la mappa è il mondo

Manifesto YOGUURT, più che nuovo di nuovo


Heidegger aveva sostenuto in Essere e Tempo che ogni conformità o difformità della preposizione con la cosa è verificabile solo entro un orizzonte che a sua volta non può essere descritto come conforme o difforme, poiché costituisce la condizione prima di ogni possibile confronto. Resta da stabilire se ce ne frega un cazzo di tutto ciò, ma se, tanto per passare il tempo, decidessimo di prenderlo sul serio riteniamo che il problema centrale sia dato dell’esperienza che l’io empirico fa dell’irreversibilità in una situazione data dalla relazionalità di tempi e percezioni di spazio e che se in tutto questo ci fosse una logica questa sarebbe di tipo dinamico e interna all’esperienza. In questo dinamismo ricade anche la mente, o spirito se si preferisce, che è processo, centro di particolari esperienze, possibilità, progetti nei quali urgono le esigenze di mutamento, i problemi, i bisogni, le inclinazioni, i sogni, la vita stessa del movimento storico nella sua complessa e dinamica relazionalità. Ne consegue che il linguaggio è la possibilità storicamente data che si esprime come progetto e che ogni esperienza è esperienza in situazione. Anche l’espressione “Tutto è nel tempo” diviene vera solo nel contesto relazionale e delle possibilità offerte da quel contesto. In altre parole: la vita non è qualcosa che compete o a me o al mio collega tre porte più in là ma a entrambi e a tutti gli altri. E da questo potrebbe persino derivare un’etica.In questo senso l’idea del PD fu eccellente, la sua attuazione pessima: imprevedibilmente, nella rete di relazioni storiche spazio-temporali, il grido vincente è stato:”Berluscò’, facce ride”. E lui lo ha fatto, con un’ironia e una determinazione superiori alle nostre. Da questa tragedia scaturisce la maschera tragica e grottesca di Renzi. Dunque il problema rimane: come abitare questo mondo difficile da definire che emerge dalla matassa relazionale e, ancora di più, rispondere alla domanda: che cazzo è questo mondo? Tutte le esplorazioni sono state fatte. Non c’è angolo di mondo che non sia raggiungibile dal turista e quindi, precedentemente, dalla sua Agenzia di Viaggi. Dalle più sperdute isole dell’Oceano Indiano alla Depressione della Doncalia al deserto del Sahara, non c’è sito geografico che non diventi meta turistica e andare in mountain bike in Tibet o essere rapiti dai guerriglieri yemeniti piuttosto che prendere la tenia in Amazzonia è parte irrinunciabile dei racconti settembrini di viaggio.L’accelerazione temporale del mondo consente di fare una vacanza alle Maldive in una settimana: è evidente che la condizione di Livingstone, l’esploratore che si perde nello spazio sconosciuto, che mentre cerca le sorgenti del Nilo forse trova qualcosa di sé, oggi è resa impossibile dalla Guida Turistica, nuovo angelo custode. Possiamo, se vogliamo, prendere in giro all’infinito questi turisti verdoniani che per dare un senso alla banalità della loro vita espropriata dai ritmi lavorativi si offrono all’immediatezza della paura della morte che poi resterà il fatto memorabile e fondante del resto della propria esistenza. Non cambia però il fatto che tutti noi, in quanto singoli esseri umani (discorso generale, naturalmente, e, quindi, fatto in astratto, non teniamo conto di Gasparri, Cicchitto, Binetti, Rutelli, Capezzone e delle suocere, dei commercialisti, dei giornalisti, dei dentisti…) proviamo un brivido di piacere, come la percezione del Sublime di buona memoria, nel momento in cui facciamo l’esperienza di perderci e sarà tanto maggiore il piacere quanto più forte sarà stata la nostra determinazione a creare mappe necessarie a determinare, conquistare, riconfermare le boe dei tragitti quotidiani. Poi scopriamo che è sempre stato così: il decumano delle antiche città romane non era altro che il percorso del sole. Perdersi e ritrovarsi nel dedalo di viuzze grazie al sole. Poi però scopriamo anche che la Via Sacra coincideva con il percorso (apparente) del sole il 21 aprile mitologico della fondazione di Roma. La rete relazionale tra spazio e tempo reali, tra spazio e tempo supposti tali e quelli simbolici si concretizza in un apparato monumentale esistente ancora oggi. Perdersi e ritrovarsi in una rappresentazione del cosmo fondante una comunità. Non male vero? Non ci si può fare il bagno come alle Maldive ma insomma, via, una qualche emozione la Via Sacra la dà. Dove sono i confini di questo mondo? Beh, sono i fili stessi della matassa-mondo. Passano in tantissimi modi dentro di noi (il prima e il dopo delle esperienze d’amore o di conoscenza o di perdita; il passaggio delle infinite Linee d’Ombra; le infinite lotte con l’angelo interiore…) ma anche lungo il viale della Caffarella dove ogni tanto aggrediscono un anziano o alla Stazione di Tor di Quinto dove è stata barbaramente trucidata una donna indifesa. Queste linee di confine che marcano la civiltà dalla condizione selvaggia e assassina non stanno, come vorremmo credere, solo in Ruanda o a Gaza ma sotto casa nostra e, qualche volta, dentro casa nostra. Né la linea di confine, solo simbolica, della purezza identitaria della razza padana, come fossimo mucche, garantisce dall’altro da sé. Le linee di confine passano anche nell’alternarsi dei flussi di persone negli spazi cittadini e il mutare di questi flussi nel tempo e passano nella memoria e nelle esperienze affettive. Crediamo che le nuove tecnologie digitali in genere e la rete in particolare, con il nuovo rapporto da loro offerto tra scrittura, immagine, audio e filmato, consentano di sperimentare un nuovo modo di raccontare  la matassa che vada oltre la capacità analitica della scrittura e quella di sintesi dell’immagine. Anzi crediamo che, dall’invenzione della fotografia in poi, questa sia la strada segnata dalle nuove tecnologie. Bill Viola raccontava che un vecchio numero di Life mostrava, con una sequenza fotografica ottenuta con l’impiego di un dorso motore, tutte le fasi di un incidente avvenuto durante una gara automobilistica. Le immagini rivelavano come la folla quasi non si rendesse conto di quello che stava succedendo al momento della sequenza di scatti. Nelle ultime due foto si vedevano le persone che cominciavano a voltare la testa: quella particolare tecnologia consentiva di dividere la vita in sfere mobili, in frammenti autonomi seppur relati fra loro, di consapevolezza. Quindi analizzare la matassa – mondo significa analizzare i frammenti di spazio tempo, le micro narrazioni della consapevolezza. Proponiamo di procedere così: senza fare piani o previsioni sul futuro. Raccogliendo solo frammenti di vita documentati che, portati dalla corrente, che s’incastrano quasi per caso a definire una mappa continuamente in divenire della matassa-mondo. La nuova dimensione delle rete offre una nuova categoria temporale legato alla conoscenza, non misurabile con i parametri del tempo razionale: il tempo necessario. Sappiamo che ogni manifestazione umana è data in un inizio e in una fine e si articola in innumerevoli tempi intermedi che fanno la vera opera. Riteniamo che questi tempi siano stati contratti e manipolati per formare una noosfera dell’immaginario che non è un mondo per esseri umani. Crediamo necessario riconquistare il tempo necessario dell’esperienza individuale e della sua espressione che è il tempo della misura. E’ arrivato il momento di misurare il mondo secondo il tempo necessario. La finalità è quella di costruire un mondo-matassa collettivo, una opera-mondo all’interno della quale sperimentare il nuovo significato di termini come collettivo, popolare, genere (epico, in quanto popolare, tragico, comico…ma anche maschile, femminile, altri casi…), opera, autore. Dunque, per creare questo mondo-matassa collettivo, verranno quindi accettati tutti i contributi, ma anche tutti i nessi profondi portati alla luce, con tutte le loro porzioni di verità fossero anche semplici grida d’amore (ma anche il rosica mento stile tifoso della Lazio) che verranno trattate come scritte sul muro: segni dell’esistente. In questa opera mondo, opera politica nel senso aristotelico del termine, saranno comprese anche le analisi marxiste dei nessi ma saranno esplicate dentro l’opera-mondo, non ne saranno la finalità. Questo perché crediamo che le analisi marxiane siano uno strumento necessario ma, appunto uno strumento, un tool nell’universo di Photoshop, e per di più dinamico. Insomma il Marx dinamico che va dai Gründisse al Capitale, sarebbe contento di essere visto come uno strumento pratico: compito della filosofia è cambiare il mondo, diceva. Oggi forse il compito è anche quello di crearlo un mondo, in una operazione che sia insieme etica ed estetica, perfettamente inutile (tempo dell’esperienza vera liberato e reso autonomo) e perfettamente necessario ( appunto il tempo necessario).  