LE_ALI_NEL_CUORE

La lepre d'argento - 1 parte


  (immagini reperite nel web - il copyright è dei rispettivi autori - ho fatto solo la cornice)--LA LEPRE D'ARGENTO Un principe chiamato Aquilino, che aveva vent'anni e voleva condurre in moglie la più bella principessa del mondo. Pubblicò un bando di nozze e giunsero centinaia di ritratti, ch'egli fece esporre nelle gallerie del castello; e là meditava sulle belle sorridenti dalle grandi cornici dorate. La scelta cadde su Nazzarena, principessa di Bikarìa, e per mezzo ad ambasciatori furono concertate le nozze. Nel castello di Aquilino si fecero grandi preparativi per la cerimonia e all'alba del giorno sospirato il principe era già sulla torre più alta, alle vedette. Il corteo doveva giungere tra poco; tra poco avrebbe visto per la prima volta quella bellezza famosa. Ma il corteo non giungeva. Si vide apparire una sola carrozza e ne scese un vecchietto gobbuto e barbuto. "Io sono il Re di Bikarìa. E questa è la mia figliuola Nazzarena che chiedete per moglie" La principessa era nana, pallida, vizza, per nulla rassomigliante al ritratto della scelta. Il vecchietto se n'avvide. "La stanchezza del viaggio e l'emozione l'hanno sfinita. Si rimetterà e la ritroverete bella" Aquilino voleva disdire le nozze, ma la parola era data e bisognava mantenerla. Chiese che la cerimonia fosse rimandata di due giorni e ospitò il vecchio e la figlia nel castello. Al mattino seguente, per distrarsi dallo sconcerto e dalla delusione, uscì a caccia, solo, con una bella spingarda d'oro, costellata di gemme. Camminò per campi e prati, giunse in una foresta millenaria. Attraverso un sentiero gli apparve una lepre d'argento che brucava l'erba e lo guardava fisso, per nulla spaurita di lui. Il principe puntò l'arma e fece fuoco. Ma il fumo del fuoco si dissipò e la lepre riapparve al medesimo posto, incolume e tranquilla. Il principe s'avanzò. La lepre fuggì, si arrestò dopo un tratto, fissandolo coi suoi calmi occhi umani. Aquilino sparò ancora. Il fumo si dileguò e la lepre riapparve ancora calma ed intatta, seduta sulle sue zampe, un orecchio su e l'altro giù, con gli occhi supplichevoli, col muso palpitante, proteso verso di lui. Ma come il principe gettò l'arme e s'avanzò, essa dié un balzo e disparve fra i tronchi degli abeti. Aquilino restò perplesso. Si trattava di un malefizio. S'appoggiò al tronco d'un albero gigantesco, ripensando lo sguardo dolce della vittima invulnerabile. E gli parve di sentire dietro di sé, dall'interno del tronco, una eco lontana di musiche e di voci; si volse, fece il giro dell'albero: nessuno. Si riappoggiò al tronco. E riudì il suono e le voci. Picchiò la corteccia col pugno impaziente. La corteccia cigolò, s'aprì a due battenti, e al principe sbigottito apparve una scala abbagliante. Egli salì i primi scalini, trasognato, udì il colpo della porta che si chiudeva. Il palazzo era immenso. Le scale, gli atrii, i corridoi, le logge, le sale si succedevano senza fine, ricche di marmi, di porfido, di diaspro, di gemme. Aquilino s'avanzava trasognato. Si faceva notte e nessuno appariva nel palazzo incantato. Solo due mani lo precedevano: l'una recando una lucerna, l'altra facendogli segno di seguirla. Giunsero così in una sala vastissima da pranzo; Aquilino si sedette a tavola. E le due mani cominciarono a recar cibi e vini prelibati. Egli guardava quelle due mani isolate, volanti, cercava di afferrarle quando le aveva vicine, ma quelle deponevano i piatti e guizzavano via come farfalle. Mangiò, poi si sentì prendere dal sonno, s'alzò per andare a dormire. Le due mani lo precedettero in una camera di damasco vermiglio, gli fecero un gesto d'addio e d'augurio, disparvero. Egli si cacciò fra le lenzuola fini, e si addormentò. Sognava di riveder la principessa Nazzarena, non quella condotta dal gobbo barbuto, ma quale gli era apparsa nel quadro, bellissima e bionda. -(fiaba di Guido Gozzano)