pasqualezolla

Un carnevale poco carnevale


 PERCHÉ SI FESTEGGIA IL CARNEVALE   Il Carnevale ha come scopo principale quello di sciogliere temporaneamente un gruppo sociale dagli obblighi che lo incatenano al proprio ruolo. Nelle dionisiache greche lo schiavo diventa padrone e viceversa, i prigionieri vengono liberati, si cessa temporaneamente il lavoro. Il caso, insomma, prende il posto dell'ordine, fino a che, con la chiusura dei festeggiamenti, la Cosmogonia non viene ripristinata, e l'ordine torna nella società fino al ciclo successivo.Ed ecco la funzione della maschera, tanto più tipica nei Saturnalia decembrini dell'Antica Roma: la maschera cela l'identità di schiavi e prigionieri, anche e soprattutto nei banchetti, grassi e licenziosi. Ma c'è anche un altro ruolo attribuito alla maschera: quella di "volto" per le presenze infere che abitano il regno dei vivi in questo mondo rovesciato. La funzione della maschera è apotropaica: allontana il male prestandole un corpo in cui vivere temporaneamente, in modo che con l'arrivo della primavera e la rinascita della terra gli spiriti liberati dai festeggiamenti tornino in quiete fino all'anno successivo.A Lucera, ai tempi della mia fanciullezza e gioventù, il posto in cui si scatenava di più il Carnevale era Piazza Duomo e per la maggior parte dei ragazzi i vestiti indossati erano quelli delle sorelle e viceversa, con maschere di cartone fatte in proprio o comprate con pochi soldi.Si andava su e giù per la piazza facendo il più possibile schiamazzo e buttando coriandoli, a volte fatti con pezzi di carta. La festa terminava con la cuccagna e il pupazzo raffigurante Carnevale bruciato e, a mezzanotte, iniziava il Mercoledì delle Ceneri con bambole vestite di nero (Kuarandane), che si appendevano agli angoli delle strade vicino ai lampioni della luce,  con  ai piedi un’arancia e 5 penne di galline, per ricordare il periodo della Quaresima, che venivano tolte ogni dieci giorni. Vune, nesciune è chjù de vuneL’òme pòrte pe anne ‘a faccia sujengape appezzekate è ‘a muréja sujeè pite arrepezzate è jammajearrjèsce a kapì kuale d’i dòjeténe u piseme decchjù. Kakkèvvóteassapuréje u mbulze ngundrullabelede i stukkà è i mbènne a nu chjuveè arrumanè allà ndèrre assettatekum’a nu pupazze de stajèlle a kuje‘na mane pjetòse u file have tagghjate.Pènze a kuanda mumènde d’i jurnatesuje isse è state isse, sckitte isse,vune ò fòrze nesciune ò chjù de vune.Pe kuande avéve repetute ‘na masckere,nu jèste mbuste da nu derettòreka nze vedéve è ka ne nganuscéve.Vèrz’a fine d’a vite, pròbete kumesuccéde vèrz’a fine de nu ballemasckuarate, kuanne tuttekuandese lèvene ‘a masckere, fenarmèndes’arrjèsce a vedè ki èvene p’alluvérekuille k’i kuale ngundatte s’évevenute lunghe u jì suje sóp’a tèrre. Uno, nessuno e più di unoL’uomo porta per anni la sua facciaappiccicata alla testa e la sua ombracucita ai piedi e giammairiesce a capire quale delle duepesa di più. Qualche voltaprova l’impulso irrefrenabiledi staccarle e appenderle a un chiodoe restare lì seduto per terracome un burattino a cuiuna mano pietosa il filo ha tagliato.Pensa a quanti minuti delle giornatesue lui è stato lui, solo lui,uno o forse nessuno o più di uno. Per quanti aveva replicato una maschera, un gesto imposto da un regista che non si vedeva e che ignorava. Verso la fine della vita, proprio come avviene verso la fine di un ballo mascherato, quando tuttisi tolgono la maschera, finalmentesi riesce a vedere veramente chi eranoquelli coi quali si era in contattovenuto durante il suo viaggio terreno.