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La pentolaccia


 La pentolaccia, festicciola   della seconda domenica di Quaresima, ai tempi della mia fanciullezza   avveniva tra le mura domestiche dove si ballava con un giradischi, su cui dischi di vinile facevano sentire suoni di tanghi, mazurche, polghe e valzer, incorporati ad una radio,   prima di rompere la pignata, colma di noci, fichi secchi, fave e lupini.Era una tradizione molto sentita a Lucera e lo è tutt’oggi soprattutto da chi, come me, è avanti negli anni. Tra l’altro molti miei ricordi sono legati al cortile di Santa Caterina dove il nostro amato Servo di Dio Padre Angelo Cuomo in detta ricorrenza faceva trovare delle pentole di terracotta appese ad un filo con dentro segatura e caramelle. Un ricordo a me tanto caro perché la prima volta che vi partecipai c’erano un centinaio di ragazzi e, nel vedere quelle poche caramelle cadere ad ogni pignata rotta, pensai ad un miracolo perché per terra alla fine c’erano caramelle molto più che sufficienti per tutti.Noi ragazzi, a turno, venivamo bendati e armati di bastone e su indicazione dei presenti e di Padre Angelo che gridavano: Acqua, fuocherello, fuoco, ad indicare la distanza e la vicinanza della pignata da colpire, menavamo colpi a casaccio e a volte colpivamo l’amato Servo di Dio (per me Santo anche da vivo!) che si avvicinava a noi per invogliarci ad essere più accorti nel maneggiare il bastone per colpire le pignate.Oggi tale gioco lo si usa nelle feste dei compleanni dei bambini per rendere più movimentata e divertente la festa del bimbo festeggiato, perché per i bimbi vedere rotta una pignata colma di cioccolate e caramelle significa tuffarsi per terra per accaparrarsi la maggior quantità possibile.Ma com’è nata tale festa?Per alcuni affondano nella storia della scoperta dell’America: si narra che, all’inizio del XVI secolo, i missionari spagnoli arrivati colà, utilizzarono la pignata per attirare i nativi alle loro cerimonie.Sembra, invece, che gli indigeni avessero già una tradizione simile per celebrare il compleanno della divinità della guerra. Infatti alla fine dell’anno i sacerdoti aztechi collocavano nel tempio un recipiente di argilla adornato di piume colorate e pieno di piccoli tesori. Quando la pignata veniva rotta i tesori in essa contenuti cadevano ai piedi degli dei.I Maya, invece, usavano praticare un gioco molto simile a quello della mia infanzia: i partecipanti al gioco, con gli occhi bendati, dovevano colpire un recipiente di argilla sospeso con una corda.Furono, comunque, i missionari a trasformare questo gioco dandogli un significato religioso: il recipiemte di argilla decorato rappresentava Satana che doveva essere distrutto.La pignata, che aveva sette coni, rappresentava i sette vizi capitali, ed era riempita di dolci e frutta che rappresentavano le tentazioni di abbondanza e i piaceri terreni.Il partecipante bendato, invece, rappresentava la fede che, seppur cieca, vince il male e il bastone utilizzato per romperla simboleggiava la virtù.Con il gioco della pignata la gente che vi partecipava era costretta ad alzare lo sguardo verso il cielo per vederla colpita, mentre era sospesa da una corda, aspettando il premio di ciò che in essa era contenuto. Una volta sotto il recipiente, le caramelle e la frutta che cadevano giù rappresentavano la giusta ricompensa per la fede mantenuta.La festa della pignata venne introdotta in Europa nel XIV secolo e venne adattata alle celebrazioni della Quaresima.   Nu rè me facéve assemeghjàÈ timbe de kuanne krjature évetuttekuande bèlle éve. Avastaveascì fóre d’a kase è i kumbagnengundrà pe ce se sènde chjìnechjìne de prjèzze, appure si è piteskarpe ne nge stèvene. I festecciòle,kume Natale, Paskule è u fèrrauste,addedekate a ‘Ssunde ngile Patrònede Lucére, èvene majestòse è da sfunnefacèvene ò kambà de tutte i jurne.Tra kuèste, appèrò, vune ce ne stéve,‘a pegnate, dinda kuje nuje uaghjunetuttekuande èmme prutagunisteè pubbleke dind’u kurtighje de SandaKatarine, grazje a Patrè À, òggeSèrve de Dìje. Angòre mò, chjùka uttandènne, kuèlla festecciòleéje akkussì chjéne de vite nda mèda sènde i lukkule: akkue, fukarille,fuke ka me facèvene rutjà u vastònepe kòghje ‘a pegnate ka dinde tenévesckitte sekature è kakkè karamèlle.Éve ‘na prjèzze sènza kumbine kuannekughjéve u berzaghje pekkè sèndeme facéve d’èsse kakkèvune ò kakkòseka, ‘mméce, nenn’éve. A nu rè sènzakròne assemeghjà me facéve pekkètutte i uaghjune atturne a mè pe ndèrrese jettavene akkume p’addengrazjarme,‘mméce éve pe peghjà  kakkè karamèlle.Un re mi faceva sembrareAi tempi della mia fanciullezzaogni cosa era bella. Bastavauscire di casa e i compagniincontrare per sentirsi colmidi felicità, anche se ai piedimancavano le scarpe. Le feste,come Natale, Pasqua e il ferragosto,dedicato all’Assunta in cielo Patronadi Lucera, erano solenni e da sfondofacevano alla vita quotidiana.Tra queste, però, ce n’era una,la pentolaccia, in cui noi ragazzieravamo tutti protagonistie spettatori nel cortile di SantaCaterina, grazie a Padre Angelo, oggiServo di Dio. Ancora adesso, piùche ottantenne, quella festaè così vivida in meda sentire le urla: acqua, focherello,fuoco che mi facevano roteare il bastoneper colpire la pentolaccia che contenevasolo segatura e qualche caramella.Era una gioia sconfinata quandocolpivo il bersaglio perché sentiremi faceva d’essere qualcuno o qualcosache, invece, non si era. Ad un re senzacorona mi faceva sembrare perchétutti i ragazzi a me d’intorno per terrasi buttavano come per ringraziarmi,invece era per prendere qualche caramella.