PENSIERI IN LIBERTA'

STOP AI PRECARI


Precariato, una minaccia anche alle imprese
Maurizio Zipponi*, 26 novembre 2007
La Sinistra che vogliamo Una risposta alla sintesi frutto del dibattito apertosi sul nostro Forum. In Italia la prima necessità è quella di abrogare la precarietà come sistema occupazionale ma soprattutto di vita. Una sfida che però riguarda anche l'industria, che ha creduto erroneamente che si potesse rispondere alla competizione globale frantumando e deregolamentando l'occupazione Il dibattito sviluppatosi sul Forum di Aprileonline in materia di lavoro mi è sembrato la prosecuzione di ciò che è stato discusso nelle assemblee dei lavoratori in occasione del referendum sul Protocollo. E' come se si fosse entrati in una assemblea permanente importante che testimonia come questi argomenti si dovrebbero imporre all'attenzione politica. Ciò che è stato messo in luce in quelle assemblee, e che viene ribadito nel Forum, è che tutto ruota intorno al fenomeno della precarietà, come modello non solo di organizzazione di lavoro, ma soprattutto di vita permanente. Come fattore che genera angoscia, perché crea assenza di progettazione sul proprio futuro. Rispetto al tema della precarietà concepita ormai come sistema, capace di intervenire sulla vita delle persone, di influenzare il tempo degli individui legandolo a quello della produzione, stiamo assistendo per la prima volta al suo incrociarsi con un altro punto di vista, cioè quello della critica all'impresa. Quest'ultima che ha agito unicamente sulla precarietà, oggi appare fuori mercato, perché piccola, frammentata, sottocapitalizzata, senza ricerca, senza investimenti in formazione. Si scopre dunque che quell'impresa lì, che un tempo sembrava aver trovato il bandolo della matassa per rispondere alla concorrenza internazionale nella precarizzazione, è in verità profondamente perdente. Non stiamo ragionando solo delle condizioni di vita del lavoratore, ma anche di un sistema economico, del modello di impresa necessario per competere sul piano internazionale. I due punti cominciano a incrociarsi, per cui è necessario rispondere a quelle persone che, partendo da sé, esprimono un disagio che non è solo individuale, ma che coinvolge l'intero Paese e su di esso si riflette negativamente: l'interesse della persona concreta comincia a coincidere con quello sociale, e chiama in causa la necessità di avere imprese che funzionano meglio.Sono tre i temi su cui il Forum si è espresso avanzando proposte specifiche. Il primo è quello della modifica dell'articolo 2049 del Codice Civile affinché ci siano solo due categorie di lavoratori (dipendenti e autonomi) e che mi trova perfettamente d'accordo. L'Italia è infatti da questo punto di vista un Paese anomalo, dato che in Europa esistono due categorie generali di lavoro: quello economicamente dipendente (per intenderci, quello fatto da persone che non decidono né il tempo né il compenso della loro occupazione e che, quindi, non sono proprietarie dei mezzi che servono a lavorare) e quello indipendente, autonomo, libero professionale. In quest'ultima categoria, nel nostro Paese, rientrano paradossalmente milioni di giovani che sono chiamati a partita iva, oppure cocopro o interinali, o addirittura impiegati in false coop. Condivido a tal punto questa necessità che è stata scelta come criterio ispiratore della legge presentata e firmata da più di 100 parlamentari, costruita insieme al centro dei diritti Alo e guidata da Nanni Alleva, uno dei più importanti giuslavoristi italiani. Anche la richiesta di retribuire maggiormente i lavoratori con contratto a tempo determinato, garantendo loro maggiori versamenti previdenziali e assicurativi è legittima. Significa applicare ciò che si disse quando si cominciarono a praticare i primi contratti a termine, e cioè che l'alta professionalità se impiegata per un breve tempo deve essere pagata di più. Purtroppo ci si indirizzò su una altra strada che deve essere abbandonata, cercando di riportare il lavoro a tempo nell'alveo dell'eccezionalità e di specifiche occupazioni, garantendolo. L'altra proposta avanzata dai partecipanti al Forum, ovvero quella di stabilizzare i tanti lavoratori della pubblica amministrazione, è stata già parzialmente accolta nella Finanziaria del 2007 e si proseguirà il lavoro in quella del 2008. Sono stati definiti percorsi importanti perché la p.a. inverta la rotta.C'è poi il discorso riguardante gli ammortizzatori sociali. In questo caso la richiesta è quella di garantire una vera indennità di disoccupazione e di favorire la formazione obbligatoria che accompagni i lavoratori licenziati verso nuove occupazioni. Ci sono modelli in Europa che affermano che l'impresa, quando non ha bisogno più del lavoratore, non ha nessuna responsabilità verso di lui, e che al contrario dovrebbe essere lo Stato a farsene carico. Non sono d'accordo, perché penso che l'impresa deve in primo luogo assumersi l'onere del lavoratore, del fatto che perde il suo posto di occupazione specifico, e deve garantirgli l'inserimento in un percorso formativo di ricollocazione o all'interno della stessa impresa o in altro posto di lavoro equivalente nel territorio. L'impresa non può essere liberata dalla responsabilità verso i suoi impiegati delegandola allo Stato e agli ammortizzatori sociali, perché è un ragionamento di comodo opportunistico. L'impresa che vive una trasformazione del ciclo produttivo che la porta a vedere superfluo un lavoratore, deve avviare formazione e ricollocazione: è una responsabilità sociale. Quest'ultima potrà, naturalmente, godere poi dell'apporto dello Stato, dei suoi finanziamenti. Tutti questi temi sollevati dal dibattito naturalmente non possono non chiamare in causa l'argomento di grande attualità del Welfare. Su questo punto mi sento di fare una sola considerazione e cioè che sul parlamento e sul governo agisce una forza politica che non si presenta alle elezioni ma che è vicina a qualsiasi esecutivo: questa forza si chiama Confindustria. Una associazione che non rappresenta gli industriali (cosa che sarebbe giusta), ma la lobby di via della Astronomia, la quale agisce come un partito politico, promuovendo personaggi e determinando leggi. La grande difficoltà politica è allora quella di arginare tale influenza illegittima. *Responsabile Economia del PRC