Creato da aariete.78 il 16/09/2014

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attualità ed opinione

 

 

Draghi ti sbagli! (e forse lo sai…)

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Finalmente ci siamo: Mario Draghi ha dato inizio al "quantitative easing europeo" festeggiato da poderosi rialzi dei listini azionari.
Sul "piatto" il banchiere ha messo a disposizione dei governi europei circa 1.000 mld di euro che serviranno all'acquisto di titoli pubblici.
L'operazione, anche se con qualche diversità, può assimilarsi a quanto già fatto dalla Fed americana e dalla banca centrale del Giappone e può così riassumersi:
La copertura di un debito con un altro debito.
Può sembrare semplicistico, paradossale, estremistico, eppure è la sostanza, al di là dei soliti paroloni di rito, di quanto accaduto:
La stampa di nuova carta, lungi dal finanziare l'economia reale, servirà a puntellare, almeno per qualche tempo, i buchi di bilancio dell'eurozona che, ad otto anni dall'inizio della crisi, ha progressivamente, ed inesorabilmente, incrementato il suo indebitamento invece di ridurlo.
D'altronde, come dimostrato da Barack Obama, l'unico modo di controllare il debito sembrerebbe proprio quello di alimentarlo.
Poco importa che le conseguenze, gravide d'interessi, aggraveranno squilibri economici sistemici e persistenti; l'obiettivo è quello di salvare una classe dirigente in balia di se stessa è garantirne la sopravvivenza, il più a lungo possibile.
Non è un caso, infatti, che l'astuta mossa sia avvenuta a ridosso della tornata elettorale in Grecia dove le formazioni antieuropeiste sono le più agguerrite:
La spesa pubblica permette una gestione clientelare del consenso a beneficio di un potere politico che non può sopravvivere senza di essa ed, allo stesso tempo, rappresenta un fardello che spaventa, condiziona, abrutisce interi popoli.
Infatti si può constatare in quale misura la paura del futuro, la povertà, l'elevata disoccupazione abbiano contribuito a subordinare le preferenze elettorali, di tanti, di troppi "cittadini", al tornaconto personale.
Nelle moderne democrazie, dunque, debito e consenso procedono di pari passo, si alimentano a vicenda, l'una è speculare rispetto all'altra.
Purtroppo c'è dell'altro:
l'ennesimo salvataggio della bce, manco a dirlo, verrà lautamente ripagato dai governi nazionali che, per accedere al programma di aiuti, dovranno recepire diktat sempre più severi:
tagli alle retribuzioni, alle pensioni, incremento della pressione fiscale, cancellazione di "diritti inalienabili" a seguito di assurde "riforme", rappresentano, con varia intensità, una dura realtà già in molte nazioni dell'eurozona.
Un siffatto "SISTEMA", infondendo un costante senso di precarietà, spinge, come in una spirale ciclica e perversa, i popoli d'Europa a stringersi attorno a "decrepiti rappresentanti" che, primi responsabili dello sfascio economico, appaiono comunque ben più rassicuranti rispetto sconclusionati e maldestri capipopolo.
Eppure una politica monetaria alternativa sarebbe possibile, sebbene non conveniente alle lobbies continentali:
Se Mario Draghi subordinasse il programma di aiuti al taglio drastico della spesa pubblica sposterebbe, in misura significativa, l'onere del risanamento di bilancio dai cittadini agli Stati membri costringendo la classe dirigente di mezza Europa ad "un'oculatezza coercitiva" nella gestione delle risorse pubbliche.
Inoltre, come più volte teorizzato, il taglio delle "uscite" ridimensionerebbe il peso del "voto di scambio" imponendo, da un lato, un rinnovamento della politica e, d'altro, una disinteressata partecipazione della società civile alle competizioni elettorali.

Una volta un uomo saggio mi disse:
se vuoi il controllo totale su un uomo non privarlo dei suoi diritti; lascia che S'INDEBITI!
Mai come adesso ho ben chiaro il significato delle sue parole.

