le quarantane, con quattro piume di gallina, che venivano tolte ogni dieci giorni, ad indicare il tempo della Quaresima!                   U nzengaminde de Karnuale Martrdì grasse! Karnuale mòre! Vèrze u tarde d’u dòppemagnà i fèmmene appreparene u murte sóp’a ‘na tavele de nireve  vestute  è subbete dòppe  k’i kapille sciute  ò’ katafarke  s’avvecinene è, vattènnese mbitte, a lukkule sciambrate de delòre s’abbannònene, a kuje siguete fanne, kuanne u katafarke ngulle véne misse a kuatte juvenòtte ngappucciate pe jì p’i strate è i chjazze d’u pajése, i lagne funerarje chjìne de delòre p’a perdute d’u lòre amate bbundembòne. “Karnuale mìje kare pekkè  sì murte? Ne nde mangave ninde è sì murte k’a freccine ‘m’mane tramènde t’abbuffave. Fòrze ngurpe sì sckattate p’ u tròppe magnà nguzzate. È mò ìje kume fazze sènze i skèrze è l’allerìja tuje?” Chiagne è se desespére ‘a gènde tramènde akkumbagne u murte vèrze ‘a fanòje pe ghèsse arze. Kuannèkraje, p’u suvravvenì d’a Kuarèsme, gnune a kambà arreturnarrà penzanne ò’ ‘vvenì è skurdannese d’u inzengaminde d’u murte Karnuale de “Kambà nd’u presènde pe nen murì kume si ne nze fusse maje kambate!”         L’insegnamento del Carnevale Martedì grasso! Carnevale muore! Verso il tardi pomeriggio le donne preparano il morto su di una tavola a lutto listata  e subito dopo con i capelli sciolti al feretro si accostano e, battendosi  il petto, a disordinati gridi di dolore si abbandonano, a cui seguito fanno, quando il feretro viene issato sulle spalle di quattro giovanotti incappucciati per attraversare strade e piazze della città, i lamenti funebri colmi di dolore per la perdita del loro amato buontempone. “Mio caro Carnevale perché sei morto? Non ti mancava nulla e sei morto con la forchetta in mano mentre ti abbuffavi. Forse sei schiattato in corpo per il troppo cibo ingoiato. E ora io come faccio senza i lazzi e la tua allegria?” Piange  e si dispera la gente mentre accompagna il morto verso il rogo per essere bruciato. L’indomani, col sopraggiungere della Quaresima, ognuno a vivere tornerà pensando al futuro e dimenticandosi dell’insegnamento del morto Carnevale di “Vivere nel presente per non morire come se non si fosse mai vissuto!”        Il Martedì, ultimo giorno di Carnevale, è detto grasso, come il precedente giovedì, semplicemente perché in questi giorni, prima ancora della mia fanciullezza, si mangiava in abbondanza, per eliminare cibi come la carne, per entrare nel periodo della penitenza alimentare.È il giorno, infatti, precedente il Mercoledì delle Ceneri che segna l’inizio della Quaresima che porta alla Pasqua.È, quindi, il giorno in cui si chiudono i festeggiamenti carnevaleschi.A Lucera, ai tempi della mia fanciullezza, il mattino ben presto, in molti rioni comparivano tavole imbandite, ad indicare il godimento delle gioie terrene,  con un fantoccio fatto di paglia con un corpo immenso, una pancia enorme per l’abbondanza del cibo ingoiato, gambe ciondoloni e grosse,  un cappello e il viso sporco di sugo e sporcizia di indigestione, ma che denotava pace, riso e allegria. Era rivestito con abiti comuni dalle più svariate fantasie: c’era anche chi gli faceva indossare un frac con fiore all’occhiello, chi un abito consumato o  un pigiama o abiti di lavoro.Alcuni mettevano anche un calamaio a fianco alla mano destra che aveva una penna con la quale aveva stilato un testamento, scritto con particolari progetti e speranze futuri che