VIVERE

5° CAPITOLO


 PRIMA PARTE----------------L’investimento che avevamo fatto per quel maledetto ristorante si verificò una vera e propria truffa, fummo costretti ad accettare un fallimento contro la nostra volontà e per quanto io mi fossi sempre mostrata contraria a quell’acquisto, non ebbi la forza di accusare Fabio perché mi portavo dentro un fallimento molto più grande e più doloroso, quello di aver fallito come genitore e, credetemi non esiste al mondo sofferenza più grande di quella che si vive quando una figlia ti punta un dito contro e trasgredisce ogni regola al solo scopo di punirti.Prima che finisse l’anno scolastico fui costretta a ritirarla dal collegio poiché di quel confine imposto da noi e che tanto temevamo sconfinasse, aveva completamente rotto gli argini. Cominciò a tingersi i capelli di nero, a fumare,  a ribellarsi ai professori, ad assentarsi dal collegio senza permesso e in più si sottoponeva a diete drastiche tanto da non riconoscerla quando su invito della direttrice, mi presentai all’istituto per  riportarla a casa.Ancora una volta, fummo costretti a tornare al nostro paese, il peso di quel fallimento e lo stare tutti e due senza lavoro, era una vergogna troppo grande da mostrare ai nostri amici, per cui, con la delusione e la rabbia nel cuore, lasciammo Caserta e ci trasferimmo in un primo momento in due camere messe a disposizione ancora una volta da mia madre, poi trovammo una casa più grande di cui mamma si fece carico per l’affitto.Il comportamento di Serena peggiorava di giorno in giorno, i nostri rimproveri servivano solo ad inasprirla, attuava continuamente comportamenti imprevedibili, inaccettabili, manifestava la sua rabbia a livello verbale e motorio, aggrediva il padre, scappava di casa e raccontava di noi come fossimo dei mostri.Vivevo una oscura e dolorosa sensazione di incompetenza, non riuscivo a capire perché sicomportava in quel modo, non riuscivo ne acomprendere e ne a valutare quei suoi assurdi comportamenti.Mio marito riteneva il suo sistema educativo molto giusto, per cui continuava ad imporre la sua autorità ed i suoi divieti, al contrario io caddi completamente in un atteggiamento di ossessione, cominciavo a sentire addosso tutta la responsabilità dei nostri errori presenti e regressi.Di questi errori mia figlia ne portava il peso, era piena di rabbia per cui cominciò a scagliarsi con violenza inaudita anche contro di me, a volte si muniva di coltello e minacciava di ammazzarmi, costringendomi a trascorrere notti terrificanti senza poter uscire dalla camera.Piu’ trascorrevano i giorni e piu’ mi rendevo conto che  eravamo noi a produrre sofferenza in nostra figlia, lo capivo dal suo sguardo accusatorio e nello stesso tempo, implorante, ma io non ero capace di funzionare da adulta, eppure avrei dato la vita per poter  modificare il mio modo di comportarmi con lei.Purtroppo mio marito non la pensava allo stesso modo e poiché era lui il più forte, io continuavo ad assecondarlo, riversando in questo modo su Serena  tutto il nostro vissuto, le ansie, le paure, il nostro rapporto difficile, la sofferenza vissuta con la nostra famiglia di origine ed in quel periodo, anche lo stress dopo faticose giornate di lavoro.Un lavoro massacrante a cui non ero abituata ma mi ci dedicavo con tutta me stessa, un lavoro che io  consideravo come la manna caduta dal cielo poiché era arrivato in un momento di vero disagio economico.Fabio si era aggiudicato l’appalto di un dopolavoro ferroviario, e poiché non potevamo permetterci il lusso di pagare il personale, lo gestivamo da soli, ci alzavamo alle tre del mattino per servire i pendolari del primo treno che partiva per Roma, la chiusura era a mezzanotte, e mentre mio marito rimaneva li fisso, io andavo su e giù, per preparare il pranzo, sbrigare qualche faccenda di casa e dopo aver accudito serena che tornava da scuola, ritornavo al  bar per permettere a Fabio di riposare qualche ora, solo verso le otto di sera facevo rientro definitivamente.Credetemi ero stanchissima e chiedevo a Serena solo una briciola di comprensione, ma era chiaro che pretendevo troppo, volevo raccogliere i frutti che non avevo seminato, per cui, non solo non mi comprendeva ma faceva di tutto per ferirmi, ostacolarmi, creandomi  continuamente problemi di ogni genere.Erano problemi che non potevo e non sapevo affrontare da sola, ero costretta a chiedere  l’intervento del padre attirandomi così tutta la sua disapprovazione ed il suo odio.Non eravamo stati capaci di allenarla a reggere l’impatto con il mondo  esterno,  con  il  grande mercato che è la società,  a volte molto  fredda e spietata, di una voracità  irrefrenabile simile a quello squalo silenzioso che mi portavo nel mio  profondo dell’anima  e di cui Serena ne  era già diventata preda.Come potevo io, stare dalla sua parte, se mi riferivano che per andare a scuola, non prendeva l’autobus ma accettava passaggi di persone sconosciute!  