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Le tre cose che dovresti sapere sul debito (III parte)

Foto di aariete.78

 

dopo i due interventi introduttivi sul debito pubblico (come funziona/ la sua genesi), finalmente, l'unica possibile SOLUZIONE.

Chi ha letto gli interventi precedenti, avrà chiara la necessità di adottare "decisioni epocali" volte a ripianare il debito pubblico piuttosto che contenerlo. È fondamentale, pertanto, agire tempestivamente, prima che la "leva monetaria" si esautori, al fine di evitare ineluttabili "adeguamenti catastrofici" di "malthusiana" memoria.
La portata delle proposte che mi accingo a sottoporvi può apparire ai più visionaria; tant'è: non c'è "rivoluzione" in assenza di "visionari".
D'altronde, come già premesso nella "mezzanotte del capitalismo", l'implosione di un sistema economico impone uno "storico cambio di passo" che, quand'anche sbagliato, certamente non potrà far più danni di quanti ne sia chiamato a risolvere.
Venendo al dunque, è necessario che la spesa pubblica sia tagliata nell'ordine di 200 - 250 miliardi di euro l'anno per garantire:
* nell'arco di un decennio, l'integrale ripianamento del debito;
* la "copertura finanziaria" di misure finalizzate all'avvio di un "New Deal" italiano.
Se un'aortografia a Torino costa il 229% in più rispetto a Genova e per un'otturazione ad un dente l'Emilia Romagna spende il 252% in più della Liguria (fonte Libero), l'abbattimento del fabbisogno corrente dello Stato, nell'ordine del 30%, è un obiettivo abbastanza ragionevole.
Un risparmio senza precedenti, quindi, ottenibile da una revisione dei costi della Pubblica Amministrazione che tagli tutto il superfluo (e non solo).
Entrando nello specifico, senza dilungarmi su argomenti già noti, mi soffermerò su alcune riforme strategiche, a me particolarmente care, dalle quali potrebbe realizzarsi gran parte dell'ambizioso traguardo perché investono i maggiori capitoli di spesa.

1)La riforma sanitaria.

L'attuale sistema sanitario, decentrato su base regionale, è incancrenito da elevati livelli di corruzione che, da un "passaggio di mano all'altro", ne aumentano esponenzialmente i costi in corrispondenza di servizi scadenti.
Come già osservato, la causa di tutto è riconducibile al "sistema clientelare" grazie al quale la politica "scambia" consenso per debito e spesa pubblica.
Inoltre, cosa ancor più grave, il "diritto alla salute" rimane fatto più formale che sostanziale poiché i tempi biblici delle strutture pubbliche già impongono a tutti i cittadini, affetti da gravi patologie (e che se lo possono permettere), di ricorrere a strutture private.
La soluzione naturale per uscire da questa aberrazione è adottare un sistema "misto" al cui "costo pubblico", perché sostenuto dallo Stato, corrispondano "prestazioni private", tradizionalmente più efficienti in quanto operanti in regime di libera concorrenza.
Ogni dipendente, pertanto, avrà diritto ad una polizza sanitaria pagata dal datore che, a sua volta, potrà interamente detrarla dal carico fiscale, fermo restando l'onere sussidiario dello Stato di estendere tale "copertura" agli inoccupati.
Grazie all'intermediazione assicurativa ed a strutture sanitarie private, verrebbe garantito un "sistema all'americana" macompletamente gratuito che debellerebbe, altresì, intollerabili corruttele.

2)La riforma delle autonomie locali.

