Pensieri in Cucina"Nella ricetta c'è tutto ....tranne l'essenziale" - (G.Marchesi) |
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Non avendo l tempo di scrivere qualcosa di nuovo, pubblico una ricetta che ho fatto in agosto ed il testo che avevo scritto (non è mai troppo tardi) !! Se volete la ricetta dovete leggere fino alla fine !! "
Se dovessi decidere il modo migliore per presentare la Burrata pugliese a qualcuno che non la conosce, ebbene la adagerei in un cofanetto simile a quello utilizzato per regalare un gioiello. Si, perché di un grande gioiello si tratta. Ci sono voluti secoli perché arrivasse nei piatti di chi ha avuto la fortuna di assaggiarla, un tale concentrato di sensazioni, profumi, consistenze: la perfezione nella forma e nel gusto, la neutralità del colore bianco brillante, un’auto consistenza tale da renderla perfetta se assaggiata da sola, e nello stesso tempo l’ingrediente chiave per fare arrivare in un piatto tutta la tradizione del passato e renderlo grande con la sua semplicità. Prima di entrare nel merito del piatto di oggi, voglio descrivervi questo straordinario latticino prodotto in varie zone della Puglia, ma la cui tipicità è forse più radicata nella zona sud della regione. La burrata si ottiene unendo al latte fresco intero , il siero ed il caglio di vitello. Dopo circa 30 minuti dal momento dell'aggiunta del caglio la massa che coagula (si chiama cagliata) viene stracciata grossolanamente utilizzando le mani. Dopo qualche ora, questi pezzi cominciano a filare. Poi si modella la pasta filata per ottenere la tipica forma della burrata, una sorta di bolla irregolare di pasta filata. La sacca così ottenuta, viene riempita con le parti sfilacciate in precedenza, amalgamate con crema di siero di latte. Il tutto viene chiuso mediante un nodo praticato sulla sommità, ed infine viene immersa per qualche minuto in salamoia. Questo concentrato di sapori è così effimero che bisogna consumarla entro ventiquattrore, quindi bisogna assolutamente evitare di acquistarla su internet o farsela spedire. Un bel fine settimana in Puglia rasserena gli animi, il cuore e con la burrata anche il gusto. Per preparare il mio piatto, mi alzo veramente presto, voglio trovare la migliore burrata appena fatta. Il mio amico Giorgio maestro caseario dal 1978 mi aspetta alle sette del mattino con le burratine che gli avevo chiesto di realizzare per l’occasione. Si tratta di una versione mignon da 70 gr l’una, molto utile per preparazioni in cui è assolutamente proibito tagliarla per servila, se non all’ultimo momento. L’ispirazione viene da un piatto classico. La versatilità dei latticini in cucina è enorme, ma quando si focalizza l’attenzione sulla mozzarella, sulla ricotta o sulla giuncata il pensiero va quasi sempre al pomodoro, a profumi come il basilico o l’origano. Immancabile è anche l’olio extravergine d’oliva, che in Puglia fa di qualsiasi pietanza un piatto da re. Penso quindi alla caprese o qualcosa di simile, ma vorrei racchiudere la burrata in uno scrigno, che influisca il meno possibile sul sapore di questo straordinario latticino. Un involucro, si, magari scarico di colore in modo da far esaltare il bel rosso del pomodoro San Marzano che sicuramente utilizzerò in questa ricetta. Penso all’uovo, solo l’albume, provo a mescolarlo con della farina (giusto un cucchiaino da caffè per uovo), una manciata di pecorino, sale, pepe ed un non nulla di origano, ottengo una amalgama molto fluida simile a quella utilizzata per fare le crepe. Ne verso un velo molto sottile in una teglia aiutandomi con della carta da forno e la inforno ad una temperatura non troppo elevata non oltre 160°, non voglio che si scurisca. Passano appena quindici minuti, estraggo la teglia, il risultato è soddisfacente, praticamente un foglio rettangolare: un involucro perfetto, si sarà questo lo scrigno per la mia burrata! In una caprese che si rispetti, il ruolo del basilico è fondamentale. Ho deciso di farne un pesto, evitando però di appesantirlo con il formaggio. Pertanto sarà una semplice salsa al basilico, e la ottengo semplicemente pestando le foglie, mezzo spicchio d’aglio senz’anima, pinoli, sale, pepe ed olio extra (se