La scrittura dice, così come il video, la foto, il disegno. Noi sappiamo che esiste una zona, o più zone, dove, per limiti linguistici in primis e assumendo per ipotesi che i limiti non dipendano dal vocabolario a disposizione di chi scrive, non ci si può avventurare. Questa zona la definiamo indicibile. La via della conoscenza ad essa, sia che si voglia dare un valore assoluto e misticheggiante sia che la si voglia agganciare alla contingenza storica, cioè quello che l’epoca è in grado di percepire di sé, non può che essere tangenziale e, di conseguenza, non può che lavorare su atmosfere, sensazioni, percezioni. Tutte parole che riportano a qualcosa di aleatorio e indefinito. Scrivere (fotografare, disegnare, dipingere, fare video…) vuol dire dunque lavorare su indizi dell’indicibile.Il raccontare però è una forma dolce e avvolgente di donare. Raccontando si dona qualcosa di sé. Si dona il proprio tempo; la propria disponibilità; una possibile, tra le infinite, rappresentazione del mondo e, cosa intimissima fra tutte, una maniera di accettare interiormente paesaggio e persone e cose.Va da sé che il racconto, come la vita, può essere triste o fantastico o comico o terribile. Ma la sua qualità più bella è quella di essere accogliente, di poter ospitare chi ascolta e di poter far entrare l’ospite, attraverso un sontuoso portone, nel “sentito dire che circola in un luogo o in paesaggio”. Ma i racconti hanno sempre una porticina celata, solo accostata, senza lucchetto, un accesso recondito consentito a coloro che nel racconto c’erano prima che diventasse narrazione. Coloro che possono esclamare:” Ma che dici? Ma non c’è niente di giusto in questa storia! Invece è andata così e così…in questa e quest’altra maniera…”.Allora nasce un’altra narrazione ancora più bella. Allora, per miracolo o per magia, il racconto diventa improvvisamente vero, diventa luogo di scambio di ricordi, diventa luogo d’amore. Per questo fondiamo l’Istituto Ontologico Geografico Urbanistico Unitario Romano e Territoriale: in una parola IOGUURT (da pronunciarsi con la voce di Homer Simpson). Naturalmente ognuno può farsi il suo di istituto e chiamarlo come gli pare. In questo Istituto si parla il mondo, il proprio mondo, dei confini che vi si trovano e degli attraversamenti che vi si possono fare con le relative scoperte. Tutti sono esploratori o inviati speciali che possono inviare foto video racconti, racconti con video o con foto. Quattro le categorie di raccolta, almeno inizialmente: transitare il mondo (esplorazioni, cronache e reportage dal selvaggio metropolitano, ma anche foto, collage…); creare il mondo (proprie stanze, luoghi ridisegnati da affetti o emozioni o ricordi come bar, muretti, trattorie, panchine…) abitare il mondo ( le reti di relazioni significative, affetti, ingiustizie, rabbie in luoghi e momenti); interviste: in questo caso suggeriamo alcune domande che possono essere cambiate o integrate a piacimento di intervistatore e intervistato: Che cos’è la spiritualità per te? Che cosa sogni? Quali pensi siano i segni della tua vita interiore? Credi che il dolore dia un’identità? Cosa vuol dire sentirsi a casa? Cosa pensi della morte? Si può fare politica senza lavorare per la morte? Che cosa c’è dietro il cartellone pubblicitario? Dove pensi che ci sia vita nella tua città? Cosa vuol dire consapevolezza? Cosa vuol dire abitare un’idea? I membri dello IOGUURT ritengono che solo così sia possibile sperare di fare senso dell’esperienza, solo così possiamo sperare di vedere i nessi tra le cose particolari e la totalità, solo così possiamo andare oltre l’esperienza del reale proposta da Grande Fratello e Festival di Sanremo.I membri dello IOGUURT ritengono che il racconto della realtà-matassa sia possibile solo attraverso le scannerizzazioni fatte con l’occhio, la mente, il cuore e qualsiasi strumento digitale a disposizione.I membri dello IOGUURT ritengono che, a volte, in quel Blob che è la vita, consegnato alla ripetizione, ci siano frammenti di verità geografica come quando alla proposta delle Ronde Padane il povero Franceschini non ha potuto opporre che la balbuzie. L’idea delle Ronde è bellissima in sé. Il fatto che la finalità sia sbagliata (realizzare un tardo imperialismo piccolo borghese che vuole rendere la Quarto Oggiaro notturna simile a quella di giorno e pensa te che bello, che reprima i flussi notturni di desiderio…) non rende meno bella l’idea di andare in esplorazione collettiva in luoghi resi diversi e incogniti dall’ora, dalla notte, con l’eccitazione che si aveva da bambini alla scoperta delle proprie paure o da adolescenti alla scoperta del sesso o da adulti alla soddisfazione delle curiosità. I membri dello IOGUURT ritengono che sia giusto perseguire una intima e manifesta sismografia mentale ed emozionale e rappresentarla. Caruccio, no?