VIVERE

2° CAPITOLO


 
PARTE III°Mi svegliai prestissimo, anzi quella notte non dormii affatto per la forte ansia di partire, volevo andarmene al più presto possibile, tutto ciò che era accaduto durante il giorno precedente, non mi aveva fatto per niente cambiare idea, per cui svegliai dolcemente Fabio, e mentre mi accingevo a preparare il caffè, sopraggiunse mia mamma con un enorme valigia in mano, la quale portandosi il dito verso le labbra mi sussurrò in modo silenzioso:-Tuo zio non sa niente ma io qui dentro ho cercato di mettere quanta più biancheria potevo! E porgendomi un rotolo di biglietti da centomila lire aggiunse: con questi cerca di andare avanti finché non troverete lavoro.Non fece neanche in tempo a dirlo che la vidi afferrare in malo modo da mio zio, e mentre la colpiva con calci e pugni, urlava:-Disgraziata! I soldi no! Non te lo permetto! Non ti basta tutto quello che abbiamo dovuto sopportare?Avrei voluto intervenire, ma mia madre mi intimava di scappare con voce strozzata poiché lui le teneva le mani serrate al collo.Mi paralizzai, non sapevo cosa fare, ma gli occhi imploranti di mia madre mi diedero la forza di afferrare la valigia e uscire di casa.Camminavamo a passo spedito per non perdere il treno e nonostante il freddo di gennaio sentivo le mie guance infuocate, ero sudata, stanca, un nodo soffocante stringeva la mia gola.Finalmente salimmo sul treno, quel treno che solo qualche giorno prima lo sognavo come il treno della speranza, ora lo sentivo come il treno che mi avrebbe condotto al patibolo.Fabio si accomodò , depose il suo piccolo bagaglio, e mentre mi toglieva di mano la pesante valigia disse sorridendo:-Sei contenta? Stiamo andando a Torino! Li troveremo sicuramente lavoro! E vedrai come saremo felici! Fai come me, dimentica tutto perché la nostra vita comincia adesso.Gli sorrisi annuendo con la testa, non avevo voglia di parlare, avevo dentro troppa amarezza, non mi fidavo più di lui, quel ceffone che mi aveva mollato la sera del nostro matrimonio senza una valida motivazione, aveva procurato l'aborto dei miei sentimenti, sentimenti che avevo aspettato con ansia e che forse mai più avrei concepito.Il treno sfrecciava squarciando l’alba appena spuntata, Fabio cadde in un sonno profondo, ma nonostante il cigolio ritmico dei vagoni di quel treno in corsa, atto a conciliare il sonno, la mia mente vagava! Sognava! Sperava! Fissavo con gli occhi smarriti e colmi di lacrime, quella pesante valigia, dove insieme alla biancheria, agli effetti personali, mamma aveva richiuso inconsapevolmente tutto il mio passato.Mi aveva detto di averla preparata con grande sacrificio, che era pesante poiché in essa aveva messo tutto ciò che mi sarebbe servito, ma mamma non poteva sapere ciò di cui avevo veramente bisogno! E non sapeva nemmeno che il peso di quella valigia, era poca cosa rispetto al peso che mi portavo nel cuore.Paragonavo quel treno in corsa, alla mia vita che stava correndo allo stesso ritmo e speravo con tutto il cuore di trovare anch’io la luce dell’alba dopo tanto buio.Proprio non riuscivo a riposare! Ero troppo eccitata ad immaginare la città di Torino, una città che la televisione mi aveva fatta sognare come il paradiso, la mostrava come simbolo dello sviluppo industriale italiano, insomma come la città più ambita per chi come noi era in cerca di un impiego e di una migliore condizione di vita.Con tristezza pensavo agli studi interrotti per incamminarmi come tutti i contadini del sud verso quella grande città del nord, alimentata solo da una flebile speranza nel cuore, ma da nessuna certezza.Non saprei spiegarvi al meglio cosa provassi , per cui raccolsi tutta la mia concentrazione e cercai di esprimere il mio stato d’animo dedicando una poesia a mia madre, poesia che non le avrei mai fatto leggere, di questo ne ero assolutamente certa.    