volete potete frullare il tutto, ma aggiungete una manciata di ghiaccio tritato nel frullatore). Lo so, vi si sta insidiando nelle testa che questo passaggio potrebbe essere evitato semplicemente acquistando un pesto pronto: vi prego non fatelo, allontanate questi pensieri immondi. Qui si dovrebbe aprire un capitolo lunghissimo sulla tematica di fare le ricette con le materie prime giuste e nelle stagioni giuste. Per me questo progetto deve essere la trasposizione nel piatto dell’estate. E per far ciò attendo tutto l’inverno prima di mettermi ai fornelli: attendo, attendo, attendo… fino a quando non sarò sicuro, senza ombra di dubbio, che per esempio il basilico che utilizzerò per la mia salsa sia stato baciato dal sole estivo, e sia stato così tanto arricchito di clorofilla, che il risultato finale dovrà essere eccezionale. La cucina è fatta di piccoli gesti, nei momenti giusti con le materie prime giuste. Le basi industriali eliminano questa visione poetica, facendo confondere il gustare con il mangiare, il cucinare con il preparare. Ma torniamo a noi. Metto da parte la mia salsa al basilico (fresco). Mi devo occupare del pomodoro, altro grande ingrediente della caprese. La varietà San Marzano in Puglia è l’unica che viene utilizzata per la conserva, che tipicamente si fa in agosto per poi essere utilizzata l’inverno successivo. La sua carnosità unitamente ad una alta acidità, conferisce alle ricette in cui è utilizzato una marcia in più. Una cena frugale da gran re per un pugliese doc è una frisa (una sorta di pane biscottato) ammollata in acqua e poi condita semplicemente con pomodoro San Marzano, olio extravergine d’oliva e sale. Semplice e deliziosa! Nella mia ricetta voglio concentrare al massimo i sapori e gli zuccheri naturalmente presenti nel pomodoro. Penso ad una tecnica di cottura che si chiama confit. Praticamente lo scopo è di asciugare l’acqua naturale presente nell’ortaggio utilizzando una temperatura relativamente bassa, per lungo tempo. Prendo i miei pomodori, incido la buccia nella parte bassa facendo una croce e li immergo in acqua bollente. Conto fino a dieci e li tiro fuori raffreddandoli subito con acqua fredda. Elimino la buccia ma la metto da parte, una volta essiccata in forno posso frullarne un po’ per ottenere anche una polvere (la utilizzerò per guarnire il mio piatto). Elimino i semi dai pomodori (magari evito di buttarli via, sono eccezionali per condire ad esempio una frisa o una bruschetta), e li divido in due secondo la lunghezza. Prendo una teglia a bordi bassi, taglio un rettangolo di carta forno e lo utilizzo per coprirne il fondo, adagio i miei pomodori e le bucce, facendo in modo che la parte concava sia rivolta verso l’alto, condisco con olio extra, sale, pepe e origano e via, in forno a 60 gradi per almeno tre ore (magari la prossima volta devo ricordarmi di fare per primo questo passaggio!). Quanto penso ad un piatto, mi piace molto giocare con la consistenza di alcuni ingredienti chiave o con l’alternanza di temperature. Sto pensando al fatto che la cottura confit, concentrerà i sapori del pomodoro, ma nello stesso tempo gli farà perdere quella freschezza che soltanto a crudo presenta. Potrei superare il problema con una salsa, che per esempio esalti il sapore del pomodoro quando questo non viene cotto. Un gazpacho è proprio quello che ci vuole. Nella cucina spagnola, il gazpacho è una zuppa fredda a base di verdure crude, molto apprezzata d'estate in regioni calde come l'Andalusia. Ne esistono almeno 60 versioni, alcune molto speziate e altre meno. Si mangia comunque freddo, talvolta addirittura con cubetti di ghiaccio. Una gaffe piuttosto comune per i profani (sfruttata anche talvolta nella fiction) è lamentarsi col cameriere perché "la zuppa è fredda!". Io ne farò una versione, un po’ pugliese, visto che siamo in tema. Per realizzare questa salsa frullo insieme alcuni quarti di pomodoro spellati e senza semi, alcune (poche) foglie di basilico, pochissimo scalogno, sale pepe ed un po’ di granita di ghiaccio. Mentre frullo aggiungo a filo dell’olio extra, ed osservo con piacere il tutto si sta emulsionando, ossia sta montando in modo soffice e spumoso. Ecco realizzato il