Carezze di Luce

Non so chi l'ha scritto ma è un grande!!!


Ieri mattina, sciaguratamente, ho acceso la tv e mi sono imbattuto su una  rete Mediaset nella telecronaca diretta del funerale di Raimondo  Vianello. Del grande attore scomparso, per sua fortuna, non c'era traccia,  essendo già ben chiuso nella sua bara. In compenso imperversava dappertutto un  altro comico, anzi un guitto tragicomico con le gote avvizzite e impiastricciate  di fard fucsia e il capino spennellato di polenta arancione, che officiava la  cerimonia, dirigeva le pompe funebri, smistava il traffico delle préfiche,  abbassava il cofano del carro, salutava la folla come Gerry Scotti, poi  nella chiesetta sbaciucchiava a favore di telecamera la povera vedova  pietrificata in carrozzella e cercava di farla ridere con qualche battuta  all'orecchio, chiamava i battimani associandosi ai cori da stadio "Raimondo  Raimondo" sollecitati da Pippo Baudo: era il presidente del  Consiglio. Sul pratone di Milano2, un maxischermo da  concerto rock ingigantiva quelle immagini raccapriccianti esponendole al  "bell'applauso" di una folla di curiosi armata di telefonini e videocamere per  immortalare la sfilata dei "vip", come sulla banchina di Porto Rotondo e nel  dehors del Billionaire a Ferragosto. Infatti, in quel festival di botulini e  siliconi, incedeva persino Lele Mora (Luciano Moggi, altro  magister elegantiarum, era passato il giorno prima in una pausa del suo  processo). Ho sperato con tutto il cuore che al grande Raimondo, impegnato  nell'ultimo viaggio, sia stata risparmiata la vista di quello spettacolo  sguaiato, volgare, fasullo: l'esatto contrario della sua vita garbata, elegante,  ironica e autoironica. L'estremo oltraggio. Vianello  era, politicamente, un berlusconiano. Ma, antropologicamente e artisticamente,  era l'antitesi vivente del berlusconismo. Infatti han dovuto aspettare che  morisse per coinvolgerlo, ormai impotente e incolpevole, in una baracconata  invereconda che ricorda il feroce episodio de "I nuovi mostri" firmato da  Scola, in cui Sordi, guitto di provincia, recita l'elogio funebre del  capocomico al cimitero, sul bordo della tomba, rievocandone le battute più  grasse e pecorecce mentre tutt'intorno si applaude e si sghignazza. Gli storici  del futuro che tenteranno di interpretare l'Italia di oggi non potranno  prescindere da quelle immagini, perché difficilmente troveranno miglior reperto  del nostro tempo: l'epoca dei senza pudore e dei senza vergogna. Una bara  sequestrata da un anziano miliardario squilibrato, malamente pittato da  giovanotto, che si crede Napoleone e monopolizza la scena con la stessa  congenita volgarità con cui, proprio un anno fa, passeggiava sui cadaveri  dell'Aquila accarezzando bambini, baciando vecchie, promettendo case e dentiere  nuove per tutti. Una povera vedova incerottata e  distrutta dalla malattia e dal dolore esposta alle telecamere e ai megascreen  mentre mormora "Raimondo, io sono qua" senza neppure il diritto di farlo  sottovoce, in penombra, lontano da microfoni, occhi e orecchi invadenti, pronti  a trasformare tutto in "gossip". E, tutt'intorno, nessuno che notasse lo  scempio. Nemmeno un consigliere che suggerisse al capo un po' di raccoglimento,  di compostezza, di silenzio, o gli spiegasse che ai funerali non c'è niente da  ridere nè da applaudire. Men che meno ai funerali di Vianello, al quale bastava  e avanzava il bellissimo necrologio bianco dettato dalla sua Sandra.  "Berlusconi - scrisse un giorno Montanelli - è  talmente vanesio che ai matrimoni vorrebbe essere la sposa e ai funerali il  morto". Infatti, anche per  evitare di ritrovarselo cianciante alle sue esequie, il vecchio Indro lasciò  detto nelle sue ultime volontà: "Non sono gradite né cerimonie religiose, né  commemorazioni civili". Forse Berlusconi non se n'è accorto, ma ieri ha  seppellito sguaiatamente l'ultimo berlusconiano elegante e ironico rimasto in  circolazione. Se lo capisse, se ne preoccuperebbe più che per il divorzio da  Fini. Ma, se lo capisse, non sarebbe Berlusconi.