Che un certo  ragazzo malavitoso le offriva del fumo cattivo! Dio solo sa quante volte ho provato a parlarle senza l’intervento del padre! ma tutte le volte ne uscivo sconfitta.Erano cose che purtroppo, con i nostri rigidi schemi mentali e  con  l’educazione ricevuta, non potevamo e non volevamo  assolutamente accettare!Fabio però, quando capì  che  la sua bambina gli stava scivolando  dalle mani e che aveva perso completamente la giusta direzione, iniziò a cambiare atteggiamento, d’altronde le voleva un bene dell’anima! Era solo incapace di liberarsi dal retaggio di quella cultura che aveva ereditato.Iniziò a parlarle con tutto l’amore e con tutta l’ansia che un papà possa  avere, mettendola in guardia sulla vera identità di quei ragazzi, che erano drogati e che appartenevano a clan camorristici, ma le ferite che Serena aveva  sperimentate negli anni addietro la spingevano a costruire barriere all’ascolto.Serena non solo si dimostrò sorda a quegli avvertimenti, ma riferì a quei ragazzi tutto ciò che il padre aveva detto su di loro provocando in essi una reazione omicida, si proprio così, infatti dopo pochi giorni, attentarono alla vita di Fabio colpendolo alle spalle con spranghe di ferro lasciandolo tramortito a terra.Fabio si salvò per miracolo, e fu una sorpresa anche per i medici,  poiché le ferite riportate alla testa erano tutte mortali.Seppi della tragedia solo a tarda sera, cioè quando l’ambulanza lo riaccompagnò a casa, io incredula dell’accaduto, non facevo altro che chiedere cosa  fosse successo, ma Fabio non sapeva rispondermi, non immaginava proprio il motivo di quell’attentato, solo il giorno dopo,  persone che avevano assistito all’episodio, ci riferirono chi erano stati gli artefici.Con il cuore in gola e con l’animo ferito, mi rivolsi a Serena dicendole:Hai visto chi sono le persone che frequenti?  Con uno sguardo disumano e gelido rispose:Bene! Così la  prossima volta si farà gli affari suoi!Fabio che aveva un posacenere a portata di mano, nell’udire tanta cattiveria, glielo lanciò contro con tutta la rabbia e il dolore che riuscì a provare in quel momento.Neppure io potevo credere alle mie orecchie, e fu la prima volta che trovai giustificata la reazione di mio marito, anche se lei andò di filato in caserma a denunciare il padre mostrando il livido che il posacenere le aveva lasciato sul braccio.La denuncia non ebbe alcun seguito, il maresciallo aveva capito quanto fosse delicata la situazione ed archiviò la cosa, ma Serena quella sera non fece ritorno a casa lasciandoci nello sconforto più totale, fu una notte interminabile accompagnata da una sofferenza indescrivibile, con gli occhi ci chiedevamo: Dove sarà? Con chi sarà? Perché tanto dolore?  Dio ci avrebbe permesso di rivederla? O si sarebbe vendicato per i nostri errori?Non potevamo neppure ritornare in caserma,era una minorenne!  L’avrebbero consegnata ai servizi sociali!  E noi non volevamo questo!Volevamo riaverla a casa per poterla riconquistare! Non potevamo perderla proprio adesso che stavamo cercando di ricucire le trame spezzate! Proprio no!Forse i nostri metodi non erano stati quelli giusti fino ad allora, ma noi volevamo soltanto educarla spingendola ad interiorizzare le regole del contesto sociale, accrescere in lei il sentimento etico, affinché un giorno potesse valorizzasse l’autonomia personale e la capacità di decidere.Quanta dolorosa impotenza  quella notte!Io svenivo continuamente e Fabio nonostante il dolore fisico alla testa e quello morale nel cuore, mi stava vicino e mi rassicurava dicendomi che sarebbe sicuramente tornata.Infatti a casa ci ritornò ma non di sua volontà, fu una segnalazione telefonica a farci scoprire dove era e con l’aiuto dei carabinieri riuscimmo contro la sua volontà, a riaverla.I giorni a seguire li trascorremmo con assoluto disagio, ci sforzavamo di dialogare stando molto attenti a non inasprirla, a non opprimerla, con la massima delicatezza mai avuta prima,  facevamo continuamente riferimento alla nostra esperienza personale interiorizzata, non volevamo apparire insicuri e impotenti, soprattutto volevamo che capisse bene quella realtà fuori della famiglia, vissuta da noi stessi come minacciosa e poco rassicurante, ma ahimè!  anche questa volta, inconsapevolmente producemmo in lei l’effetto contrario tanto che in poco tempo si diede in pasto a quel mondo ostile, lasciandoci feriti nel nostro amor proprio, nelle nostre aspettative affettive ed educative.