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CIBO E FESTE RELIGIOSE di Teresa Ramaioli


CIBO E FESTE RELIGIOSE  di Teresa Ramaioli 
iltuonoilgrillo il 30/12/14 alle 12:47 via WEBCIBO E FESTE RELIGIOSE------In occasione delle grandi feste si preparano piatti di solito assenti dalle nostre tavole durante il resto dell’anno. Le feste esistono fin dall’inizio dell’umanità e nel primo capitolo del Genesi, al versetto 14, si può leggere: “…Dio disse: «Ci siano fonti di luce nel firmamento del cielo, per separare il giorno dalla notte; ci siano segni per le feste, per i giorni e per gli anni…»”. Il termine indica la “gioia pubblica”, dal latino festum e dall’espressione dies festus, che interrompe la sequenza delle normali attività quotidiane. Questi momenti sono molto importanti non solo perché si sta insieme ma anche perché la preparazione di un certo tipo di cibo, presentato sulla tavola assieme ad altri e consumato in tempi prestabiliti, svolge un ruolo importante, addirittura simbolico, nel ricordare il significato che sta dietro al pasto. Il cibo rappresenta senza dubbio qualcosa di più e il legame tra divino e cibo è innegabile. Ma quale rapporto lega la religione al cibo? Nessuna religione al mondo trascura l’aspetto gastronomico. La tavola contribuisce a mantenere viva la cultura di un popolo e la religione, a sua volta, ne orienta le scelte alimentari. Tutte le religioni, infatti, hanno sentito da sempre, la necessità di elaborare delle regole, una sorta di “teologia culinaria” senza la quale il rapporto con il divino era monco di qualcosa. Culture che in maniera diversa, più o meno elaborata, sono arrivate fino a noi. Così un ebreo e un palestinese mangiano falafel, (piatto costituito da polpette fritte a base di fave o ceci tritati con cipolla, aglio e coriandolo) un libanese e un irakeno mangiano involtini di vite, un indiano mangia la crema di lenticchie e le stesse attenzioni sono nella zuppa del marocchino e nella minestra dell’israeliano, mentre le mandorle profumate con l’acqua di fiori d’arancio riempiono le corna di gazzella del mussulmano. E il menù cristiano? Non è forse vero, per esempio, che la grande solennità pasquale difficilmente dimentica le uova, perché l’uovo è chiaro simbolo della vita contenuta in esso e quindi segno della resurrezione di Cristo, o ancora, quando nei Salmi leggiamo: «Il vino che allieta il cuore degli uomini; l’olio che fa brillare il suo volto e il pane che sostiene il suo vigore», quasi a parlare di una “triade mediterranea”. Così tutti i piatti per le feste coniugano la festa religiosa con il territorio dove essa si celebra, e ogni comunità locale ha tracciato, nei secoli, la sua storia e la sua identità attraverso la creazione di determinati cibi che sono anche testimonianza delle varie tradizioni gastronomiche legate al calendario stagionale e a quello liturgico o alle numerose usanze popolari connesse alla commemorazione di un santo particolare. Oggi dalla fame si è passati alla sazietà, dall’ansia di non avere il necessario quotidiano alla richiesta di cibi sempre nuovi. Se a tutto ciò aggiungiamo la mancanza di tempo da dedicare all’alimentazione, capiamo come continuerà a crescere il divario fra cibo e cultura del cibo e si succederanno generazioni senza più radici culturali -alimentari. Le mescolanze etniche, gli imperversanti modelli multimediali, la mancanza di una trasmissione orale, contribuiranno alla probabile perdita della conoscenza del proprio territorio e delle proprie origini fin quasi a non avere neanche più una sorta di memoria familiare del cibo. Ricordiamo che una volta i calendari davano consigli in anticipo sul come comportarsi o come sfruttare meglio le terre, le acque e le piogge, mentre la ritualità religiosa entrava nella vita dell’uomo. L’agricoltura veniva arricchita da semplici ma importanti simbologie, come ad esempio, le croci affisse sugli alberi per proteggere il raccolto da possibili influssi negativi o dalle grandinate estive; e lo stesso accadeva quando le bestie venivano benedette nel sagrato delle chiese. Cibo e festa, cibo e sacralità, cibo come identità, cibo e tradizione: per queste e per altre ragioni dobbiamo difendere e salvaguardare il nostro patrimonio enogastronomico. Ciao Teresa Ramaioli