Creato da: rosadelvento il 12/02/2005
Si dice che ognuno di noi emana un profumo e viene percepito solo da un’altra persona ... una soltanto. Cosa sei? Forse sei vento o solo un pensiero. Qualunque cosa tu sia, sei la parte migliore di me ...

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Messaggi di Settembre 2018

 

citazione 36

Post n°738 pubblicato il 07 Settembre 2018 da rosadelvento
 

frasi-e-citazioni-37

 

 

(immagine creata da me)

-


 cuore-piccolo



.....vedere quel petalo di rosa cadere...sentire la sofferenza della rosa per aver perso qualcosa che gli apparteneva...che forse qualcuno ha fatto in modo di spezzare....di staccarlo da essa....che strano vedere tanta sofferenza per un solo petalo...ma se poi penso che ci sarà un petalo...ed un altro petalo ed un altro ancora...prima o poi quella rosa rimarrà spoglia della sua vita....sarà triste...soffrirà per colpa di qualcuno che ha deciso per lei come vivere....strano che al giorno d'oggi qualcuno possa decidere per la vita di altri... 

 


(Anonimo)

 
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citazione 35

Post n°737 pubblicato il 05 Settembre 2018 da rosadelvento
 

frasi-e-citazioni-36

 

 

cuore-piccolo



Avere un posto
nel cuore di qualcuno
significa non essere mai soli.
 


(Romano Battaglia)

 

(dal web - immagine creata da me - il copyright delle immagini base rimane dei rispettivi autori)

 

BUONA GIORNATA A TUTTI

 

 
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citazione 34

Post n°736 pubblicato il 04 Settembre 2018 da rosadelvento
 

frasi-e-citazioni-35

 

 

cuore-piccolo



L'amicizia è un sentimento profondo, come l'amore, certo con sfaccettature diverse, completamente diverse, ma è un sentimento. E' un sentimento che lega due o più persone, quel feeling....diciamo speciale che dura nel tempo e non si perde, che hanno gli stessi pensieri, magari gli stessi principi e gli stessi valori nella vita. Non sto parlando di certo di quelle amicizie che vengono e vanno a loro piacimento....che alla fine non ti danno e non ti lasciano proprio niente....non di queste, ma di quelle amicizie, che pur essendo lontani, legano, alle volte capita di avere gli stessi pensieri, magari vengono espressi in maniere diverse, con linguaggi diversi....ma sono sempre gli stessi pensieri.

 

(pensieri miei)

 

 
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La leggenda del vischio

Post n°734 pubblicato il 01 Settembre 2018 da rosadelvento
 

pattyf56-il-vishio

 

 

LA LEGGENDA DEL VISCHIO
(di I. Drago - trovata nel web) - immagine creata da me -

 

Il vecchio mercante si girava e rigirava, senza poter prendere sonno.
Gli affari, quel giorno, erano andati benissimo: comprando a dieci, vendendo a venti, moneta su moneta, aveva fatto un bel mucchietto di denari.
Si levò. Li volle contare. Erano monete passate chissà in quante mani, guadagnate chissà con quanta fatica. Ma quelle mani e quella fatica a lui non dicevano niente.
Il mercante non poteva dormire. Uscì di casa e vide gente che andava da tutte le parti verso lo stesso luogo. Preva che tutti si fossero passati la parola per partecipare a una festa.
Qualche mano si tese verso di lui. Qualche voce si levò: - Fratello, - gli gridarono - non vieni?
Fratello, a lui fratello? Ma che erano questi matti? Lui non aveva fratelli. Era un mercante; e per lui non c'erano che clienti: chi comprava e chi vendeva.
Ma dove andavano?
Si mosse un po' curioso. Si unì a un gruppo di vecchi e di fanciulli.
Fratello! Oh, certo, sarebbe stato anche bello avere tanti fratelli! Ma lui cuore gli sussurrava che non poteva essere loro fratello. Quante volte li aveva ingannati? Comprava a dieci e rivendeva a venti. E rubava sul peso. E piangeva miseria per vender più caro. E speculava sul bisogno dei poveri. E mai la sua mano si apriva per donare.
No, lui non poteva essere fratello a quella povera gente che aveva sempre sfruttata, ingannata, tradita.
Eppure tutti gli camminavano a fianco. Ed era giunto, con loro, davanti alla Grotta di Betlemme. Ora li vedeva entrare e nessuno era a mani vuote; anche i poveri avevano qualcosa. E lui non aveva niente, lui che era ricco.
Entrò nella grotta insieme con gli altri; s'inginocchio insieme agli altri.
- Signore, - esclamò - ho trattato male i miei fratelli. Perdonami.
E proruppe in pianto.
Appoggiato a un albero, davanti alla grotta, il mercante continuò a piangere, e il suo cuore cambiò.
Alla prima luce dell'alba quelle lacrime splendettero come perle, in mezzo a due foglioline.
Era nato il vischio.

