VIVERE

3° CAPITOLO


 
PARTE IVNon so se fu la disperazione o l’irresponsabilità della mia giovane età a farmi prendere quella decisione, ma una cosa è certa!Oggi certamente non lo rifarei! Il dolore che dovetti sopportare fu devastante e molto più grande di me da annientarmi, sognavo il mio bambino ogni notte, e di giorno mi sentivo come un albero senza vita, avrebbero potuto percuotermi! Tagliarmi! Spezzarmi! Tanto non avrei sentito alcun dolore!Il dolore vero, me lo portavo dentro e non potevo neppure conservarlo nel mio cuore, veniva divorato giorno dopo giorno da quello squalo crudele che ormai era divenuto padrone della mia anima.Il paesino in cui ci stabilimmo era un piccolo centro in provincia di Torino, contava appena mille abitanti per cui fu molto facile inserirci e trovare subito casa, forse dire casa è un po’troppo, visto che era semplicemente un ex garage, ma per noi due andava benissimo.Per due mesi ci buttammo a capofitto in lavori di ogni genere, la sete di realizzarci era tanta che il fine giustificava ogni mezzo, e non mi vergogno ancora oggi nel dirvi che io andai a lavorare senza esitare, perfino come addetta alla distribuzione di caffè nei reparti della Olivetti, ma la sorpresa maggiore fu Fabio che si prestò come manovale muratore fino a far sanguinare le sue mani, mani che cercava di nascondermi per non farmi preoccupare.Il dolore però che mi portavo dentro per la lontananza di Manuele e le ferite non ancora rimarginate, non mi facevano apprezzare abbastanza quel suo cambiamento, ero troppo triste e gelida come il clima di quel paesino, che durante il mese di novembre diventò insopportabile.In poco tempo le strade si colmarono di neve, i tetti imbiancati sembravano essere abbracciati da tante lenzuola bianche su ognuno dei quali spiccava chiara una enorme canna che fumava ininterrottamente, quel freddo era a dir poco, glaciale, e noi non avevamo ne riscaldamento e ne tantomeno un abbigliamento adatto per poterlo fronteggiare.Impossibilitati a raggiungere il posto di lavoro, fummo costretti a licenziarci, decidemmo di cercare lavoro e casa a Torino, per cui, quelle poche volte in cui riuscivamo ad uscire, raggiungevamo con la corriera quella grande città che purtroppo distava settanta chilometri, a piedi setacciavamo tutte le industrie che ciavrebbero potuto assumere e a tarda sera, tornavamo a casa, stanchi, delusi, affamati e infreddoliti.Il lavoro, lo trovai io per prima, con la promessa che mi avrebbero assunta a inizio anno, e poiché eravamo in Dicembre, e sarei dovuta restare a casa in attesa, accarezzai subito l’idea di andarmi a riprendere Manuele,Fabio condivise con gioia quella pazza idea e senza indugiare neppure un attimo, partì immediatamente.Dopo due giorni, ebbi Manuele tra le mie braccia, mi resi subito conto però che avevamo commesso una delle più assurde pazzie, poiché accecati dal desiderio di rivederlo, non valutammo minimamente il disagio che il bambino avesse potuto trovare in quella casa fredda e spoglia.Fosse stato solo quello! Il bambino non mi riconosceva, chiedeva disperatamente di sua mamma (che era invece sua nonna), non voleva saperne di mangiare, ne di bere, ne di dormire, nonostante io ce la mettessi tutta coccolandolo teneramente tenendolo sempre al caldo di una stufa comprata apposta per il suo arrivo.Una situazione che, a me procurava angoscia e rimorso, a Fabio invece faceva perdere il controllo di se stesso e continuamente gridava: stai zitto! Mangia! Ingoia e un giorno accadde ciò che io credevo non accadesse mai più, infatti, dopo avergli inutilmente intimato più volte e con voce grossa, di non sputare l’omogeneizzato che io gli stavo imboccando, con una rabbia feroce, mi strappò di mano il cucchiaino e glielo introdusse in bocca con violenza, ma alla resistenza del bambino reagì prima colpendolo in pieno viso, poi scaraventò il piatto per terra facendolo andare in mille frantumi procurando un frastuono assordante che terrorizzò Manuele, poi rivolgendosi a me in tono imperativo disse:-Non ti azzardare a dargli più da mangiare fino a quando non te lo chiederà lui!Quello che diceva era pazzesco e non aveva alcun senso poiché Manuele aveva appena