Prima di addentrarmi nell'analisi di tale proposta mi soffermerò su un presupposto ancor più importante.
Sebbene non sia questa la sede in cui trattare adeguatamente tale argomento, ritengo ogni forma di autonomia locale deleteria se associata ad un substrato culturale deficitario in termini di "Bene Comune" e "Solidarietà Nazionale".
L'unità di un popolo, requisito fondamentale nella competizione globalizzata, viene spesso minacciata da "beghe di condominio" che, supportate da grotteschi campanilismi, alimentano forze centrifughe difficilmente arginabili.
Se, come sono certo, il mondo globalizzato scoprirà nellaCOOPERAZIONE l'unica possibilità di sopravvivenza, è chiaro quanto siano superate le divisioni nazionali ed, a maggior ragione, quelle regionali.
Fatta tale doverosa premessa, ricordo, come già più volte puntualizzato, che ogni forma di autonomia di bilancio, in assenza di "Cultura Pubblica", produce "leverege" funzionale alla gestione del "consenso". Diretta conseguenza è un'autonomia fiscale impropria che, spesso fonte d'imposte e balzelli dal sapore medioevale, contribuisce ad opprimere cittadini già vessati dalla tassazione dello stato centrale.
Inoltre, l'indebitamento degli enti locali è più insidioso di quello nazionale poiché, non essendo quotato, non è soggetto al controllo dei mercati che ne monitorano, in tempo reale, il grado di solvibilità/rischiosità. Non è dato sapere, infatti, quale sia il debito delle regioni italiane, delle decine di province, delle migliaia di comuni (alcuni dei quali piccolissimi) e delle società partecipate ma il sospetto che raggiunga cifre raccapriccianti è pienamente legittimo.
Già nel 2013, alcune regioni spagnole e la città di Detroit, solo per citare i casi più clamorosi, sono state dichiarate fallite. Per un periodo si parlò anche di un probabile default della Sicilia e del Piemonte, "salvatesi" poi miracolosamente.
In base a quanto affermato, le autonomie locali divengono, frequentemente, metastasi di un sistema corrotto che, per motivi di bilancio e, a questo punto, soprattutto ideologici, è fondamentale riformare con una serie di atti normativi:

a)abrogazione delle regioni, comprese quelle a statuto speciale, delle provincie, delle "città metropolitane".
b)accorpamento dei comuni in comprensori con densità abitativa non inferiore ai 50.000 abitanti ed eliminazione delle società partecipate.
c)Abolizione dell'autonomia fiscale con la previsione di competenze puramente amministrative nell'ambito della gestione di risorse stanziate dal governo centrale sulla base di un "costo medio standard" desumibile dall'insieme delle realtà locali.
Lo Stato, dunque, attribuirà ad ogni singolo comune i fondi necessari per garantire i servizi pubblici richiedendo, nel contempo, la gestione dei medesimi non più delegabile a società partecipate.
d)Apertura di procedure d'infrazione in caso di mancato rispetto dei budget di bilancio e dei livelli qualitativi minimi richiesti per i servizi erogati.
e)Reimpiego nella pubblica amministrazione e/o accompagnamento alla pensione per tutti i livelli impiegatizi in esubero a seguito dei tagli di cui ai punti A e B
f)Riduzione delle retribuzione / indennità previste per tutti i membri di organi elettivi.

Una riforma di questo tipo:
- realizzerebbe cospicui tagli alla spesa pubblica e pienocontrollo sui bilanci degli enti locali.
- Assesterebbe un durissimo colpo alle logiche clientelari poiché, venendo meno la possibilità di "fare debito", contribuirebbe alla selezione della classe politica locale ed allo sviluppo di un sano interessamento dei cittadini alla gestione della "cosa pubblica".
renderebbe gli scambi economici più efficienti in quanto, grazie al "contingentamento delle risorse finanziarie", costringerebbe la pubblica amministrazione a valutare l'offerta di ogni impresa in termini di costi/benefici; non più in ragione di possibili appropriazioni indebite. 
-Trasformerebbe ogni ente locale da "centro di costo" in "centro di servizi" grazie all'impossibilità di delegare competenze amministrative a società terze (partecipate) con un proprio bilancio (e, quindi, con altro debito).
- Tutelerebbe, infine, la coesione sociale unendo intenti riformatori, anche se drastici, alla costante tutela dei più deboli.
-È NECESSARIA PERCHE', QUAND'ANCHE NON CONDIVISA, E' DI TUTTA EVIDENZA CHE UN DECENTRAMENTO COSI' STRUTTURATO NON E' PIU' SOSTENIBILE!

www.pensieronuovo.it

 

 

 
 
 

Le Tre cose che dovreste sapere sul debito (II Parte)

Foto di aariete.78

Di chi è la colpa di quanto sta accadendo?