perfetto gazpacho pugliese. Vediamo ora se ho tutto: 1) Il mio gioiello: la burrata; 2) il cofanetto: una specie di crepe molto leggera fatta solo con albumi; 3) La salsa al basilico; 4) i pomodori San Marzano confit; 5) La salsa gazpacho; 6) le bucce dei pomodori ed un pò di polvere ricavata dalle stesse; 7) qualche spicchio di pomodoro crudo che avevo messo da parte per guarnire. Ho una voglia matta di assemblare il piatto, ma ho la sensazione che manchi qualcosa di importante. Qualcosa che riporti alla terra, che faccia da congiunzione tra il mondo animale che ha creato il mio gioiello ed il mondo vegetale che ne esalterà il gusto. Nella cucina mediterranea questo ruolo di collettore e catalizzatore di sensazioni è quasi sempre ricoperto dall’olio extravergine d’oliva, che forse nella mia ricetta dovrebbe in qualche modo essere concentrato e presentarsi al palato con un pizzico di tannicità in più: si, senza ombra di dubbio è necessario pensare a delle olive. E’ facile a dirsi ma non a farsi. Il primo pensiero cadrebbe su una qualsiasi oliva ma così facendo banalizzeremmo ogni meticolosa scelta fatta per rendere questo piatto supremo. Mi guardo intorno, sfoglio alcune riviste, osservo i miei scaffali dedicati ai libri tecnici e gastronomici. Mi ricordo che alcuni mesi fa è stato pubblicato un articolo molto interessante sulla rivista Gamberorosso in cui si elencavano le specie di olive presenti sul territorio italiano soffermandosi sulle loro le caratteristiche organolettiche. Non so cosa sto cercando ma so di sicuro che l’oliva per il mio gioiello si trova in quelle pagine. In primis cerco di giocare in casa, l’occhio va subito sulla Coratina autoctona della Puglia: gusto piccante sapore marcato ed intenso, a volte anche amara. Da noi si chiama matura perché prima mangiarle si la sciano maturare in salamoia ed aromi in dei cocci di terracotta. La loro fine naturale è nelle pucce un tipico pane di Lecce che secondo me dovrebbe prima o poi acquisire la DOP (fornai di Lecce unitevi !!!). Complessivamente la cosa non mi convince. Questo sapore così intenso annullerebbe completamente il gusto del mio gioiello. Qui bisogna avere il coraggio di cercare oltre. Il territorio per me è cosa fondamentale, ma non deve costituire una camicia di forza. Così decido di allargare gli orizzonti perché l’Italia è un paese meraviglioso, e mi pone su un vassoio tante di quelle specie: il Mariolo,il Canino, Frantoio, La Nocellara del Belice, Bosana, Leccino, Tortiglione e tanti altri. Ma poiché l’azione dell’oliva nel mio piatto deve essere quasi una carezza evanescente scelgo la Taggiasca, tanto dalla Liguria ci sono già passato con la salsa al basilico. Eh si! ora ho proprio tutto, devo solo assemblare il piatto: sono curioso ed emozionato. Sul mio piano da lavoro sistemo della pellicola trasparente sulla quale adagio la crepe. Spalmo per bene su questa della salsa al basilico, e dispongo al centro tipo un ripieno, una fila di olive taggiasche, una fila di spicchi di pomodori confit, una fila di burratine; e poi ancora una fila di pomodori, ed una fila di olive taggiasche. Arrotolo il tutto aiutandomi con la pellicola, ne viene fuori una specie di rotolo che ripongo subito in frigo per almeno trenta minuti: la bassa temperatura aiuterà a stabilizzarne la consistenza ed a fondere bene i sapori degli ingredienti. Prendo poi il mio piatto, scelgo una semplice ceramica color perla, dalla forma quadrata. Con un cucchiaio adagio sul piatto un po’ di salsa gazpacho a specchio, su di essa adagio tre fette tagliate dal rotolo che avevo riposto in frigo, guarnisco con la buccia secca di pomodoro utilizzandola, nella consistenza intera ma anche come polvere, alcune olive taggiasche, alcuni spicchi di pomodoro, una foglia di basilico, ed un ricordo di burratina. Chiudo con un filo leggerissimo di olio extravergine di oliva. Osservo il piatto, e contemporaneamente monta la soddisfazione. Si è proprio così che lo immaginavo, tutte queste sfumature di rosso, insieme al verde del basilico ed al bianco della burrata. Sembra quasi un inno alla nazione. Assaggio. Poi un sorriso ed un sorso di vino. Però!! La burrata…che gioiello!
" alla prossima ........
