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Lodo Alfano

Post n°80 pubblicato il 13 Ottobre 2008 da saglimbene2004

Ciao a tutti!è da tanto che nn mi facevo sentire!i xkè nn li sò, forse saranno state tutte le batoste poliche ke ho preso in questo periodo, ma non la voglio usare come una scusa!probabilmente è che ogni tanto bisogna staccare la spina, per poi ricominciare ancor con più carica e speranza di prima.Cmq, ieri sera ero in un bar con amici, e come al solito si parlava di politica sporca,etc,etc....(fino a qui i soliti discorsi normali)e ancor più normale era il fatto ke noi compagni ci difendavamo,e loro difendevano il loro "bel" govero.In tutta questa normalità uno di loro si scalda e dice ke la cosa di cui più si vergogna è l'assoluta intoccabilità ke hanno i politici, alkè io ho consigliato di andare a vedere chi costruiva queste leggi,cioè Alfano, una persona ke hanno votato loro,e di cui si vantano!

"toglietemi tutto, ma non l'immunità"

Per concludere qui sotto riassumo la proposta di legge,se qualcuno è ancora convinto ke il Messia Silvio e compagnia sia la scelta giusta, nn problem in seguito vi daranno altri motivi per cambiare idea!skia!!!!!!!nico31

 Un solo articolo e sette commi. Un testo breve e comprensibile anche ai non addetti ai lavori. Pochi rinvii ad altre norme e il concetto-chiave espresso senza giri di parole. Un esempio di come dovrebbero essere scritte tutte le leggi. Peccato che si tratti di una delle leggi più controverse di tutta la legislatura. E' il cosiddetto "lodo Alfano" cioè il provvedimento che, una volta approvato definitivamente, sospenderà i processi - eventuali o effettivi - per le quattro più alte cariche dello Stato:
- il Presidente della Repubblica,
- il Presidente del Senato,
- il Presidente della Camera dei Deputati,
- il Presidente del Consiglio dei Ministri.

Nei confronti delle persone che ricoprono questi ruoli - dice il disegno di legge in fase di approvazione - i processi penali "sono sospesi dalla data di assunzione e fino alla cessazione della carica o della funzione. La sospensione si applica anche ai processi penali per fatti antecedenti l'assunzione della carica o della funzione".

Un "remake" con qualche novità
La norma ha un illustre precedente, il cosiddetto "lodo Maccanico", poi diventato "lodo Schifani", una norma analoga approvata nel giugno 2003 ma dichiarata incostituzionale dopo soli sei mesi. Ora il governo la ripropone con dei correttivi che, secondo il ministro della Giustizia che l'ha battezzata, dovrebbero metterla al riparo da un'altra bocciatura della Corte costituzionale. Ecco, in sintesi, i contenuti del lodo Alfano e le eventuali differenze con il suo predecessore:

- Riguarda quattro figure istituzionali e non più cinque: è stato escluso il Presidente delle Corte Costituzionale perché la sua non è una carica elettiva.

- La sospensione dei processi "opera per l'intera durata della carica o della funzione e non è reiterabile, salvo il caso di nuova nomina nel corso della stessa legislatura". Insomma la sospensione può durare al massimo il periodo di una legislatura (5 anni, salvo lezioni anticipate). Nel lodo Schifani poteva essere prorogata senza limiti fin quando l'imputato deteneva una delle cinque cariche previste.

- L'imputato può rinunciare alla sospensione. Prima agiva d'ufficio.

- Sono compresi anche i cosiddetti reati "extrafunzionali", cioè quelli non collegati alla funzione istituzionale. Cioè i reati comuni (truffa, furto, omicidio ecc.), anche commessi prima di assumere la carica. In questo non c'è differenza rispetto alla formulazione precedente.

A prova di incostituzionalità?
E' quest'ultimo punto quello che, secondo molti costituzionalisti, esporrà di nuovo il lodo Alfano alla censura dei giudici. Sospendere i processi per tutti i reati significherebbe innanzitutto creare un'impunità generalizzata contraria all'art. 3 della Costituzione che stabilisce l'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge.

La legge contrasterebbe anche con altri due principi costituzionali: la ragionevole durata dei processi (art. 111), che risulterebbero allungati dalla sospensione, e l'obbligatorietà dell'azione penale (art. 112). Con queste premesse si può pensare che anche il lodo Alfano non avrà vita lunga.