 
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Le stelle d'oro

Post n°733 pubblicato il 01 Settembre 2018 da rosadelvento
 

Le-stelle-d-oro

 

 


LE STELLE D'ORO
(di J. e W. Grimm - trovata nel web)


Era rimasta sola al mondo. L'avevano messa sopra una strada dicendole: - Raccomandati al cielo, povera bimba!
E lei, la piccola orfana, s'era raccomandata al cielo! Aveva giunte le manine, volto gli occhi su, su in alto, e piangendo aveva esclamato: - Stelle d'oro, aiutatemi voi!
E girava il mondo così, stendendo la manina alla pietà di quelli che erano meno infelici di lei. L'aiutavano tutti, è vero, ma era una povera vita, la sua: una vita randagia, senza affetti e senza conforti.
Un giorno incontrò un povero vecchio cadente; l'orfanella mangiava avidamente un pezzo di pane che una brava donna le aveva appena dato.
- Ho fame - sospirò il vecchio fissando con desiderio infinito il pezzo di pane nelle mani della bimba; - ho tanta fame!
- Eccovi, nonno, il mio pane, mangiate.
- Ma, e tu?
- Ne cercherò dell'altro.
Il vecchio allora la benedisse: - Oh, se le stelle piovessero su te che hai un cuore così generoso!
Un altro giorno la poverina se ne andava dalla città alla campagna vicina. trovò per via una fanciulla che batteva i denti dal freddo; non aveva da ricoprirsi che la pura camicia.
- Hai freddo? - le domandò l'orfanella.
- Sì, - rispose l'altra - ma non ho neppure un vestito.
- Eccoti il mio: io non lo soffro il freddo, e se anche lo sento, mi rende un po' meno pigra.
- Tu sei una stella caduta da lassù; oh se potessi, vorrei... vorrei che tutte le altre stelle ti cadessero in grembo come pioggia d'oro.
E si divisero. L'orfanella abbandonata continuò la strada che la conduceva in campagna, presso una capanna dove pensava di riposare la notte, e l'altra corse via felice dell'abitino che la riparava così bene.
La notte cadeva adagio adagio e le stelle del firmamento si accendevano una dopo l'altra come punti d'oro luminosi. L'orfanella le guardava e sorrideva al ricordo dell'augurio del vecchio e di quello uguale della bimba cui aveva regalato generosamente il suo vestito. Aveva freddo anche lei, ora; ma si consolava perché la cascina a cui era diretta non era lontana; già ne aveva riconosciuti i contorni.
- Ah sì! - pensava: - se le stelle piovessero oro su di me ne raccoglierei tanto tanto e farei poi tante case grandi grandi per ospitare i bambini abbandonati. Se le stelle di lassù piovessero oro, vorrei consolare tutti quelli che soffrono; sfamerei gli affamati, vestirei i nudi... Mi vestirei - disse guardandosi con un sorriso; - io mi vestirei perché, davvero, ho freddo.
i sentì nell'aria un canto di voci angeliche, poi il tintinnio armonioso di oro smosso. La bimba guardò in alto: subito cadde in ginocchio e tese la camicina. Le stelle si staccavano dal cielo, e , cambiate in monete d'oro, cadevano a migliaia attorno a quell'angioletto che, sorridendo, le raccoglieva felice:
- Sì, sì! Farò fare, sì, farò fare uno, no... tanti bei palazzi grandi per gli abbandonati e sarò il conforto di tutti quelli che soffrono!
Dal cielo, il soave canto di voci di paradiso ripeteva: - Benedetta! Benedetta!