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Post n°77 pubblicato il 03 Dicembre 2009 da lucio.colizzi
La curiosità di questa ricetta, non immaginerete mai, sta nel burro. Si! Avete capito bene, il burro questo sconosciuto. Almeno per me. Sono stato da sempre un anti, ed a favore del più salutare olio extravergine di oliva. Ma ormai lo sapete, la mia cucina non è mai vincolata da pregiudizi. Il motto è: prima di giudicare informati. E così ho studiato. Alla fine ho imparato a fare il burro fatto in casa, è semplicissimo. Prendete un litro di panna fresca e cominciate a montarla come per fare un dolce. Quando si sarà montata per bene, invece di fermarvi continuate, continuate, continuate….continuate a montare…….tutto ad un tratto: miracolo!! il burro si separa dal latticello (quest’ultimo non lo buttate via, potete utilizzarlo per fare una zuppa) e si agglomera. Prendete la massa di burro, compattatela con le mani e contemporaneamente lavatela con acqua corrente fredda. Il burro così ottenuto lo potete poi aromatizzare, con prezzemolo, erba cipollina e tutte le erbette che vi vengono in mente. Il piatto che vi propongo è proprio da festa importante, per esempio il pranzo o il cenone di Natale…o capodanno, o quando vi va di fare veramente bella figura. Se siete soli, pazienza. Farete bella figura con voi stessi.
La ricetta Per quattro porzioni da cinque ravioli ognuna procuratevi i seguenti ingredienti: 200 gr. di farina 00, due uova intere, 200 gr. di ricotta di pecora, 300 gr. di cavolo cappuccio rosso, 200 gr. di funghi orecchie di elefante (veramente ho cercato dei porcini ma non li ho trovati),50 gr. di parmigiano reggiano, la buccia di un limone, un pizzico di noce moscata, un mazzetto di foglie di salvia, 40 gr. di burro, 4 cucchiai di olio extra, sale e pepe qb.
Alla prossima……
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Post n°76 pubblicato il 22 Novembre 2009 da lucio.colizzi
Ho imparato questo metodo per fare una salsa per la pasta da uno chef inglese. Poi sostituendo gli ingredienti opportuni è venuto fuori questo piatto mediterraneo. Il metodo consiste nel preparare il fondo di cottura della salsa, metterlo sul fuoco e coprirlo con dell’affettato di qualità (prosciutto, guanciale, pancetta tesa o arrotolata) come se fosse un coperchio. Dopo questa prima copertura si copre ulteriormente con un normale coperchio. Vediamo cosa succede nella pentola. Il vapore di cottura rimane intrappolato tra il fondo ed il primo strato di affettato. Da quest’ultimo estrae tutto il sapore che ricade nel fondo inoltre l’affettato non si disidrata completamente rimanendo leggermente croccante grazie al secondo coperchio. A fine cottura, ovvero quando la pasta è pronta per essere scolata, non rimane che rimuovere l’affettato, tagliarlo a julienne e rimetterlo nella padella lasciandone una manciata per decorare il piatto ed accentarne la nota croccante. Ovviamente ogni passaggio e ben descritto nella ricetta. Buon appetito! La ricetta Per 4 persone procuratevi 400 gr. di pasta lunga (il formato sceglietelo voi, se trafilata al bronzo è meglio) 6 fette di prosciutto di cinghiale, 250 gr. di salsiccia fresca di cinghiale, un porro medio, uno spicchio d’aglio, un bicchiere di vino bianco o prosecco, un bicchiere di brodo vegetale (fatto con sedano, carota, cipolla), due foglie di salvia fresca, parmigiano reggiano grattugiato (almeno due anni di stagionatura),olio extravergine di oliva, sale e pepe qb.
Alla prossima….
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Post n°75 pubblicato il 07 Novembre 2009 da lucio.colizzi
E’ la milionesima ricetta di calamari ripieni. Sembra che madre natura abbia creato questi molluschi per essere riempiti di qualcosa prima di essere degnamente cotti mangiati. Questa poi è la stagione giusta. Ricordo che con i miei fratelli si cominciava ad andare a caccia di calamari all’inizio dell’autunno perché in questo periodo si riproducono e non so perché, era più facile la cattura. Si usciva in barca alle quattro del mattino, una noce di cocco di poco più di cinque metri. Ma si sa com’è, la barca è bella ed emozionante in due soli momenti: quando la compri….e quando la vendi! Questa ricetta è un gemellaggio Puglia-Sicilia-Lazio… ma che ci frega! Siamo o non siamo tutti italiani. E io per questi calamaretti (pescati freschi a Gallipoli) ho utilizzato: le friselline salentine, i pistacchi di Bronte ed il cavolo romanesco. Piatto centro-meridionale quindi. Il cavolo romanesco lo conosciamo tutti. E’ quello con tante punte, che sembra una pigna. In questo piatto porta un po’ di sapore forte in contrapposizione alla delicatezza degli altri ingredienti. I calamari non dovrebbero essere eccessivamente grandi, più o meno quindici o venti cm compresi i tentacoli. Vi consiglio di acquistare le friselline, quelle piccole all’olio. Le potreste anche fare in casa, il procedimento non è complesso. Praticamente si fa la pasta di pane all’olio lievitata impastando: 500 gr, di farina 00, un panetto di lievito di birra, 30 gr. di olio extra, un cucchiaino di zucchero, sale ed acqua quanto basta. Fate lievitare due ore, formate poi con la pasta tanti spaghettoni lunghi 10 cm e spessi quanto un dito indice. Arrotolate su se stesso ogni spaghettone a formare una girella. Fate rilievitare un’ora poi informate per 15 minuti a 180 gradi. Togliete le girelle dal forno (saranno diventate simili ad un piccolo panino, spaccate ogni girella a metà con un coltello a sega, rimettete le due metà in forno a biscottare per 40 minuti a 100 gradi. Fate raffreddare, e voilà le friselline sono fatte!