 
 
 

la nostra assenza...

Post n°79 pubblicato il 22 Settembre 2008 da pdlercarafriddi

scusate...l'elezioni ci hanno demotivato..sembra strano noi giovani...noi giovani che pensavamo che i siciliani volessero cambiare...che pensavamo che i siciliani volessero vincere la guerra contro il connubio mafia-politica...che pensavamo che i siciliani avessero voglia di futuro, di iniziare a vivere senza dover chiedere nulla, ma avendo ciò che è giusto...che è legittimo...che è un NOSTRO DIRITTO...che delusione..che amara constatazione!!!le parole MERITO-QUALITà-LEGALITà...sono bandite dalla nostra terra...ricordo una signora anziana che tra le tante persone a cui sono andata a chiedere il voto..a spiegare la sicilia che voglio la provincia che immagino il comune che sogno...parlando di merito e di legalità...la signora mi ha risposto "signorì ma nuatri lu merito la liggi nun la vulemmo picchì me niputi si nun nè stanno e natru annu prima o poi la raccumannazione l'attrova ma cu li concorsi puliti..." ( "signorina ma noi il merito la legge non la vogliamo perchè mia nipote se non è quest'anno sarà un altro prima o poi la raccomandazione la trova ma con i concorsi puliti...")...provate ad immaginare per un istante io come mi sono sentita..un don chiscotte contro i mulini al vento!!ho pensato...allora i siciliani sanno ciò che fanno..sanno chi votano e sanno anche perchè lo fanno...allora non la vogliono cambiare questa meravigliosa terra solo perchè per loro è meglio così...Poi ho reaggito ed ho pensato che non sono tutti così che magari alla Regione abbiamo perso perchè il centro sinistra non era compatto perchè Anna Finocchiaro, (per quanto chi scrive la stimi e la adori), non era accettata da tutti..anche dentro ilPD c'erano molti critici sulla sua candidatura...ma alla Provincia dopo secoli di malgoverno del centrodestra dopo lo scontro fra Piro ed Avanti...(ma chi è????)...ed invece no...invece peggio di peggio..allora di nuovo amarezza, di nuovo delusione, di nuovo paura del futuro...di un futuro che noi giovani laureati non avremo mai!..ero decisa mollo tutto, basta parto vado in Emilia o in Toscana, vado dove si ha il senso di Stato, dove lo Stato è presente, dove i concorsi sono puliti, dove nessuno lavora "in nero"....Ma poi un giorno un amico mi ha detto...dai Valentina questa è la terra di PIO LA TORRE DI CESARE TERRANOVA DI PEPPINO IMPASTATO DEL MOVIMENTO NO PIZZO..QUESTO è IL MONDO DI OBAMA E DI ZAPATERO...abbiamo il dovere di lottare di riprenderci ciò che è nostro di provare costruire una società più giusta e più equa...Ed eccomi qua...io questo partito voglio rinvigorirlo..io voglio che i nostri rappresentanti si sveglino ed inizino a parlare della vergogna del COINRES...dell'ATO IDRICO...io ho voglia di provarci...e chissà magari sta volta...magari i siciliani capiscono che solo se viene premiato il merito le classi dirigenti saranno adeguatamente competenti per fornire ottimi servizi e per aiutare chi stà indietro..forse capiranno che il comune non è un ufficio di collocamento...forse capiranno che il lavoro "nero" danneggia la società...forse capiranno che non è possibile che nei paesi una commessa guadagni 50euro la settimana senza essere assicurata, perchè hanno diritto ad un contratto più giusto ed equo..forse capiranno che le 180 assunzioni più le ultime 40 di parenti ed amici del COINRES non solo sono ingiuste...ma aumentano la tariffa...portano al COINRES in deficit e come ciliegina sulla torta nessuno prende lo stipendio.....FORSE VORRANNO COSTRUIRE UNA SOCIETà PIù GIUSTA PIù EQUA...IN MODO TALE CHE I NOSTRI FIGLI ED I NOSTRI NIPOTI CI GUARDERANNO DOMANI NEGLI OCCHI E CI DARANNO "AVETE FATTO LA COSA GIUSTA E LO AVETE FATTO PENSANDO A NOI".........