 

 
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Il Natale di Martin

Post n°732 pubblicato il 01 Settembre 2018 da rosadelvento
 

pattyf56-Martin-ciabattino-e-i-3-agnellini

 

 

IL NATALE DI MARTIN
(di Leone Tolstoj - trovata nel web) - immagine creata da me -


In una certa città viveva un ciabattino, di nome Martin Avdeic. Lavorava in una stanzetta in un seminterrato, con una finestra che guardava sulla strada. Da questa poteva vedere soltanto i piedi delle persone che passavano, ma ne riconosceva molte dalle scarpe, che aveva riparato lui stesso. Aveva sempre molto da fare, perché lavorava bene, usava materiali di buona qualità e per di più non si faceva pagare troppo.
 Anni prima, gli erano morti la moglie e i figli e Martin si era disperato al punto di rimproverare Dio. Poi un giorno, un vecchio del suo villaggio natale, che era diventato un pellegrino e aveva fama di santo, andò a trovarlo. E Martin gli aprì il suo cuore.
- Non ho più desiderio di vivere - gli confessò. - Non ho più speranza.
 Il vegliardo rispose: « La tua disperazione è dovuta al fatto che vuoi vivere solo per la tua felicità. Leggi il Vangelo e saprai come il Signore vorrebbe che tu vivessi.
 Martin si comprò una Bibbia. In un primo tempo aveva deciso di leggerla soltanto nei giorni di festa ma, una volta cominciata la lettura, se ne sentì talmente rincuorato che la lesse ogni giorno.
 E cosi accadde che una sera, nel Vangelo di Luca, Martin arrivò al brano in cui un ricco fariseo invitò il Signore in casa sua. Una donna, che pure era una peccatrice, venne a ungere i piedi del Signore e a lavarli con le sue lacrime. Il Signore disse al fariseo: «Vedi questa donna? Sono entrato nella tua casa e non mi hai dato acqua per i piedi. Questa invece con le lacrime ha lavato i miei piedi e con i suoi capelli li ha asciugati... Non hai unto con olio il mio capo, questa invece, con unguento profumato ha unto i miei piedi.
 Martin rifletté. Doveva essere come me quel fariseo. Se il Signore venisse da me, dovrei comportarmi cosi? Poi posò il capo sulle braccia e si addormentò.
 All'improvviso udì una voce e si svegliò di soprassalto. Non c'era nessuno. Ma senti distintamente queste parole: - Martin! Guarda fuori in strada domani, perché io verrò.
 L'indomani mattina Martin si alzò prima dell'alba, accese il fuoco e preparò la zuppa di cavoli e la farinata di avena. Poi si mise il grembiule e si sedette a lavorare accanto alla finestra. Ma ripensava alla voce udita la notte precedente e così, più che lavorare, continuava a guardare in strada. Ogni volta che vedeva passare qualcuno con scarpe che non conosceva, sollevava lo sguardo per vedergli il viso. Passò un facchino, poi un acquaiolo. E poi un vecchio di nome Stepanic, che lavorava per un commerciante del quartiere, cominciò a spalare la neve davanti alla finestra di Martin che lo vide e continuò il suo lavoro.
 Dopo aver dato una dozzina di punti, guardò fuori di nuovo. Stepanic aveva appoggiato la pala al muro e stava o riposando o tentando di riscaldarsi. Martin usci sulla soglia e gli fece un cenno. - Entra· disse - vieni a scaldarti. Devi avere un gran freddo.
 - Che Dio ti benedica!-  rispose Stepanic. Entrò, scuotendosi di dosso la neve e si strofinò ben bene le scarpe al punto che barcollò e per poco non cadde.
- Non è niente - gli disse Martin. - Siediti e prendi un po' di tè.
 Riempi due boccali e ne porse uno all'ospite. Stepanic bevve d'un fiato. Era chiaro che ne avrebbe gradito un altro po'. Martin gli riempi di nuovo il bicchiere. Mentre bevevano, Martin continuava a guardar fuori della finestra.
 - Stai aspettando qualcuno? - gli chiese il visitatore.
 - Ieri sera-  rispose Martin - stavo leggendo di quando Cristo andò in casa di un fariseo che non lo accolse coi dovuti onori. Supponi che mi succeda qualcosa di simile. Cosa non farei per accoglierlo! Poi, mentre sonnecchiavo, ho udito qualcuno mormorare: "Guarda in strada domani, perché io verrò".
