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Cronache della Nuova Era


L.C., detto Pongo dagli amici (che è poi il nome di un goffo personaggio pieno di amici e con una ottima disposizione alle relazioni nato dallo scrittore inglese P.G. Wodehouse) è un maturo professore universitario che insegna presso il Dipartimento di Arte e Spettacolo della Facoltà di Lettere. Naturalmente L.C. è anche uno scrittore ma la sua notorietà non supera l’inner circle dei suoi amici più cari, pubblicato da piccolissimi editori indipendenti. Che poi sono gli stessi amici con cui L. tira l’alba discutendo di arte o di letteratura. Vedovo della moglie, l’unica donna della sua vita, un amore dei tempi dell’Università, L. galleggia nel tempo, portandosi in giro la sua cicatrice dell’anima, cercando di passare accanto alle cose senza toccarle, sfiorandole quasi volando, senza pesare col corpo, quasi senza esserci. Vogliamo dire come il violinista di Chagall. Un giorno i suoi amici che insegnano all’Accademia di Belle Arti lo convincono a tenere un corso da loro. L. prima accetta e poi si pente: che cosa può mai trasmettere uno scrittore a dei giovani artisti visivi? Decide quindi che il corso ospiterà insieme pittori, giovani scrittori cross mediali (che già erano stati suoi allievi) e informatici  nella speranza che se ne tiri fuori qualcosa di utile per chi volesse avventurarsi sui sentieri dell’arte sincretica, del fumetto elettronico, dei videogiochi… Il corso va bene e l’aula si affolla ogni volta di più e le discussioni passano dalla ricerca delle soluzioni pratiche o teoriche a delle vere e proprie assemblee con relative incazzature, scomuniche, accuse di cedimento al mercato e tutto il resto. L’accusa più infamante è quella di fare collages, cioè di rubacchiare qua e là versi di altri per assemblarli e farli diventare propri o addirittura di prendere pezzi di disegni per metterli insieme come se fosse un’opera originale. Collagista è veramente una condizione senza redenzione. A un certo momento, in tutto questo movimento tempestoso a cui di solito poneva fine il bidello custode che alle dieci di sera comunque staccava la luce fregandosene sia di Wittgenstein che di Gombrich, una accademista si mette davanti a L., gli dice di chiamarsi Vittoria e che porta il cognome di un pittore attivo a Roma alla fine del ‘300. “Parente?” “A casa dicono di sì” “E che posso fare per te, Vittoria?””Ti va di uscire con me questa sera? O anche domani o quando vuoi” Ora, L. non è certo di primo pelo. Insegna da tempo e sa bene che coll’avvicinarsi della scadenza degli esami le gonne si accorciano e le scollature si accorciano, ma ha anche imparato a uscirne. Di solito a questi inviti risponde dicendo: “Quanto manca alla tua laurea? Quattro mesi? Facciamo così: se dopo la laurea ti vedo riaffacciarti da quella porta e non sarai più una studentessa, allora sarò felice di riparlarne” In realtà L. ha solo paura di farsi male: non è un predatore, mai stato, e la morte della moglie gli genera ancora troppo dolore. Ha avuto un paio di storie, curiosamente entrambe marchigiane, tra Macerata e Ascoli, finite non bene… una poi anche sposata… L. guarda meglio la ragazza: molto femminile nonostante la camicia maschile con le maniche rimboccate, i jeans, le paperelle e i capelli neri tenuti da un elastico. Occhi nerissimi di quelli che sembra che debbano inchiodarti l’anima, come fossero un entomologo, su di un foglio di carta assorbente. La ragazza aspetta pazientemente tutto il tempo e poi, con un sorriso, dice: “Allora?” “Allora decido io il posto e il vino…” “E allora io decido cosa si mangia…” SEGUE