 
 
 

NON DIMENTICHIAMO

Post n°78 pubblicato il 09 Maggio 2008 da pdlercarafriddi

Sii forte, mia dolcissima, in questa prova assurda e incomprensibile. Vorrei capire, con i miei piccoli occhi mortali, come ci si vedrà dopo. Se ci fosse luce, sarebbe bellissimo
- Ultima lettera di Aldo Moro alla moglie Eleonora -

Il 9 maggio 1978, dopo 55 giorni di prigionia le Brigate Rosse uccidevano il presidente della Democrazia Cristiana, Aldo Moro, sequestrato il 16 marzo da un commando in via Fani, dove perdevano la vita cinque uomini della sua scorta.

Attorno alle 13,30, in via Caetani (una strada vicina alle sedi di Dc e Pci), dopo una telefonata di Morucci avvenuta poco prima delle 13, la polizia trova il cadavere di Moro nel portabagagli di una Renault 4 rossa.

Il 9 maggio 2008 è il primo "Giorno della Memoria al fine di ricordare tutte le vittime del terrorismo, interno e internazionale, e delle stragi di tale matrice", come previsto dalla legge numero 56 del 4 maggio 2007, che ha avuto tra i suoi primi firmatari gli esponenti del PD Sabina Rossa (figlio dell'operaio Guido Rossa, ucciso dalle BR) e Olga D'Antona, vedova del docente universitario Massimo d'Antona, il cui omicidio nel 1999 ha riportato tragicamente sulla scena le BR.


Napolitano celebra la Giornata della Memoria

Il terrorismo è stato sconfitto dallo Stato democratico ma può sempre riemergere. Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano celebra al Quirinale la “Giornata della memoria delle vittime del terrorismo” con una doppia valenza: il doveroso e commosso omaggio alle vittime e il monito affinché tragedie simili non abbiano più a ripetersi. “Scongiurare ogni rischio di rimozione di una così sconvolgente esperienza vissuta dal Paese, per poter prevenire ogni pericolo di riproduzione di quei fenomeni che sono tanto costati alla democrazia e agli italiani”, è infatti il monito che lancia il Capo dello Stato.

Napolitano ricorda che “abbiamo visto negli ultimi anni il riaffiorare del terrorismo, attraverso la stessa sigla delle Br, nella stessa aberrante logica, su scala ben più ridotta ma pur sempre a prezzo di nuovi lutti e di nuove tensioni. Si hanno ancora segni di reviviscenza del più datato e rozzo ideologismo comunista e vediamo nel contempo segni di reviviscenza addirittura di un ideologismo e simbolismo neonazista”.

A tal proposito, il presidente della Repubblica esorta a “saper cogliere il dato che accomuna fenomeni pur diversi e opposti: il dato della intolleranza e della violenza politica, dell'esercizio arbitrario della forza, del ricorso all'azione criminale per colpire il nemico e non meno brutalmente il diverso, per sfidare lo Stato democratico”.

Occorre, per Napolitano, “opporre a questo pericoloso fermentare di rigurgiti terroristici, la cultura della convivenza pacifica, della tolleranza politica, culturale, religiosa; la cultura delle regole democratiche, dei principi, dei diritti e dei doveri sanciti dalla Costituzione repubblicana”. E, al tempo stesso, “occorre ribadire e rafforzare senza ambiguità un limite assoluto, da non oltrepassare qualunque motivazione si possa invocare: il limite del rispetto della legalità, non essendo tollerabile e, anche muovendo da iniziative di libero dissenso e di contestazione, si varchi il confine che le separa da un illegalismo sistematico e aggressivo”.

 
 
 

NEGLI OCCHI LA VOGLIA DI CAMBIARE

Post n°77 pubblicato il 09 Maggio 2008 da pdlercarafriddi

In ricordo di Peppino Impastato

“Era la notte buia dello Stato Italiano, quella del nove maggio settantotto.. La notte di via Caetani, del corpo di Aldo Moro, l'alba dei funerali di uno stato”. Con queste parole, scritte dal gruppo folk-rock dei Modena City Ramblers, viene fotografato il tragico attimo della morte di Peppino Impastato, ucciso nella notte tra l’8 e il 9 maggio da Cosa Nostra su ordine del boss Tano Badalamenti.