 Mentre Stepanic ascoltava, le lacrime gli rigavano le guance. - Grazie, Martin Avdeic. Mi hai dato conforto per l'anima e per il corpo.
 Stepanic se ne andò e Martin si sedette a cucire uno stivale. Mentre guardava fuori della finestra, una donna con scarpe da contadina passò di lì e si fermò accanto al muro. Martin vide che era vestita miseramente e aveva un bambino fra le braccia. Volgendo la schiena al vento, tentava di riparare il piccolo coi propri indumenti, pur avendo indosso solo una logora veste estiva. Martin uscì e la invitò a entrare. Una volta in casa, le offrì un po' di pane e della zuppa. - Mangia, mia cara, e riscaldati -  le disse.
 Mangiando, la donna gli disse chi era: -  Sono la moglie di un soldato. Hanno mandato mio marito lontano otto mesi fa e non ne ho saputo più nulla. Non sono riuscita a trovare lavoro e ho dovuto vendere tutto quel che avevo per mangiare. Ieri ho portato al monte dei pegni il mio ultimo scialle.
 Martin andò a prendere un vecchio mantello. - Ecco - disse. -  È un po' liso ma basterà per avvolgere il piccolo.
 La donna, prendendolo, scoppiò in lacrime. - Che il Signore ti benedica.
 -  Prendi - disse Martin porgendole del denaro per disimpegnare lo scialle. Poi l’accompagnò alla porta.
 Martin tornò a sedersi e a lavorare. Ogni volta che un'ombra cadeva sulla finestra, sollevava lo sguardo per vedere chi passava. Dopo un po', vide una donna che vendeva mete da un paniere. Sulla schiena portava un sacco pesante che voleva spostare da una spalla all'altra. Mentre posava il paniere su un paracarro, un ragazzo con un berretto sdrucito passò di corsa, prese una mela e cercò di svignarsela. Ma la vecchia lo afferrò per i capelli. Il ragazzo si mise a strillare e la donna a sgridarlo aspramente.
 Martin corse fuori. La donna minacciava di portare il ragazzo alla polizia. - Lascialo andare, nonnina - disse Martin. - Perdonalo, per amor di Cristo.
 La vecchia lasciò il ragazzo. - Chiedi perdono alla nonnina - gli ingiunse allora Martin.
 Il ragazzo si mise a piangere e a scusarsi. Martin prese una mela dal paniere e la diede al ragazzo dicendo: - Te la pagherò io, nonnina.
 - Questo mascalzoncello meriterebbe di essere frustato - disse la vecchia.
 - Oh, nonnina - fece Martin - se lui dovesse essere frustato per aver rubato una mela, cosa si dovrebbe fare a noi per tutti i nostri peccati? Dio ci comanda di perdonare, altrimenti non saremo perdonati. E dobbiamo perdonare soprattutto a un giovane sconsiderato.
- Sarà anche vero - disse la vecchia - ma stanno diventando terribilmente viziati.
 Mentre stava per rimettersi il sacco sulla schiena, il ragazzo sì fece avanti. - Lascia che te lo porti io, nonna. Faccio la tua stessa strada.
 La donna allora mise il sacco sulle spalle del ragazzo e si allontanarono insieme.
 Martin tornò a lavorare. Ma si era fatto buio e non riusciva più a infilare l'ago nei buchi del cuoio. Raccolse i suoi arnesi, spazzò via i ritagli di pelle dal pavimento e posò una lampada sul tavolo. Poi prese la Bibbia dallo scaffale.
 Voleva aprire il libro alla pagina che aveva segnato, ma si apri invece in un altro punto. Poi, udendo dei passi, Martin si voltò. Una voce gli sussurrò all'orecchio: - Martin, non mi riconosci?
 - Chi sei? - chiese Martin.
- Sono io - disse la voce. E da un angolo buio della stanza uscì Stepanic, che sorrise e poi svanì come una nuvola.
 - Sono io - disse di nuovo la voce. E apparve la donna col bambino in braccio. Sorrise. Anche il piccolo rise. Poi scomparvero.
 - Sono io - ancora una volta la voce. La vecchia e il ragazzo con la mela apparvero a loro volta, sorrisero e poi svanirono.
 Martin si sentiva leggero e felice. Prese a leggere il Vangelo là dove si era aperto il libro. In cima alla pagina lesse: Ebbi fame e mi deste da mangiare, ebbi sete e mi dissetaste, fui forestiero e mi accoglieste. In fondo alla pagina lesse: Quanto avete fatto a uno dei più piccoli dei miei fratelli, l’avete fatto a me.
 Così Martin comprese che il Salvatore era davvero venuto da lui quel giorno e che lui aveva saputo accoglierlo.