si dovevano rispettare. In esso c’era scritto ciò che lasciava, quasi niente se non le misere cose che indossava e le misere cose poste sulla tavola: scodella, cucchiaio, occhiali, pipa… affinché la gente del rione o del quartiere potesse dirgli di riposare in pace per quanto aveva loro lasciato e lo terminava sperando di avere reso tutti felici e contenti.La sera, con l’accendersi dei lampioni, per le strade e le piazze veniva portato in spalla da quattro baldi giovanotti, incappucciati e vestiti a lutto, il fantoccio sdraiato su di una tavola, qualcuno usava la bara per rendere più veritiero il corteo funebre, accompagnato dal lamento funebre delle prefiche.C’era chi lo portava anche seduto su di una sedia o usava come carnevale un baldo giovanotto avente in bocca spicchi d’aglio che, con la testa che usciva dal feretro, camminava con i suoi piedi, per cui si vedeva solo la testa.Il feretro era seguito da ragazze e giovanotti vestiti a lutto che imprecavano e lanciavano urla di dolore per la morte di carnevale e spesso facevano finta di strapparsi i capelli. Poco prima della mezzanotte veniva letto il testamento e poi lo si bruciava, come capo espiatorio di tutti i mali.Il mattino dopo per tutti i quartieri e le piazze comparivano le quarantane, con quattro piume di gallina, che venivano tolte ogni dieci giorni, ad indicare il tempo della Quaresima! U nzengaminde de Karnuale Martrdì grasse! Karnuale mòre! Vèrze u tarde d’u dòppemagnà i fèmmene appreparene u murte sóp’a ‘na tavele de nireve  vestute  è subbete dòppe  k’i kapille sciute  ò’ katafarke  s’avvecinene è, vattènnese mbitte, a lukkule sciambrate de delòre s’abbannònene, a kuje siguete fanne, kuanne u katafarke ngulle véne misse a kuatte juvenòtte ngappucciate pe jì p’i strate è i chjazze d’u pajése, i lagne funerarje chjìne de delòre p’a perdute d’u lòre amate bbundembòne. “Karnuale mìje kare pekkè  sì murte? Ne nde mangave ninde è sì murte k’a freccine ‘m’mane tramènde t’abbuffave. Fòrze ngurpe sì sckattate p’ u tròppe magnà nguzzate. È mò ìje kume fazze sènze i skèrze è l’allerìja tuje?” Chiagne è se desespére ‘a gènde tramènde akkumbagne u murte vèrze ‘a fanòje pe ghèsse arze. Kuannèkraje, p’u suvravvenì d’a Kuarèsme, gnune a kambà arreturnarrà penzanne ò’ ‘vvenì è skurdannese d’u inzengaminde d’u murte Karnuale de “Kambà nd’u presènde pe nen murì kume si ne nze fusse maje kambate!”  L’insegnamento del Carnevale Martedì grasso! Carnevale muore! Verso il tardi pomeriggio le donne preparano il morto su di una tavola a lutto listata  e subito dopo con i capelli sciolti al feretro si accostano e, battendosi  il petto, a disordinati gridi di dolore si abbandonano, a cui seguito fanno, quando il feretro viene issato sulle spalle di quattro giovanotti incappucciati per attraversare strade e piazze della città, i lamenti funebri colmi di dolore per la perdita del loro amato buontempone. “Mio caro Carnevale perché sei morto? Non ti mancava nulla e sei morto con la forchetta in mano mentre ti abbuffavi. Forse sei schiattato in corpo per il troppo cibo ingoiato. E ora io come faccio senza i lazzi e la tua allegria?” Piange  e si dispera la gente mentre accompagna il morto verso il rogo per essere bruciato. L’indomani, col sopraggiungere della Quaresima, ognuno a vivere tornerà pensando al futuro e dimenticandosi dell’insegnamento del morto Carnevale di “Vivere nel presente per non morire come se non si fosse mai vissuto!”