Una vita, quella di Peppino Impastato, dedicata alla battaglia contro la mafia, in anni in cui l’omertà e la paura dominanti, soprattutto in Sicilia, creavano un terreno fertilissimo per lo sviluppo e la crescita delle organizzazione criminali. In quegli anni, a cavallo tra gli anni 60 e la fine degli anni 70 solo in pochi ebbero il coraggio di denunciare e lottare attivamente contro lo mafia. Tra questi, il nome di Peppino Impastato, giovane militante di Democrazia proletaria, rimarrà per sempre impresso nell’olimpo dei martiri che hanno pagato con la vita il loro sacrificio per un Paese migliore.

“Ancora oggi Peppino rappresenta la bella gioventù di questa terra straordinaria quella che non piega la schiena, che non si gira da un'altra parte per non vedere, che grida la propria indignazione davanti all'ingiustizia, che anche in politica non ama i calcoli e gli opportunismi, che sogna un presente e un futuro diverso e migliore e che per la realizzazione di questo ideale è pronta a sacrificare persino la propria vita”. Sono le parole con le quali Giuseppe Lumia, senatore del PD da sempre impegnato nella lotta contro cosa nostra, ha ricordato il giovane ucciso a Cinisi trent’anni fa.

“Penso che le parole più belle su Peppino Impastato – ha aggiunto Lumia – le abbiano scritte recentemente dei ragazzi come lui, i Modena City Ramblers”. E proprio alcuni passaggi del testo della canzone “Cento passi” sembra essere lo strumento migliore per ripercorrere la vita di Peppino.

E' nato nella terra dei vespri e degli aranci, tra Cinisi e Palermo parlava alla sua radio..
Negli occhi si leggeva la voglia di cambiare, la voglia di Giustizia che lo portò a lottare..
Aveva un cognome ingombrante e rispettato, di certo in quell'ambiente da lui poco onorato..
Si sa dove si nasce ma non come si muore e non se un'ideale ti porterà dolore..


Giuseppe impastato nasce a Cinisi, in provincia di Palermo, il 5 gennaio 1948, da una famiglia mafiosa. Il padre Luigi era stato inviato al confino durante il periodo fascista, e lo zio e gli altri parenti erano mafiosi e il cognato del padre era il capomafia Cesare Manzella. Ancora ragazzo, rompe con il padre, che lo caccia di casa, e avvia un’attività politico-culturale antimafiosa. Nel 1965 fonda il giornalino L’idea socialista e aderisce al PSIUP. Dal 1968 in poi partecipa, con ruolo di dirigente, alle attività dei gruppi di Nuova Sinistra. Conduce le lotte dei contadini espropriati per la costruzione della terza pista dell’aeroporto di Palermo, in territorio di Cinisi, degli edili e dei disoccupati. Nel 1975 costituisce il gruppo Musica a cultura e nel 1976 fonda Radio Aut, emittente libera autofinanziata, con cui denuncia i delitti e gli affari dei mafiosi di Cinisi e Terrasini, e in primo luogo del capomafia Gaetano Badalamenti, che avevano un ruolo di primo piano nei traffici internazionali di droga, attraverso il controllo dell’aeroporto. Il programma più seguito era Onda pazza, trasmissione satirica con cui sbeffeggiava mafiosi e politici.

Poteva come tanti scegliere e partire, invece lui decise di restare..
Gli amici, la politica, la lotta del partito.. alle elezioni si era candidato..
Diceva da vicino li avrebbe controllati, ma poi non ebbe tempo perchè venne ammazzato..
Il nome di suo padre nella notte non è servito, gli amici disperati non l'hanno più trovato..


Nel 1978 si candida nella lista di Democrazia Proletaria alle elezioni comunali. Viene assassinato nella notte tra l’8 e il 9 maggio di quell’anno, nel corso della campagna elettorale, con una carica di tritolo posta sotto il corpo adagiato sui binari della ferrovia. Pochi giorni dopo, in occasione della consultazione elettorale, i cittadini di Cinisi, scrivendo il suo nome tra le preferenze, riescono ad eleggerlo, simbolicamente al Consiglio comunale. Stampa, forze dell’ordine e magistratura parlano di atto terroristico in cui l’attentatore sarebbe rimasto vittima e, dopo la scoperta di una lettera scritta molti mesi prima, del suicidio.