 

 
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Natale al fronte

Post n°731 pubblicato il 01 Settembre 2018 da rosadelvento
 

natale-al-fronte

 

 

NATALE AL FRONTE
(trovata nel web - autore anonimo)

 

L'amore vince l'odio

Era il 1917, uno dei terribili anni della prima guerra mondiale. Sulle trincee spirava un vento gelido e c'era tanta neve. I soldati si muovevano cauti, la notte era senza luna, ma serena e tutti avevano paura di incontrare delle pattuglie nemiche, perché il nemico era lì davanti a loro.
Ad un tratto un caporale disse sotto voce: «è nato!».
«Eh?» fece un altro senza afferrare l'allusione. «Deve essere la mezzanotte passata perbacco. La notte di Natale! Al mio paese mia moglie e mia madre saranno già in chiesa».
Un altro compagno osservò: «Guardate là, c'è una grotta. Andiamo dentro un momento, saremo riparati dal vento».
Entrarono nella grotta e il più giovane del gruppo si tolse l'elmetto, si sfilò il passamontagna e si inginocchiò in un cantuccio. Il caporale rimase all'entrata e voltò le spalle all'interno con fare superiore: ma era perché aveva gli occhi pieni di lacrime.
Il più vecchio del gruppo si tolse i guantoni, raccolse un po' di terra umida e manipolandola qualche minuto le diede la forma approssimativa di un bambinello da presepio. Poi stese il fazzoletto nell'elmetto del compagno e vi depose il Gesù bambino. Si scorgeva appena nella fioca luce delle stelle riflessa dalla neve.
Il caporale trascurando ogni prudenza tolse di tasca un mozzicone di candela, l'accese e la pose vicino all'insolita culla. Poi sottovoce uno cominciò a recitare: "Padre nostro che sei nei cieli...". Tutti continuarono e avevano il cuore grosso da far male.
Il raccoglimento durò ancora dopo la preghiera. Nessuno voleva spezzare l'atmosfera che si era creata.
Improvvisamente alle loro spalle una voce disse.«Fröhliche Weihnachten» (Buon Natale).
Una pattuglia austriaca li aveva colti alla sprovvista. Con le armi puntate stavano all'imboccatura della grotta. Mentre i soldati scattavano in piedi la voce ripeté con dolcezza: «Buon Natale ».
I nemici abbassarono le armi e guardarono la povera culla. Erano tre giovani e avevano bisogno anche loro di un po' di presepio, anche se povero. Si guardarono confusi, poi si segnarono e cominciarono a cantare «Stille Nacht», la bella melodia natalizia che tutti conoscevano.
Tutti si unirono al coro anche se si cantava in lingue diverse. Poi quando si spense l'ultima nota del canto il caporale si avvicinò a uno dei giovani nemici e gli tese la mano che l'altro strinse con calore. Tutti fecero altrettanto, augurandosi il Buon Natale. Poi uno degli austriaci trasse da dentro il pastrano una piccola scarpina da neonato. Doveva essere quella del suo bambino e se la teneva sul cuore, e dopo averla baciata la depose accanto al Bambino Gesù rimanendo per alcuni attimi in preghiera.
Poi si voltò di scatto e seguito dai compagni si allontanò voltando le spalle, senza timore, e scomparve nella notte di quel gelido Natale di guerra.

