VIVERE

1°CAPITOLO


 
 PARTE TERZAI giorni che seguirono furono grigi, vuoti e interminabili, occupavo il mio tempo a lustrare mobili e pavimenti, mi sentivo sola! Troppo sola! Pensavo a mia sorella che essendosi rifiutata di studiare, lavorava in una fabbrica di divise militari pur avendo solo quattordici anni, a mio fratello, che si era già sposato e che si era trasferito poiché  era stato assunto presso  l' INAIL di Torino.Mia madre non lavorava più, le era stata ormai assegnata un'ottima pensione per la morte di mio padre deceduto sul lavoro, ma nonostante la sua totale disponibilità, per me non c'era! Non c’era mai!Si recava ogni giorno ad accudire due miei cuginetti rimasti  soli poiché la mamma (sorella di mio padre), era da poco morta di cancro.In quella casa ci rimaneva tutto il giorno e la cosa non mi piaceva affatto, io e mia sorella non contavamo più niente, o forse ci riteneva troppo grandi per ricevere le sue attenzioni, attenzioni che non ricordo di aver mai ricevuto,  come non ricordo  di aver mai ricevuto una lieve carezza, un piccolo abbraccio, ne una minima preoccupazione per ciò che facevamo durante il giorno.Questa situazione non solo mi faceva male ma mi inaspriva ogni giorno di più, diventavo sempre più aggressiva con mia sorella, ormai non le facevo più da mamma ma da matrigna, non avevo più voglia di proteggerla e ad ogni sua marachella le  infliggevo castighi simili a quelli ricevuti nel collegio dell'inferno.Pensavo, mio padre è morto, pazienza!  Mia madre invece è viva, quindi perché devo occuparmi io di mia sorella? Intanto studiavo con freddezza il modo di far pagare a mia madre quel comportamento che non solo non accettavo ma che era diventato oggetto di critica  da parte di tutti i parenti ed i vicini che con la scusa di darmi buoni consigli, non perdevano occasione per rinfacciarmi quello scorrettissimo  comportamento di mia madre, alimentando in me giorno dopo giorno, un odio ed una rabbia incontenibile.L'estate finì e nonostante provassi un piccolo sollievo pensando che a giorni avrei cominciato a frequentare l'Accademia delle Belle Arti, nelle mia mente c'era un chiodo fisso che rodeva il mio cervello  come  un tarlo:  "DOVEVO LIBERARMI  DI  MIA MADRE",  vivere con lei mi faceva sentire complice della sua condotta, che non era per niente in linea con la mia rigida educazione morale.La gente chiacchierava troppo, si vociferava addirittura che mia madre era diventata l'amante  di quello zio padre dei miei cuginetti e questo per me era veramente troppo!  Sentivo la sua presenza come un'offesa alla mia morale, morale religiosa che avevo concretizzato durante gli anni di collegio.Dovevo correre ai ripari!Per cui una mattina, dopo aver trascorso una notte insonne, mi alzai decisa ad agire, mi avvicinai a lei mentre dormiva e con voce fredda, autoritaria, e senza chiamarla per nome le dissi:-Devi andartene da questa casa!-Che cosa ti ho fatto Candida? Perché mi tratti così?-Perché tu non sei più nostra madre!               Sei soltanto la vergogna di questa casa! Raccogli le tue cose e sparisci!-Dove vado? E' questa la mia casa e vi voglio bene perché siete le mie figlie!E intanto accarezzava mia sorella che ignara di tutto scoppiò in un pianto isterico.La cosa invece di intenerirmi mi inasprì tanto al punto che dopo averle strappato  dalle braccia mia sorella, aggiunsi:-Se non te ne vai subito, ti faccio cacciare da tuo fratello e tu sai bene come la pensa lui!                                                                                       Ma feci più in tempo a farlo che a dirlo, infatti corsi disperata dallo zio e dopo cinque minuti lo stesso era già li di fronte a mia madre con la pistola in pugno e le intimava di lasciare casa.Il mio sguardo muto, gelido, impassibile,  e la minaccia della pistola, indussero mia madre a lasciare casa con un dolore silente.Mentre si allontanava, le lacrime rigavano il suo viso, camminava con la testa all'indietro scrutando con gli occhi imploranti, la mia freddezza e il pianto di mia sorella.Improvvisamente un brivido attraversò tutto il mio corpo,  ero stata troppo dura?   Oppure mi penetrava nel cuore la rabbia per il fatto che non aveva rischiato la sua vita per noi?Purtroppo questo rimane l'unico punto interrogativo al quale non ho mai saputo darmi una risposta.Mancavano ormai pochissimi giorni all'inizio della scuola ma non provavo più alcun sollievo per essermi liberata di mia madre, al contrario ero piena di rabbia, non volevo ammettere che forse avrei potuto evitare la tragica situazione di vuoto e di solitudine nella quale avevo trascinato anche mia sorella, ero troppo presa dal mio orgoglio e invece di correre ai ripari, cominciai a scaricare su di lei  tutta la rabbia che sentivo dentro.Sentivo addosso una responsabilità troppo grande, eravamo completamente sole, ed io con mia sorella non ero più la dolce mammina ma come ho già accennato prima, ero diventata una cattiva matrigna, le proibivo nel modo più categorico di incontrare la mamma e quando cominciò  la scuola, con la scusa  che a casa non c'era nessuno a svolgere le faccende, pretesi che si ritirasse dal lavoro, doveva imparare a cucinare perché dovevo trovare il pranzo pronto quando tornavo dall'accademia, insomma  doveva  rimanere a casa a farmi  da serva,  oltretutto ero la più grande  e quindi mi doveva rispettare, la mia esagerazione nel voler a tutti i costi imporle la mia volontà, proprio non conosceva limiti.Ricordo l' accaduto di una brutta sera  che solo  a pensarci  oggi  sento il mio cuore attanagliato da un rimorso lacerante.Era una fredda sera di Dicembre e dopo aver cenato, aspettai  che  mia sorella finisse di riordinare la cucina e prima di salire in camera le chiesi con tono autoritario:-Chiara, è vero che hai un ragazzino?