Grazie all’attività del fratello Giovanni e della madre Felicia Bartolotta Impastato dei compagni di militanza e del Centro siciliano di documentazione di Palermo, nato nel 1977 e che nel 1980 si sarebbe intitolato proprio a Giuseppe Impastato, viene individuata la matrice mafiosa del delitto e sulla base della documentazione raccolta e delle denunce presentate viene riaperta l'inchiesta giudiziaria. Nel maggio del 1984 l'Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, sulla base delle indicazioni del Consigliere istruttore Rocco Chinnici, che aveva avviato il lavoro del primo pool antimafia ed era stato assassinato nel luglio del 1983, emette una sentenza, firmata dal Consigliere Istruttore Antonino Caponnetto, in cui si riconosce la matrice mafiosa del delitto, attribuito però ad ignoti. Il Centro Impastato pubblica nel 1986 la storia di vita della madre di Giuseppe Impastato, nel volume La mafia in casa mia, e il dossier Notissimi ignoti, indicando come mandante del delitto il boss Gaetano Badalamenti, nel frattempo condannato a 45 anni di reclusione per traffico di droga dalla Corte di New York, nel processo alla Pizza connection. Nel gennaio 1988, il Tribunale di Palermo invia una comunicazione giudiziaria a Badalamenti. Nel maggio del 1992 il Tribunale di Palermo decide l'archiviazione del caso Impastato, ribadendo la matrice mafiosa del delitto, ma escludendo la possibilità di individuare i colpevoli e ipotizzando la possibile responsabilità dei mafiosi di Cinisi alleati dei corleonesi. Nel maggio del 1994 il Centro Impastato presenta un'istanza per la riapertura dell'inchiesta, accompagnata da una petizione popolare, chiedendo che venga interrogato sul delitto Impastato il nuovo collaboratore della giustizia Salvatore Palazzolo, affiliato alla mafia di Cinisi. Nel marzo del 1996 la madre, il fratello e il Centro Impastato presentano un esposto in cui chiedono di indagare su episodi non chiariti, riguardanti in particolare il comportamento dei carabinieri subito dopo il delitto. Nel giugno del 1996, in seguito alle dichiarazioni di Palazzolo, che indica in Badalamenti il mandante dell'omicidio assieme al suo vice Vito Palazzolo, l'inchiesta viene formalmente riaperta. Nel novembre del 1997 viene emesso un ordine di cattura per Badalamenti, incriminato come mandante del delitto. Il 10 marzo 1999 si svolge l'udienza preliminare del processo contro Vito Palazzolo, mentre la posizione di Badalamenti viene stralciata. I familiari, il Centro Impastato, Rifondazione comunista, il Comune di Cinisi e l'Ordine dei giornalisti chiedono di costituirsi parte civile e la loro richiesta viene accolta. Il 23 novembre 1999 Gaetano Badalamenti rinuncia all'udienza preliminare e chiede il giudizio immediato. Nell'udienza del 26 gennaio 2000 la difesa di Vito Palazzolo chiede che si proceda con il rito abbreviato, mentre il processo contro Gaetano Badalamenti si svolgerà con il rito normale e in video-conferenza. Il 4 maggio, nel procedimento contro Palazzolo, e il 21 settembre, nel processo contro Badalamenti, vengono respinte le richieste di costituzione di parte civile del Centro Impastato, di Rifondazione comunista e dell'Ordine dei giornalisti. Nel 1998 presso la Commissione parlamentare antimafia si è costituito un Comitato sul caso Impastato e il 6 dicembre 2000 è stata approvata una relazione sulle responsabilità di rappresentanti delle istituzioni nel depistaggio delle indagini. Nella commissione si rendono note le posizioni favorevoli all' ipotesi dell' attentato terroristico poste in essere dai seguenti militari dell' arma: il Maggiore Tito Baldo Honorati; il maggiore Antonio Subranni; il maresciallo Alfonso Travali (fonte: Relazione Parlamentare sul caso Impastato). Il 5 marzo 2001 la Corte d'assise ha riconosciuto Vito Palazzolo colpevole e lo ha condannato a 30 anni di reclusione. L'11 aprile 2002 Gaetano Badalamenti è stato condannato all'ergastolo.

La giustizia, in questi anni, ha compiuto il suo percorso. La battaglia di cui Impastato è stato uno degli interpreti principali è ancora aperta, ancora tutta da giocare. Di certo se i giovani italiani, i giovani siciliani, seguiranno il cammino tracciato da Peppino e da chi come lui non ha avuto paura di gridare la sua rabbia, questa battaglia si può e si deve vincere.