 

 
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A Nazaret

Post n°730 pubblicato il 01 Settembre 2018 da rosadelvento
 

a-nazaret

 

 

A NAZARET
(di S. Lagerlöf - racconto trovato nel web)


Un giorno Gesù, appena di cinque anni, sedeva sulla soglia di casa, a Nazaret, intento a formare degli uccellini da un blocco di argilla che gli aveva regalato il vasaio di fronte.
Sui gradini della casa vicina sedeva un bambino di nome Giuda; tutto graffi e lividure e i vestiti a brandelli per le continue risse con altri ragazzi di strada. In quel momento era tranquillo, non tormentava nessuno, né s'accapigliava con i compagni, ma lavorava anche lui a un blocchetto di argilla.
A mano a mano che i due bimbi facevano i loro uccellini li mettevano in cerchio dinanzi a sé.
Giuda, che di tratto in tratto guardava furtivo il compagno per vedere se facesse più uccelli di lui e più belli, gettò un grido di meraviglia quando vide che Gesù tingeva i suoi uccellini con il raggio di sole colto dalle pozze d'acqua.
Anche lui allora immerse la mano nell'acqua luminosa. Ma il raggio di sole non si lasciò pigliare. Filava via dalle sue mani per quanto egli si affaticasse a muovere lesto le dita tozze per acchiapparlo, e ai suoi uccelli non poté dare neppure un pochino di colore.
- Aspetta, Giuda - esclamò Gesù - vengo io a colorire i tuoi uccellini.
- No, non devi toccarli; stanno bene così! - gridò Giuda; poi, in un impeto d'ira calcò il piede suoi suoi uccelli riducendoli l'uno dopo l'altro in un ammasso di fango.
Quando tutti gli uccelli furono distrutti si avvicinò a Gesù, che stava accarezzando i suoi, sfavillanti come pietre preziose. Giuda li osservò un momento in silenzio, poi alzò il piede e ne pestò uno.
 - Giuda, che fai? Non sai che sono vivi e possono cantare?
 Ma Giuda rideva e ne calpestò un altro, poi un altro, un altro ancora.
Gesù si guardò attorno cercando un soccorso. Giuda era di lato, robusto ed egli non aveva la forza di fermarlo. Guardò la madre; non era lontana, ma prima che fosse venuta Giuda avrebbe distrutto tutti gli uccelli.
Gli si riempirono gli occhi di lacrime. Quattro erano già ridotti in mota; ne rimanevano tre ancora.
Gesù si struggeva che i suoi uccellini stessero quieti e si lasciassero calpestare senza fuggire alla rovina. Allora batté le mani per destarli e gridò: - Volate! Volate!
I tre uccelletti cominciarono a muovere le ali, le batterono timorosi, poi presero il volo fino all'orlo del tetto dove si sentirono in salvo.

 

 
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