Prima di darvi la ricetta di oggi fatemi dire due parole sui pistacchi. Sono una produzione tipica di Bronte un paese in provincia di Catania tanto blasonati da essere protetti dal marchio DOP. Provate a trovarli in un negozio di gastronomia oppure, andate direttamente a Bronte a prenderli e magari tornando passate dal Salento per rifornirvi anche di friselline, risalendo fermata nel lazio per il cavolo: SCHERZO!! I pistacchi verdi di Bronte sono stati introdotti dagli arabi, e sono utilizzati anche molto nella pasticceria siciliana, anche’essa per la maggior parte basata su influssi arabi. Basta così se volete saperne di più è semplice: www.google.it e poi inserite “Pistacchi di Bronte” per la ricerca. Già che ci siete cercate anche gli altri ingredienti come le “friselline di Lecce”, le “cipolle di Acquaviva” ed il “canestrato Pugliese”.
La ricetta E’ un secondo piatto, prevedete due calamari a testa; 120 gr di pistacchi tostati; due cipolle rosse (quelle di Acquaviva delle fonti di cui vi ho già parlato in un precedente post; 100 gr. di friselline salentine; mezzo bicchiere di latte intero; 3 fette spesse di pancetta affumicata tesa; 50 gr. di pecorino canestrato pugliese (o un pecorino qualsiasi di buona qualità, delicato e non troppo salato), olio extravergine di oliva quanto basta, sale e pepe qb.
Alla prossima……
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Post n°74 pubblicato il 31 Ottobre 2009 da lucio.colizzi
Ovviamente potete utilizzare qualsiasi pesce di pezzatura medio grossa, per questo piatto. L’importante è ottenere dei bei filetti da cubettare. E’ autunno inoltrato, i pomodori ormai tendono ad essere fuori stagione. Pertanto apro il primo vasetto di pelati che ho fatto quest’estate durante le ferie. Quando rimuovo il coperchio, il profumo intenso di basilico invade la cucina. I tubetti con il pesce è un classico della cucina di mare salentina. Tipicamente si utilizza la cernia, ma ormai gli esemplari di trenta kg che si vedevano fino a vent’anni fa all’asta di Gallipoli sono solo un ricordo. Ovviamente anche la ricciola sa il fatto suo. Nient’altro su questo piatto?? Eh, eh !! si, qualcos’altro c’è. Un consiglio: non andate in pescheria chiedendo dei filetti di pesce, solo per il fatto che è più facile cucinarli. Dovete sapere che tutto il sapore del pesce non sta nelle sue carni. Ma nelle lische, nella pelle e nella testa. La parte più saporita di un pesce la troviamo ad esempio nelle guancie. Quindi andiamo dal pescivendolo e chiediamo gentilmente di sfilettare per noi il pesce che sceglieremo, per poi portarci a casa anche le lische, la pelle squamata e la testa. Con queste frattaglie di pesce otterremo un fumetto (un brodo di pesce) che darà tutto il sapore alla nostra ricetta. A questo punto andiamo in cucina…..
La ricetta Gli ingredienti per quattro porzioni sono: tre ricciole da 300 gr l’una (filetti e frattaglie); 200 gr. di pomodori pelati; 200 gr. di verza; un cipollotto; 320 gr. di tubetti; mezzo bicchiere di vino bianco o prosecco; dei cipollotti, una costa di sedano, una cipolla, una carota, due spicchi d’aglio, pane grattugiato, prezzemolo, sale e pepe q.b., olio extravergine di oliva pugliese.
Alla prossima……… |
Inviato da: diletta.castelli
il 07/10/2016 alle 17:24
Inviato da: Mr.Loto
il 28/06/2016 alle 18:18
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Inviato da: Giorgia
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