PENSIERI IN LIBERTA'

CIAO SANDRO


NON TI DIMENTICHEREMOIl ricordo della figlia Candida, giornalista ANSA PADRE E MAESTRO, TRA KOJAK E COMPAGNO SCOMODOdi Candida Curzi
ROMA - Kojak, per via della pelata, o 'il compagno scomodo', dal titolo del libricino scritto nel '96 per raccontare quella che sembrava la fine dell'avventura in Rai, quando il Cda dei 'professori' decise la fine della sua direzione del Tg3. Era imprevedibile, allora, che Sandro Curzi in Rai sarebbe tornato, nel maggio 2005, seppure non da giornalista ma da editore, seduto nel cda, facente funzioni di presidente per i primi mesi. Il cda del quale ancora fino ad oggi ha fatto parte, continuando, anche quando le forze erano esaurite e la voce appena un filo, a chiedere, a voler essere aggiornato su quanto accadeva in commissione di vigilanza, leggendo ogni mattina sul cellulare gli ascolti del giorno precedente. Sandro Curzi era nato a Roma, in una famiglia benestante, il 4 marzo del 1930. Ma si era buttato nella vita, dalla resistenza armata al nazifascismo alla politica ed al giornalismo, con un anticipo che, alla fine, gli faceva dire di aver più dei 78 anni anagrafici, almeno cinque-sei anni di più che si facevano sentire, ma convinto ne fosse valsa comunque la pena perché così aveva "potuto vivere la storia del '900 quasi interamente''. Studente del liceo Tasso, era diventato amico fraterno di Citto Maselli, un legame mai interrotto in oltre mezzo secolo, ed aveva iniziato a frequentare le case di intellettuali antifascisti, come i Maselli, gli Scalfari, i Pirandello, poi, negli anni del liceo, Alfredo Reichlin, Luciana Castellina... E' del '44 il suo primo articolo sull'uccisione per mano delle Brigate Nere di uno studente, Massimo Gizzi, per L'Unità clandestina che già distribuivano nella scuola con la complicità di un bidello. Sandro è studente ma già anche nella fila della resistenza armata. Da allora l'impegno politico ed il giornalismo sono stati la sua vita. A volte intrecciati strettamente, come negli anni di Nuova Generazione, di Oggi in Italia - prima radio libera che trasmetteva da Praga - o quando, chiamato ad occuparsi della stampa e propaganda di via delle Botteghe Oscure si inventò la prima 'velina' politica, Parcomit. Ma all'Unità, a Paese Sera, negli anni più recenti a Liberazione, nel dirigere quotidiani di partito e non, è stato soprattutto un giornalista. E il Tg3, Telekabul, è stata la creatura che ha amato di più e che ha creato un legame tra lui e la gente - il popolo dei tempi della tv- così forte che ancora oggi a distanza di quasi vent'anni da quando il Cda dei professori pose fine all'avventura, tanti lo fermavano per strada chiedendogli 'Direttore, quando ritorni?'. A battezzare il Tg3 Telekabul fu un Giuliano Ferrara irritato dal corsivetto mandato in onda a conclusione del servizio sul congresso socialista dell'Ansaldo, che ironizzava sulla collocazione negli scantinati della postazione data al tg dei cattivi. Un nomignolo che finì sulle prime pagine dei grandi giornali e gli regalò sette punti di share. Fu il tg che per primo raccontò quel nuovo partito nato al nord, la Lega, che a sorpresa aveva preso il 15 per cento dei voti a Sondrio; fu il tg che un sondaggio rivelò essere il preferito dai ragazzi del Fronte della Gioventù e ancora quello cui, durante la guerra del Golfo, si arrese un gruppo sbandato di iracheni incappato in una troupe che si era addentrata nel deserto. Fu il tg3 di Curzi che, all'indomani delle stragi mafiose del '92, trasferi' la redazione per una settimana a Palermo. Poi c'é stato il tg di Telemontecarlo, Liberazione e il Cda Rai fino ad oggi e insieme, sempre, la passione politica e civile. Con le amarezze, in queste ultime settimane, di quanto accade in commissione di vigilanza, e l'allarme per le sorti dell'azienda. Ancora curioso di quel che accadeva anche quando non aveva più forza per camminare, ma aveva voluto essere alla manifestazione del Pd che sfilava ai fori imperiali e l'aveva salutato scandendo lo slogan 'Sandro sei uno di noi'. Guardando, con speranza, gli studenti dell'onda. L'ultimo sguardo professionale all'America di Obama e insieme il rimpianto: "vorrei due anni ancora per vedere come se la cava".