dodici mesi, ma io non l’ascoltavo, la mia mente registrava contemporaneamente il pianto del bambino e la sua voce grossa e minacciosa! Mi sentivo invasa da una febbre cocente che mi straziava l’anima! Anche lo squalo crudele che occupava la mia anima, si rifiutò di ingoiare tanto dolore! Si dimenava nel mio petto facendomi lanciare urla disumane, poi crollai a terra perdendo completamente i sensi.Non ho mai chiesto spiegazione a quel suo gesto, forse perché pensavo fosse stato inutile, conoscevo già le sue reazioni, si sarebbe difeso minimizzando l’accaduto, mi avrebbe dato dell’esagerata, mi avrebbe accusata di vittimismo, e soprattutto mi avrebbe ripetuto per l’ennesima volta che non ero abbastanza donna da essere mamma.Insomma, avrei dovuto aggiungere altro veleno a quello già ingerito, per questo preferii chiudermi a riccio, il silenzio era ormai diventato il mio scudo di difesa, reprimevo in me tutta la rabbia per non inasprirlo, le sue reazioni ormai, mi infondevano solo paura!Avremmo potuto trascorrere un Natale sereno, ci contavo proprio! Visto che avevo smarrito da tempo il significato di quella parola! Ma contrariamente al paesaggio innevato, che si prestava perfettamente come cornice di un dolce Natale, nel mio cuore c’era la “morte” accompagnata da lacrime di cristallo che scivolavano nella mia anima scalfendo e insanguinando tutte le emozioni che avevo riposto in quel grande lago che giorno dopo giorno, assomigliava molto più ad un oceano.Gennaio era ormai alle porte per cui a malincuore rimandai Manuele da mia madre, traslocammo a Torino e iniziammo a lavorare,Fabio fece di tutto per farsi perdonare, mi aiutava perfino nelle faccende domestiche, tutto sembrava essere tornato come prima, anzi, meglio di prima, e cominciai di nuovo a crederci.Dopo sei mesi, mia madre dovette riportarmi Manuele, poiché affetto da un’ernia inguinale, dovemmo operarlo d’urgenza, e fu lei, soltanto lei a rimanere accanto a Manuele per tutto il periodo di degenza in ospedale.Dopo l’intervento, mamma ci lasciò Manuele, prima, perché aveva ormai l’età giusta per l’asilo nido e poi perché era contenta di averci trovati ben sistemati, per cui partì tranquilla e molto soddisfatta.Tranquillità che provai anch’io per non averle raccontato le mie precedenti pene, e pensai che se l’avessi fatto, certamente sarei rimasta con il rimorso di averla vista partire in preda alla preoccupazione, questo non me lo sarei mai perdonata! Dopo tutto quello che stava facendo per noi, proprio non se lo meritava!Quel periodo, i giorni sembravano aver fretta, l’alba si alternava al tramonto con una velocità incredibile, forse perché le cose che avevo da fare, occupavano più spazio di quanto ne avessi a disposizione, non avevo neppure un minuto di tregua, alle ore sette portavo Manuele all’asilo nido, alle ore otto iniziavo a lavorare e smettevo alle ore diciassette, subito dopo andavo a riprendere Manuele, tornavo a casa alle diciotto e trenta, ma tra il pulire la casa, il preparare la cena e accudire Manuele, era una continua corsa con il tempo.Non avevo più neanche il tempo per pensare, tanto più che a breve mi accorsi di essere di nuovo incinta e questa fu una sorpresa dolce, quanto amara, pensavo a cosa avrebbe pensato Fabio, se non mi riteneva capace di accudire un figlio, che cosa sarebbe successo con due?Ne parlammo e mi consigliò di abortire, cosa che in un primo momento vedevo anch’io come unica soluzione, ma che poi non mi sentii assolutamente di fare! Mi ritrovai così in poco tempo sopraffatta da mille problemi, anche perché venne a convivere con noi, il fratello di Fabio che dovevo accudire e servire come fosse un secondo marito, l’unica consolazione fu, che nacque una bellissima bambina (che io chiamerò “Serena”).Anche dopo il parto continuai a condurre la mia vita ad un ritmo a dir poco stressante, senza mai prendermi un piccolo tempo necessario per scaricare le mie tensioni senza lamentarmi e mi aspettavo a dir poco, una ricompensa, un riconoscimento, un po’ di comprensione, ma mai mi sarei aspettata di essere ripagata invece, con un bombardamento bellico, fui bersagliata da una dolorosa pioggia di granate, “il TRADIMENTO”.