Ma la tua vita adesso puoi cambiare solo se sei disposto a camminare, gridando forte senza aver paura contando cento passi lungo la tua strada

 
 
 

CALDEROLI MINISTRO

Post n°76 pubblicato il 09 Maggio 2008 da pdlercarafriddi

 La Libia non ci staTripoli rompe l'accordo con Roma sull'immigrazione

Alle 17 di ieri il nuovo governo guidato da Silvio Berlusconi ha prestato il tradizionale giuramento. Tra i 21 ministri c’era anche Roberto Calderoli. Tanto è bastato per far scattare la sdegnata reazione delle autorità libiche. Una reazione tradotta nella rottura degli accordi siglati con Roma per proteggere le coste italiane dall'immigrazione clandestina africana.

È il ministero degli Esteri di Tripoli a darne nota ieri notte, a poche ore dal giuramento. “Tripoli non sarà più responsabile della protezione delle coste italiane dai clandestini.... perché l'Italia non è stata efficiente nel suo impegno a supportare la Libia" si legge nel fax inviato a Reuters.

Il motivo della rottura sarebbe tutto nella nomina a ministro di Roberto Calderoli. Lo stesso che, mentre il mondo musulmano era in fiamme per le vignette "blasfeme" pubblicate da un giornale danese, si presentò al Tg1 mostrando una t-shirt con una delle vignette raffiguranti la caricatura del Profeta Maometto.

L’effetto di quei pochi secondi andati in onda sulla prima rete nazionale fu devastante. La scelleratezza di quell’atto, compiuto tra l’altro da un ministro della Repubblica Italiana, provocò, nei giorni successivi, l’assalto al consolato italiano a Bengasi da parte di una folla di cittadini libici. Per proteggere il personale italiano, la polizia libica sparò sui dimostranti arrivando ad uccidere ufficialmente 11 persone.

Già qualche giorno fa il figlio del leader libico Muammar Gheddafi, Saif El Islam, aveva minacciato ripercussioni sulle relazioni tra l'Italia e la Libia nel caso di un ingresso dell'esponente leghista nel nuovo esecutivo. Poi il tempestivo intervento del ministro degli Esteri uscente, Massimo D’Alema, che tramite una nota ufficiale aveva chiarito come la formazione e composizione del nuovo Governo fosse "una questione interna" regolata da precise disposizioni costituzionali, sembrava aver chiuso la questione. Ma la nomina di ieri ha riacuito l’attrito.

“Mi sono pentito per le conseguenze che ha determinato e per il significato diverso che è stato attribuito. Il mio era un messaggio di pace e di avvicinamento tra le religioni monoteiste, ma è stato interpretato in maniera diversa. Mi auguro che oggi non ci siano dei problemi legati ad una cosa del passato che dovrebbe essere considerata come un incidente chiuso”. Sono queste le parole rilasciate oggi alle agenzie dal nuovo ministro alla Semplificazione sulla vicenda della maglietta mostrata in diretta Tv. Un’ammissione di colpa, ma anche un impegno a non ripetere gli errori del passato. Come anche l’ex ministro D’Alema si era augurato durante il programma “In Mezz’Ora” di Lucia Annunziata.

Tuttavia le parole del ministro leghista non sembrano sufficienti a mitigare la sproporzionata reazione delle autorità Libiche. Le quali, oltre alla questione immigrazione, sembrano voler mettere mano anche all’accordo tra Eni e la compagnia di Stato Noc. Stando a quanto scrive, citando fonti diplomatiche libiche, la Staffetta petrolifera, quotidiano online specializzato nelle notizie sull'energia, la reazione di Tripoli prevederebbe infatti anche "il blocco dei visti per l'ingresso degli italiani in Libia e la cancellazione dell'accordo strategico tra Eni e la compagnia di stato Noc, siglato lo scorso 16 ottobre a Tripoli. Non è esclusa anche, come gesto estremo, la nazionalizzazione delle attività dell'Eni in Libia".

Per Berlusconi, dunque, si profila, a meno di 24 ore dalla presentazione della nuova squadra di Governo, un primo difficile problema da risolvere. Un problema che dovrà avere rapida soluzione se non si vorranno intaccare i rapporti diplomatici costruiti nel tempo con lo stato libico.

 
 
 
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