DEDICATA A MIA MADRE  Ho voglia di gridarenel silenzio di una notte fondaaffinché più forteti giunga la mia voce.Ho voglia di piangerecon il vagito di un bambinoper avere la certezzadelle tue carezze.Ho voglia di coprirequel lago buio e silenziosoaffinché non riemerga piùil mio dolore.Ho voglia di ricominciaree poter sperare che il mio cuorepossa un di ricolmarsi.Ho voglia di trovaretanta luce e farne il pienoper vederti meglio al mio ritorno.Ho voglia di andare,andare, e ancora andare,ma questa voglia di scappare.non è un fuggire,è solo voglia di volareper incontrare Dioe dirgli che ci sono anch’io.     Giungemmo a Torino a notte inoltrata, era circa mezzanotte e notai con stupore che, a differenza del mio paesello, le strade erano molto illuminate e la gente si muoveva con disinvoltura come fossero le otto di sera.Ci mettemmo subito alla ricerca di una pensione, ero stanchissima e mi tenevo stretta alla mano di Fabio che camminava più spedito.Non ci crederete, ma nonostante i fatti accaduti nei giorni precedenti, che mettevano Fabio sotto una cattiva luce, io iniziai a fidarmi di lui, leggevo nei suoi occhi una sottile sofferenza che si accomunavaalla mia e si fondeva con la mia disperata voglia di lottare.Volevo già un poco bene a quel ragazzo dagli occhi tristi che in così pocotempo era stato capace di far battere il mio freddo cuore, per lui avevo rinunciato al mio mondo, ai miei sogni, e nulla mi avrebbe mai fatto indugiare, ad accettarlo come compagno della mia vita.Trovammo finalmente una camera e ci concedemmo una settimana di riposo durante la quale ci raccontammo del nostro passato, non mi sbagliavo! La sua storia era svuotata dalla disperazione quanto la mia.Mi raccontò della difficile situazione familiare che lo aveva indotto a soli quindici anni a lasciare la casa, di come aveva provveduto a mantenere se stesso spostandosi da una parte all’altra del mondo e, che gli ultimi tre anni li aveva trascorsi nella Legione Straniera.Non mentiva! Lo dicevano i suoi occhi colmi di lacrime e me lo diceva pure il mio cuore che cominciava a sciogliersi facendomi desiderare per la prima volta di stringermi forte a lui.Poi mi chiese scusa per il comportamento di sua madre:-Sai Candida, mia madre era convinta che tu fossi maggiorenne e che insegnassi già, è stata la delusione che tu fossi ancora unastudentessa a farle perdere così tanto il controllo, ti prego, perdonala!-Non capisco!Ha perso il controllo perché sono ancora una studentessa! Ma stai scherzando?-Non pensarci più, ora siamo qui insieme, dimentica il passato e dedichiamoci al nostro futuro!I suoi abbracci, le sue parole, mi davano una forza indescrivibile, facevano pulsare il mio cuore , mi sentivo viva per la prima volta, più passavano i giorni, più gli volevo bene e, con questa carica ci mettemmo subito alla ricerca di un lavoro, anche perché i soldi stavano finendo.Quel bel sogno però durò pochissimo! Infatti solo dopo tre mesi ebbi l’amara delusione che insieme ai soldi, anche quell’idillio o scena d’amore, fu trafitto da un’ episodio che ne segnò la fine.Fabio aveva da poco trovato lavoro presso un ristorante ed io presso una fabbrica, (la FIAT) dove facevo i turni di notte poiché non mi permettevano di entrare di giorno a causa degli scioperi in atto.Che confusione! Agitazioni e rivendicazioni operaie! Movimenti studenteschi! Scioperi ad oltranza! Erano insomma proteste che avevano tutte le sembianze di vere e proprie guerriglie, con feriti, arresti, tutto per me era nuovo e pazzesco ma soprattutto la paura faceva diminuire in me la speranza di guardare al futuro e raggiungere gli obiettivi che mi ero prefissata.Inoltre come ho già accennato, i soldi che mia madre mi aveva dato, erano finiti e Fabio fu costretto pure a licenziarsi per disporre della liquidazione e pagare i quindici giorni di pensione arretrati.Non era più il caso di rimanere in quella pensione troppo cara, per cui chiedemmo ospitalità a degli amici che non trovarono alcuna difficoltà poiché loro si dovevano assentare per una settimana, in occasione delle feste Pasquali.