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« La ragazzaL'incipiente autunno »

Bruno

Post n°552 pubblicato il 07 Agosto 2014 da pedro_luca
 
Tag: Brevi

terdoppio1

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Bruno

 I Rilettura

 A vederlo così agitato veniva da pensare che non stesse fermo nemmeno durante il sonno. Mauro stava per compiere i trent’anni ma a causa della grande agitazione che lo pervadeva perennemente, come uno spirito inquieto, il suo atteggiamento era più consono ad un ragazzo in piena esplosione ormonale che ad un uomo maturo. Di statura media, anzi, per un uomo adulto diciamo pure bassa, di corporatura robusta aveva una folta zazzera di riccioli neri sul capo, scuri come gli occhi dal taglio triste. Ad un attento ascoltatore la cadenza del suo eloquio non tardava a rivelare la sua provenienza ligure. Infatti, anche se aveva lasciato il suo luogo natio da più di dieci anni, ancora mal sopportava il clima umido, le nebbie e, in estate, il tormento delle zanzare. S’era trasferito nella nostra cittadina da pochi anni e viveva con i suoceri che trattava come se fossero i suoi genitori, in questo contraccambiato perché loro lo consideravano come un figlio. Quel sabato mattina di metà luglio, Mauro, dalla sua stanza, vedeva il cielo azzurro aprirsi sul mare verde della campagna lombarda ed ascoltava il cinguettare dei passeri che pernottavano nel cascinale adiacente alla casa che i suoi suoceri avevano ristrutturato dotandola di tutti i confort moderni, aria condizionata compresa. Anche se dieci anni non sono pochi, lui non s’era ancora abituato a questo nostro cielo corto, all’immensità della volta celeste frenata dalle nebbie, alla tristezza delle contingenze che trattengono gli slanci e spengono i sogni, lui, abituato al blu immenso che invitava all’ignoto, alzando lo sguardo, qui, si trovava  solamente perso. In quell’atmosfera tinta di serenità che l’alba lascia al mattino Mauro risentiva le voci irate, i volti tesi dalla rabbia dei suoi genitori, rimasti là, sulle rocce frastagliate della riviera di ponente. Da quando se n’era andato non si erano più rivisti né sentiti. Il distacco era stato violento, come lo può essere solo quello che avviene tra una madre ed il figlio. Mauro s’era innamorato perdutamente di quella milanese che veniva a passare, assieme ai suoi genitori, le vacanze al mare, lì, dove abitava lui. I suoi non volevano che frequentasse quella giovane. Ritenevano che quella ragazza non fosse proprio di primo pelo, troppo sicura di sé, troppo sfangata per uno come lui, alle prime armi in questioni sentimentali, ma in questi casi occorrerebbe non frapporsi perché così non si fa altro che spingere ancor più il desiderio dei due innamorati. Il cuore è testardo per natura, si sa, se lo si blandisce tende a spegnersi, ma se lo si contrasta sa incendiarsi oltre ogni ragionevolezza. Anche la notizia che Gaia non fosse la figlia naturale della coppia, ma solo una bambina adottata all’età  di otto anni, non fece altro che cementare ulteriormente la convinzione di esser sulla strada giusta Mauro.  Lui e Gaia stavano bene assieme, troppo,  sfruttavano ogni occasione, li si vedeva in spiaggia, abbracciati sul lungomare, mano nella mano lungo le mulattiere dell’entroterra, a casa. Mentre i genitori di Mauro osteggiavano in modo sempre più evidente il suo rapporto con Gaia, i genitori di lei, invece, ne erano quasi entusiasti e cercavano in tutti i modi di favorire la relazione.  Quell’anno fatidico, poco dopo la fine della vacanze Mauro lasciò i suoi e salì a Milano per ricongiungersi a Gaia, nel frattempo il suo futuro suocero gli aveva trovato un impiego tecnico presso un commerciante. L’anno seguente lui e Gaia si sposarono per la gioia loro  e quella dei genitori di Gaia, mentre i suoi, dalla riviera ligure non risposero nemmeno all’invito di nozze. Vivevano in un appartamento attiguo a quello dei genitori e, siccome lavoravano entrambi, Gaia era impiegata presso uno studio notarile e lui era fuori tutto il giorno a fare assistenza, si ritrovavano solo a sera, stanchi e con il carico pesante che la vita, soprattutto quella cittadina, caotica e stressante, lascia sull’umore. Eppure, quando Gaia annunciò di volerlo lasciare perché s’era innamorata di un altro uomo, fu come il classico fulmine a ciel sereno. Nessuno se l’aspettava, lui soprattutto, ma nemmeno i genitori di lei ebbero modo di coltivare il minimo sospetto. Quello che Gaia non sapeva, però, era che Mauro, che era quello che si dice, buono come un pezzo di pane, aveva, con la sua generosità, preso nel cuore dei genitori di lei, il suo posto diventandone il figlio adottivo. Tanto che lui rimase a vivere con i suoceri mentre Gaia lasciò la casa. Un trauma tremendo e Mauro non fu più lui, si sentiva menomato, come se gli avessero tolto un braccio od una gamba. Faticava ad accettare quella separazione, e, spesso, inconsciamente ricreava la situazioni passate per sentirsi ancora legato a lei. Prese così a vivere come fosse il figlio naturale di quella coppia, andando in vacanza con loro, sul camper che era stato preso appositamente per lui, e prese a sistemare la casa di campagna in cui si sarebbero trasferiti appena il suocero avesse raggiunto l’età della pensione. In quel mattino di metà luglio Mauro si sentiva come al solito, perso davanti ad una giornata lunga, un lasso tempo da dover riempire. Da qualche tempo aveva lasciato la bicicletta da corsa, un mezzo che gli ricordava l’infanzia e le prime gare sulle stradine liguri, ed aveva acquistato una  moto. Con quella scorrazzava per la provincia, lui diceva che lo faceva per cercare emozioni nuove, in verità anche questa nuova passione assomigliava molto ad una fuga, alla continua evasione da sé stesso, da una realtà che non riusciva ad accettare completamente, tanto che, a volte, sentiva crescere in lui il dubbio che i suoi genitori avessero avuto ragione nel non volere che si mettesse con Gaia. La strada che arriva dal Piemonte è dritta e senza ostacoli, il limite di velocità è fissato a settanta chilometri perché in fondo al viale c’è un cavalcavia. L’utilitaria che è ferma allo stop ha i finestrini abbassati per la gran calura, l’uomo osserva attentamente a destra ed a sinistra, una volta sinceratosi che non ci fossero veicoli si immette sulla provinciale, nello stesso istante in cui Mauro transita, in sella alla motocicletta, nello medesimo punto. L’impatto c’è, ma la velocità non è elevata e lui scivola, in sella alla moto, sdraiato sull’asfalto verso la parte opposta della strada. Non fosse stato per quel parapetto in ferro lui sarebbe scivolato nel prato con qualche escoriazione, invece finisce contro il parapetto, schiacciato dal peso della moto stessa.Appena oltre, lungo il piccolo fosso che costeggia il prato, c’era una colonia di margherite bianche, quel giorno improvvisamente si colorarono di un blu che sconfina col viola, del colore ceruleo che ha il cielo che abbraccia il mare. Alcuni dicono che in ogni morte c’è un suicida, in ogni destinazione c’è la volontà di andarci, non so quanto questi detti rispondano al vero, so solo che se passate da quella strada che arriva dal Piemonte e, appena prima del cavalcavia guardate alla vostra sinistra, vedrete quella splendida colonia di margherite dal colore del cielo terso, dell’azzurro perso.

 
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