E' una domanda che mi viene frequentemente rivolta e la risposta è sempre la stessa:

Di tutti.

Da www.pensieronuovo.it la GENESI del debito pubblico:

colpe e collusioni di un popolo che non prova (ancora) vergogna!

 

 

Nell'articolo precedente abbiamo esaminato le dinamiche che sottendono il debito e come si sviluppano in base ad un "rapporto di scambio".
Si è introdotto, inoltre, il concetto di "leva" ovvero della convenienza ad indebitarsi per massimizzare il profitto. Il guadagno, infatti, sarà un incentivo ad investire e, finite le disponibilità, si chiederà denaro in prestito.
Questa considerazione, abbastanza ovvia per tutte le aziende private, è evidente, cioè, perché ogni imprenditore/banchiere ha un'innaturale propensione ad indebitarsi, è meno chiara nel caso di stati e banche centrali.
In questo caso mancherebbe il fine che dovrebbe giustificare il "leverage" ovvero il profitto.
Ebbene, l'esperienza insegna che in tutte le democrazie occidentali i livelli di corruzione e di cattiva gestione della "cosa pubblica" sono in costante aumento.
La causa, oltre che nell'avidità umana, è da imputarsi al degrado culturale prodotto dal sistema liberale che spinge, buona parte della collettività, a scambiare incessantemente "bene comune" contro profitto.
In una società corrotta, somma d'individui che scelgono "l'alternativa politica" sulla base dell'utilità personale, la SPESA PUBBLICA diventa potentissimo strumento di "gradimento" e di "intorpidimento" delle coscienze.
Tutte le compagini di governo tenderanno ad ampliare il debito dello stato per distribuire appalti, commesse, posti di lavoro, soddisfare interessi personali e/o di categoria per accrescere il consenso elettorale e massimizzare il profitto dei grandi interessi economici di riferimento.
Il sistema "clientelare", basato sul voto di scambio, richiede il costante sacrificio dell'interesse pubblico in favore di quello privato, un continuo "baratto" tra debito (di tutti) ed utilità individuale o del "clan" di appartenenza.
Questa consuetudine si è andata a raffinare nel tempo.
La scarpa regalata prima delle elezioni, seguita dalla promessa di ricevere l'altra dopo aver votato, è stata sostituita da una serie di promesse incentrate sulla riduzione delle tasse e/o sull'aumento degli stipendi più bassi.
Atti demagogici e finalizzati al solo ampliamento del bacino elettorale perché, quand'anche divenuti legge, non essendo accompagnati da una seria riduzione dell'indebitamento statale, sono destinati ad avere carattere di temporaneità.
Nelle crepuscolari democrazie moderne, dunque, il "leverege di stato" è finalizzato al mantenimento di un consenso che diventa fonte di profitto per la classe dirigente.
Non a caso, ad ottobre 2012, mentre Bruxelles imponeva alla Grecia drastici tagli di pensioni e stipendi per evitare il fallimento, il governo di unità nazionale presieduto da Antonis Samaras, stanziava 30 mln di euro per la costruzione di un AUTODROMO (???) legittimando, a causa di una scelta tanto singolare, qualunque illazione.
Circostanza simile si è verificata anche in Italia quando qualcuno pensava che la priorità nazionale fosse costruire un "ponte sullo stretto".
Pensateci un attimo:
Se lo Stato italiano spende più di 800 mld l'anno e, per "quadrare" il bilancio, vara finanziarie da (appena) 15, 20, 30 mld che, oltre a diffondere disperazione non garantiscono neanche l'integrale copertura degli interessi sul debito pubblico (ogni mese ritoccato al rialzo verso continui massimi storici), la malafede di chi è chiamato ad amministrarci è semplice deduzione.
È come se aveste un figlio che sperperasse la "paghetta settimanale" giocando al videopoker e, non soddisfatto, vi chiedesse di lavorare maggiormente per assecondare il suo "hobby".
Anche la spasmodica ricerca della "crescita", del resto, diventa funzionale al mantenimento di elevati livelli di spesa grazie ai quali il POTERE può trarre legittimazione.
In conclusione è possibile affermare:
l'aumento endemico del debito dipende dalla persistente erosione dell'interesse pubblico in favore di quello privato causata dall'assenza di "cultura del bene comune".
In alternativa, tale mancanza, potrebbe risolversi nella definizione di un sistema sanzionatorio che riequilibri un "trade off" svantaggioso.
Se, in passato, il carico fiscale fosse stato adeguato proporzionalmente alle dinamiche d'indebitamento (invece che procrastinarne continuamente gli aggiustamenti), l'immediato rapporto di causa (aumento del debito) effetto (incremento delle tasse) avrebbe indotto ogni cittadino a vigilare sulla gestione del bilancio dello Stato (ed a votare di conseguenza).
La CONVENIENZA a tutelare il bene comune (espediente che potrebbe sostituire lo scarso interessamento a ciò che è di tutti) racchiude l'essenza ideologica di una nuova teoria economica (la cui diffusione rappresenta lo scopo prioritario del presente blog) che mira alla definizione di contrappesi normativi finalizzati all'ottimizzazione di tutti i "rapporti di scambio" destinati, altrimenti, a certa degenerazione. 
S'impone, dunque, un taglio draconiano alla spesa pubblica che, motivato da ragioni di bilancio, diviene, tuttavia, fondamentale per la costruzione di un sano interessamento della società alla politica nell'ambito di un sistema democratico pienamente partecipativo.
Se come chiunque può verificare, gli effetti della crisi sono mitigati nelle nazioni in cui l'interesse comune coesiste perfettamente con quello privato, appare evidente quale sia il costo economico e sociale di ataviche tare culturali.