-No Candida, ti stai sbagliando!-Non dire bugie, lo sai quanto so essere cattiva quando non ti comporti bene!  Sai, io vorrei crederti ma la zia mi ha riferito che appena io mi addormento, tu scendi giù in cortile a parlare con questo ragazzino.-Ti giuro Candida, Carlo è soltanto un vicino di casa al quale voglio un po' di bene!-Il fratello di Enzo? Come ti permetti di dire che gli vuoi un po' di bene? Io sono più grande, ho sempre tenuto duro con il fratello, e tu spudoratamente mi dici che gli vuoi un po' di bene?Mia sorella, spaventata  mi seguì su in camera e si mise subito a letto, dopo cinque minuti finsi di dormire poiché volevo constatare ciò che mi aveva riferito la zia e che facevo fatica a credere, ma con mia grande sorpresa dovetti ricredermi.Mia sorella scivolò furtiva  dal  letto  come  una anguilla,  si  rivestì  in  un baleno  e uscì  dalla porta in modo  così silenzioso che se non avessisbirciato con gli occhi non mi sarei mai accorta.Fui presa da una rabbia irrefrenabile, volevo scendere giù, ammazzarla di botte e avrei fatto bene perché feci di peggio.Con aria decisa chiusi la porta  dall’interno caddi subito in un sonno profondo, quando aprii gli occhi mi accorsi che l'orologio segnava le ore sette.Solo quando scorsi che mia sorella non era accanto a me, il mio corpo fu attraversato da un brivido misto di paura e rimorso, Dio mio! Come avevo potuto arrivare a tanto?E soprattutto dove si era rifugiata con quel freddo? E mentre mi precipitavo fuori per cercarla mi sovvenne alla mente la stessa notte che io avevo trascorso sul balcone del collegio  dell'inferno.Il mio pentimento durò un attimo, infatti quando la scorsi appollaiata sul sacco di segatura che giaceva nel vecchio ripostiglio senza porta, invece di intenerirmi la svegliai bruscamente e la schiaffeggiai dicendo:-Ti ho fatto troppo poco, da stasera in poi quando entreremo in camera mi legherò le chiavi al collo!-Perdonami Candida, non lo farò mai più!Mia sorella mi chiedeva perdono!La sua voce era sommessa e tremante, non  so  se dal  freddo o  dalla  paura di quel mostro che ero diventata.Quel pulcino spaventato aveva bisogno di essere protetto accarezzato ed amato,  ma io non potevo capirlo!Avevo uno spazio vuoto nel cuore, lo spazio della stima, del valore, degli apprezzamenti che non avevo mai ricevuto  e  che non potevo trasmettere a lei.Ancora oggi nonostante siano passati gli anni, avverto sempre la presenza di quello spazio,  ma  di questa  mia carenza di cui ho preso consapevolezza attraverso un lungo, difficile e doloroso percorso, ne parlerò poi.Quel primo anno di Accademia mi sembrò lungo un secolo ma per fortuna lo superai brillantemente.Non so perché riuscivo a brillare solo con lo studio, per tutto il resto ero spenta, per quanto mi sforzassi, non riuscivo ad emanare neppure una piccola luce fioca, eppure sarebbe bastata una piccola fiammella a dare un poco di calore a quella mia incompletezza che mi rendeva impossibilitata ad amare, reprimevo l’affetto perché lo consideravo una debolezza ed io non potevo permettermelo perché volevo sentirmi forte, dovevo lottare per sopravvivere e dovevo soprattutto mostrare a tutti che ero capace di farcela anche  senza mia madre.La mia presunzione e la mia arroganza erano le sofferenze di mia sorella che le subiva con assoluta devozione senza mai ribellarsi.Io ero la più grande!  La più istruita!  La più intelligente!  Quella alla quale le si doveva ubbidienza assoluta.Questo è ciò che le avevo impresso nella testa e non perdevo mai occasione di gridarle in faccia quanto fosse ignorante e stupida.Non mi rendevo conto che la più stupida ero io, io che continuavo quella folle corsa verso una salita irta e pericolosa, che non portava in nessun  posto  e  dalla quale ero cosciente che, ben presto sarei precipitata,  l’unico risultato che riuscivo ad ottenere era la ingiustificata e dolorosa distanza che giorno dopo giorno cresceva  tra me e mia sorella.        E’ per questa presa di coscienza che sentii il bisogno  di  scrivere la mia prima poesia e la dedicai a mia sorella.Poesia della quale, mia sorella non ne è mai venuta a conoscenza perché io, sua presunta   educatrice, non dovevo e non potevo  assolutamente mostrarmi affettuosa, sarebbe stato un segno di debolezza e non avrei più ottenuto rispetto.