www.pensieronuovo.it 

 

 

 
 
 

Le tre cose che dovreste sapere sul debito (I Parte)

Foto di aariete.78

Da www.pensieronuovo.it, il primo di tre interventi sul debito pubblico:

COME FUNZIONA.

 

Sebbene ritenga ben altre le reali motivazioni della crisi, è fatto assodato che continui ad essere associata alla gestione del debito.
Per fare chiarezza sull'argomento procederò con l'enunciazione di alcune proposizioni che evidenzieranno alcuni meccanismi fondamentali per la comprensione dell'argomento e delle sue sottili implicazioni.
Supponiamo troviate una o più persone disposte a prestarvi denaro e che, grazie alla vostra credibilità, riusciate a mettervi in tasca 2.000 euro senza fare assolutamente nulla (o quasi).
Siete particolarmente ben visti, non avete mai tradito un impegno e la vostra parola è sacra. Ottenete altri prestiti arrivando al ragguardevole traguardo dei 5.000 euro quando tutti cominciano a domandarsi come possiate rimborsare una cifra di gran lunga superiore rispetto allo stipendio che guadagnate.
La fiducia dei vostri creditori sta vacillando perché più aumenta il debito meno credibile è il suo ripianamento.
Da questo semplice esempio è possibile trarre una prima conclusione:

L'aumento del debito permette un immediato incremento di "ricchezza" da cui deriva una progressiva diminuzione di fiducia, persa la quale non sarà possibile ottenere altro credito.
Il debitore, quindi, riceve denaro "vendendo" reputazione fino al punto di collasso (perdita di credibilità / insolvenza).

Questo concetto, chiamato "rapporto di scambio" o "trade off" tra due variabili (rappresentabile matematicamente con una parabola rovesciata) è presente in tutte le dinamiche economiche e sociali.
parabola2
È probabile, ad esempio, che chi lavora un'ora al giorno sia propenso a farne due anche se in corrispondenza di un aumento retributivo meno che proporzionale.
Chi percepisce 10 euro per un'ora, verosimilmente, ne accetterebbe 15 per due, 25 per tre, 50 per otto e così via.
Tuttavia, all'allungarsi della giornata lavorativa, l'interesse del dipendente si sposterà nuovamente verso il "tempo libero" richiedendo, per ogni ora di lavoro supplementare, retribuzioni sempre più elevate.
Anche in questo caso il datore di lavoro si muove lungo una curva rovesciata.
Nella prima parte, il suo rapporto di scambio è favorevole; può aumentare la produttività con quantità di denaro decrescenti.
Abusando di questo vantaggio, però, peggiorerà il suo "trade off" e dovrà incrementare gli incentivi per quantità aggiuntive di lavoro.
Da quest'altro esempio è possibile ricavare un'altra proposizione fondamentale:

Il passaggio da uno scambio favorevole ad uno non favorevole attraversa un punto di ottimo in cui il trade off è il migliore possibile.

Invito a notare, come spunto per future riflessioni, che il raggiungimento di questo fatidico punto ottimale è possibile solo in corrispondenza di una "regola", di un sistema di norme, cioè, che opponga efficacemente il contraente debole (dipendente) a quello in posizione dominante (datore di lavoro).
Per esempio, i vincoli tesi a limitare l'indebitamento degli Stati e degli enti locali, che vanno sotto il nome di "patto di stabilità", altro non sono che un insieme di regole tese a contrastare l'umana propensione ad aumentare il debito in cambio di reputazione.
Ultima considerazione. Se foste costretti a prestare denaro ad uno sconosciuto preferireste che fosse un alto funzionario della pubblica amministrazione o un operaio?
Premettendo che la risposta corretta a tale domanda non esiste (mancano, infatti, gli elementi fondamentali per capire quale opzione sia meno rischiosa), sono sicuro che in molti, ad istinto, avrebbero fatto una scelta ben precisa.
Ne deriva un'ultima affermazione:

La credibilità del debitore dipende dalla percezione (spesso fuorviante) che il creditore ha di quest'ultimo secondo un consolidato luogo comune che si sviluppa in base alla seguente associazione: potere - ricchezza - capacità di ripagare i debiti.

Esaminiamo la situazione attuale utilizzando le conclusioni raggiunte.
Nel 2008, il fallimento di Lehman Brothers sancisce la fine della "leva bancaria".
Per decenni le banche avevano scambiato credibilità con debito per massimizzare i profitti (effetto leva o leverage) compromettendo a tal punto il "rapporto di scambio" da produrre poderosi fallimenti.
Per evitare l'implosione economica, gran parte di esse sono state salvate dagli Stati grazie all'ampliamento del debito pubblico pagato a caro prezzo in termini di reputazione.
Nell'estate 2012, l'imminente default della Grecia e di altre nazioni "periferiche" lanciò il segnale che anche gli Stati si erano spinti, pericolosamente, sino al punto di collasso del proprio "trade off".
Persa anche questa possibilità, il sistema liberale ricorse all'ultima "leva" disponibile: il debito monetario.
Da tempo le banche centrali di tutto il mondo iniettano denaro nell'economia per coprire immensi buchi di bilancio.
Anche per loro, però, vale lo schema della parabola rovesciata:
possono stampare "carta" fino al raggiungimento del fatidico "punto di non ritorno".
Ricordiamo, infine, come la capacità di ampliare il debito dipenda dalla "percezione del potere". Benché l'economia statunitense versi in una condizione peggiore rispetto a quella nazionale, ogni investitore è convinto dell'esatto contrario perché condizionato dalla suggestione, a mio avviso superata, che ancora oggi esercita la "superpotenza".
Questo dato di fatto consente un'interessante illazione geopolitica:
la salvaguardia di una reputazione costruita, prevalentemente, sul potere, costringerà il debitore a continue "prove di forza" strumentali al rafforzamento di tale convinzione.
Viene il dubbio, allora, che alcune nazioni non possano esimersi dal ruolo di "arbitro internazionale" e non tanto per questioni di carattere etico quanto per difendere una supremazia funzionale al mantenimento di rendite di posizione grazie alle quali sia possibile "spendere" più di quanto si produca.
Un'economia basata sulla crescita infinita del debito, dunque, oltre ad essere insostenibile, minaccia la civile convivenza dei popoli poiché aumenta esponenzialmente il livello di conflittualità mondiale.

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Libri e Revolvers (aberrazioni dell'italica stirpe)

Post n°2 pubblicato il 22 Settembre 2014 da aariete.78
 
Foto di aariete.78

 

Sfrecciano a bordo di auto di grossa cilindrata, possibilmente "suv".

D'altronde è nella distanza tra l'abitacolo e l'asfalto la misura del loro ego.

Spesso sono sconosciuti all'anagrafe tributaria: conti correnti in paradisi fiscali e beni mobili ed immobili intestati a società di comodo rette da "prestanomi".

Non hanno alcun rispetto verso il prossimo tantomeno amore per la propria nazione; sono apolidi dalla nascita e, se la giustizia si "accanisce" contro di loro, diventano nomadi sino alla morte.

Truffa, evasione, riciclaggio, falso in bilancio, corruzione, sono il loro "pane quotidiano".

Il menefreghismo è la loro religione; il loro motto: "fesso mai!"

Non hanno alcun ideale politico: ciò che li spinge a votare è la possibilità di continuare a godere dell'impunità.

Vivono "d'azione", la medesima che ha permesso loro di arricchirsi, non di rado, a discapito degli altri.

Hanno molti ammiratori, fanno proseliti, a volte scrivono libri.

Ospitati in qualche talk show amano ripetere: "noi ce l'abbiamo fatta!".

Il loro emblema potrebbe essere un REVOLVER: superfluo spiegarne la ragione.

Leggermente trasandati ma con una trascuratezza "consapevole", anzi ricercata.

Capigliature in disordine che, a ben guardare, hanno ricevuto più volte "l'attenzione" di un barbiere.

Immersi nei loro utopistici ideali rifuggono ogni tipo di confronto.

Credono di essere avanguardie di una società decadente; delusi "dall'uomo" adulano i loro "dei" rinchiudendosi in un "isolazionismo settario".

Sovente, frequentano circoli culturali per giudicare, da un ambiente puro, un mondo contaminato.

A differenza dei primi, non mancano di rispetto al prossimo; semplicemente lo ignorano manifestando superbia ed arroganza.

Del resto sono talmente "al di sopra della media" che non perdono tempo ad ascoltare chiunque abbia un parere diverso.

Il loro motto è "nessuno come me!"; dell'ipocrisia hanno fatto una bandiera:
a favore dei più deboli ma attorniati dai più forti, per l'immigrato ma non sotto la propria abitazione, per uno stato sociale che non costi troppo, contro ogni forma di sfruttamento a patto che non peggiori il loro tenore di vita.

Costantemente in malafede, se soccombono nei contradditori che raramente accettano, si difendono con obiezioni pretestuose; una serie infinita di eccezioni che demoliscono regole piuttosto che confermale.

Mai interessati a punti di vista differenti rispetto ai dogmi dalle "élite" di appartenenza, hanno il terrore di poter cambiare idea.

Vivono di teoria, sono "statici" ed "immutabili" come i loro totem.

Hanno un solo orientamento politico: quello che li fa sentire migliori rispetto alla "massa".

L'oggetto che più li rappresenta è il LIBRO, un bellissimo libro, di quelli enormi, con le scritte dorate e con i caratteri stampati in bassorilievo.

Un testo che impreziosirebbe una qualunque libreria se non fosse per il fatto che non verrà mai letto: un inutile pezzo di carta utilizzato per riempire uno spazio invece di arricchirlo.

Gli uni odiano gli altri accusandosi reciprocamente di essere la causa dello "sfascio nazionale".

Ben rappresentati da rispettivi schieramenti politici che, irresponsabilmente, continuano a propiziarne i favori, non sanno di essere perfetti complementi del medesimo problema, della stessa degenerazione culturale:
"Libri" e "Revolvers". I più acerrimi nemici del Rinnovamento.

 

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